(articolo pubblicato su Artkey n°8 - gennaio/febbraio 2009)
Recenti dibattiti hanno riportato l'attenzione sulla cosidetta Legge del 2%, la cui applicazione sarebbe, oltre che un obbligo, uno dei possibili metodi di contrasto alla crisi. Il MAXXI di Roma, la Regione Lombardia e, pian piano, singole istituzioni ne promuovono - finalmente - il dettato.
“Le Amministrazioni dello Stato […] e tutti gli altri Enti pubblici che provvedano all'esecuzione di nuove costruzioni di edifici pubblici ed alla ricostruzione di edifici pubblici […] devono destinare all'abbellimento di essi mediante opere d'arte una quota non inferiore al 2 per cento, della spesa totale prevista nel progetto”.
Ecco il fondamento della cosiddetta legge del 2%. Ecco il frutto di una giurisprudenza illuminata e filantropa che esprime una vocazione attenta alle nuove produzioni artistiche e che impedisce all’amministrazione pubblica di ignorarne le istanze. Ecco una normativa finalmente al passo con i tempi! Ebbene, l’inciso con il quale si apre questa riflessione altro non è se non il primo comma della Legge 29 luglio 1949, n. 717. Non si tratta di un refuso, la data è proprio quella: 1949! A neppure un anno dal varo della nostra Costituzione, in un’epoca di trasformazioni sociali e ricostruzione urbana, il Legislatore ebbe la premura di istituire una norma rubricata “Norme per l'arte negli edifici pubblici”. Successivi interventi normativi - 1960, 1976 e 2006 - non sono valsi a rendere il precetto condiviso, tanto che raramente se n’è fatto uso e quasi mai se ne sente parlare.
In tema di politiche culturali le leggi disattese non sono poche, ma è chiaro a chiunque che in un momento delicato come quello attuale, la L. 117/1949 può diventare la “X” sulla mappa del tesoro. L’applicazione eventuale della regola costituirebbe uno strumento per la produzione e la promozione dell’arte contemporanea [1]; permetterebbe all’amministrazione pubblica di intervenire in un settore che in qualche modo le appartiene - espletando i compiti di cui all’art. 9 Cost. - e, secondo alcuni, darebbe il la a una serie di interventi pubblici sul territorio urbano qualora la legge venisse interpretata in maniera ampia e utilizzata per l’intera area territoriale nel quale l’edificio (costruito ex novo o restaurato) si dovesse trovare. Gli artisti sarebbero così coinvolti non solo nell’abbellimento dell’edilizia pubblica, ma verrebbe loro conferito un ruolo attivo nella progettazione urbana e nel decoro cittadino.
I dettami legislativi sono però restati carta morta, le risorse teoriche destinate ad altri scopi o congelate. Rare le eccezioni, come ad esempio il globo di Arnaldo Pomodoro situato davanti al Ministero degli Affari Esteri.
Il Decreto Ministeriale del 23 marzo 2006, varato proprio per rinvigorire la L. 117/1949 ha riportato l’attenzione sulla delicata questione, permettendo una prima ripresa dalla fase di letargia, della quale si iniziano a intravedere i risultati. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29 gennaio 2007 presenta “le linee guida” per l’applicazione della Legge e impone “l’accantonamento di una quota non inferiore al 2% dell'importo effettivo dei lavori […] pena la non collaudabilità dell'opera”. Si sa: in Italia sono necessari la carota e, soprattutto, il bastone. Il recente atto di indirizzo, allo scopo di garantire risultati di qualità, prevede che le indicazioni relative all’opera d’arte vengano formulate già durante la stesura del progetto preliminare e che il progettista dell’edificio sia coinvolto e faccia parte della giuria del concorso pubblico aperto agli artisti. Questa strada è quella intrapresa dal MAXXI di Roma che ha recentemente bandito un concorso -con scadenza il 7 febbraio 2009 - per la realizzazione di due opere d’arte visiva specifiche per il Museo.
Recentemente qualcosa si è mosso anche in Lombardia. La Regione ha annunciato, la scorsa primavera, di voler dare concreta attuazione alla legge, tramite un comunicato sbrodolone e autocelebrativo. È chiaro che chi ben comincia è a metà dell’opera ma in casi come questi, nel quale un’amministrazione è stata a lungo manchevole, sarebbe forse il caso di partire da premesse diverse, scusandosi con i cittadini per l’inadempienza al dettato legislativo e proponendosi di riparare quanto prima.
Detto questo, siamo ben lieti che la Lombardia decida di dare il buon esempio, anche se per l’anno in corso la percentuale destinata all’acquisto di opere d’arte non è stata il previsto 2%: si parla infatti di un poco dignitoso 0,2%. Teoricamente, l’incremento dell’impegno pubblico è in previsione, anche se le eventuali tempistiche risultano sconosciute. È pur vero che i recenti tagli e la crisi economica hanno dato il colpo di grazia a un settore già moribondo. L’expo del 2015 potrebbe fungere da input, ma le polemiche e i dubbi sullo sviluppo del programma non fanno che sedimentare i timori che la situazione, anziché migliorare, si involva, accartocciandosi su se stessa.
Si noti però che la Legge parla del 2% come cifra minima da erogare, punto di partenza, quindi, e non punto di arrivo. Che dire? Chi si accontenta, gode?
Dalle dichiarazioni diffuse, si può comunque evincere che la Regione investirà l’aleatoria cifra principalmente in arte contemporanea e a sostegno dei lavori di giovani artisti, completando così l’impegno già profuso in “attività di restauro, rifunzionalizzazione e riuso del patrimonio artistico grazie all’investimento di più di 100 milioni di euro dal 2000 a oggi”. La Direzione Generale Culture si prefigge di rendere la Lombardia uno dei centri geografici dell’arte contemporanea, superando gli stereotipi che vogliono un Capoluogo sopito intellettualmente, per quanto intento a inseguire business e sfilate. Non bisogna dimenticare che Milano è la città che può vantare il maggior numero di gallerie e che nel territorio regionale si sviluppano diverse eccellenze culturali, tra le quali il PAC di Milano, la GAMeC di Bergamo, il GAM di Gallarate, il Museo d’Arte contemporanea di Lissone, il Museo Fotografia Contemporanea di Cinesello Balsamo… nonché atenei universitari di prestigio.
Quella della Regione Lombardia pare essere quindi una scelta consapevole e lungimirante - per quanto ancora in fase di rodaggio - che vuole investire energie e risorse su contenuti educativi e culturali decisivi, attraverso i quali porre i cittadini e i territori al centro della contemporaneità. La politica pubblica, questa volta, mette radici sulle scelte che spontaneamente - anche se indipendentemente - hanno permesso al sistema di questi anni di mantenersi minimamente vivace.
Auguriamoci che l’esempio non resti un caso isolato.
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[1] La normativa prevede una selezione basata su un concorso pubblico - il che ha effettivamente complicato la questione - pertanto destinato ad artisti viventi. Inoltre buona parte dei giuristi è d’accordo a interpretare la legge a vantaggio dell’arte contemporanea, funzione di indirizzo che il settore pubblico ha il compito di esercitare assieme alle funzioni più tradizionali di conservazione e tutela del patrimonio. Evidentemente poi, l’arte contemporanea è sicuramente più adatta a dialogare con l’architettura contemporanea.
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