(nota: questo articolo è stato scritto per Tafter Journal e pubblicato sul numero 11 - febbraio 2009.)
L'Italia può vantare una vera e propria tradizione di legislazione dei beni culturali: già prima dell'unificazione, la giurisprudenza dei diversi stati preunitari dimostrò particolare attenzione a quelle che oggi potremmo definire politiche culturali. Talvolta una illuminata concezione della res publica, più volte il fascino della figura del potente mecenate, favorirono una consapevole indivisibilità del binomio patrimonio-territorio.
1. Excursus storico
Il riconoscimento del legame tra la cultura di un determinato luogo e il suo passato storico, nonché la volontà di contribuire al futuro artistico, hanno permesso lo sviluppo di un territorio caratterizzato dalla presenza di monumenti, musei, palazzi, così come di bellezze paesaggistiche e patrimonio naturale. L’Italia offre tutto questo e lo contestualizza in un insieme, in un unicuum straordinario che contribuisce a definire l’identità culturale nazionale. La preziosa tipicità del nostro patrimonio ha portato al riconoscimento della necessità di salvaguardarlo, tutelandolo in situ. La forza di questo capillare sistema di tutela risiede in una scelta precisa, conscia, che i vari legislatori preunitari prima, e il legislatore nazionale poi, hanno attuato, decidendo di privilegiare i legami con il territorio, la sua storia, i luoghi. Chiaramente le prime istanze non furono dettate dalla generosità pubblica: spesso si volevano conservare antiche memorie gloriose, simbolo di ricchezza e potere; ciò spiega perché tanto gli ecclesiastici quanto gli aristocratici si siano assunti, nel tempo, il ruolo di conservatori e collezionisti. A partire dalla seconda metà del XVI secolo si affermano due corpi legislativi: il primo, ampio e interessato a diversi settori, non si limitava solo alla tutela, ma emanava norme per la circolazione, la conservazione, le scoperte delle opere, evitandone la dispersione. Il secondo privilegiava la conservazione creando laboratori e studi per la catalogazione e il restauro. La maggior parte delle norme, tuttavia, mirava alla conservazione in loco del patrimonio, ai fini di evitarne la fuoriuscita e la dispersione, proponendo a tale scopo misure repressive cautelari. Durante il XIX secolo si affermarono proposte liberali il cui interesse primario non era certo la tutela del patrimonio culturale. Lo Statuto Albertino promuoveva la proprietà privata come libera e solenne: “Tutte le proprietà senza alcuna eccezione sono inviolabili” (art. 29 Stat. Albertino); in osservanza a tale principio fu deciso che lo Stato sarebbe intervenuto, attraverso l’esproprio dei beni, solo laddove l’incuria del proprietario avesse minacciato l’esistenza di un patrimonio culturale. Inoltre, anche dopo l’unificazione nazionale, resistettero le codificazioni regionali preunitarie, che ostacolarono la nascita di un sistema organico. Seguì, fino agli inizi del XX secolo, l’episodica emanazione di leggi di protezione e conservazione; si avvertiva tuttavia l’urgenza di una normativa unitaria. Il 1902 fu l’anno della legge Nasi alla quale seguì, nel 1909, la legge Rosadi; diverse altre norme vennero emanate, conviventi con regimi preunitari ancora vigenti in diversi settori. La svolta arrivò nel 1939, quando furono varati tre rilevanti corpi legislativi1 il cui fondamento ideologico comune era l’interesse per il “bello”, sia in arte sia in natura, e la consapevolezza di un legame tra luoghi e forme d’arte degno di salvaguardia. Negli anni quaranta, il Codice Civile (1942) e la Costituzione (1948) sancirono la volontà di sottolineare il valore stesso dei cosiddetti beni culturali: la tutela non più semplicemente perpetuata in maniera statica e la valorizzazione, finalmente, concepita come strumento per l’elevazione culturale dei singoli cittadini e della collettività.
2. Tempi moderni…
L’articolo 9 della Costituzione, inserito non a caso nei Principi Fondamentali della nostra Carta, abbandona il significato puramente “estetico” e configura due funzioni principali: promozione e tutela. L’ordine mai casuale dei termini determina la volontà del Legislatore: il fine ultimo (la promozione) deve essere perseguito attraverso la tutela (conservazione, protezione); la giustificazione di tale precetto è nel riconoscimento del valore di cui i beni culturali risultano portatori, inteso come espressione identitaria e culturale di una comunità nazionale. Le diverse funzioni legislative, alle quali si aggiungeranno fruizione e valorizzazione, divengono necessarie a favorire il pieno sviluppo dell’individuo, in osservanza al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. Il Costituente ha quindi voluto affermare l’esistenza di un diritto alla cultura collettivo e garantito, che assume valore di utilità sociale e limita la libertà di iniziativa economica. La Costituzione esplicita e formalizza quanto già contenuto nella giurisprudenza precedente: il legame tra cultura e natura, vale a dire tra beni culturali e paesaggio; d’ora in avanti, quindi, la definizione di “patrimonio” acquista un duplice significato. Seguiranno anni di indagine sulla situazione generale (Commissione Franceschini) e l’emanazione di norme di regolamentazione di differenti settori (urbanistica, archivi, scavi etc.) Del 1974 fu l’istituzione del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, nato dalla costola del Ministero della Pubblica Istruzione. Il nuovo dicastero impiegò anni a organizzarsi, senza emanare sostanziali riforme, eccezion fatta per l’estensione di numerose competenze regionali in materia di beni culturali2. La legislazione successiva è stata in parte abrogata e inserita nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, in particolare il d. lgs 31 marzo1998, n. 112 “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali”, e il cosiddetto Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali, adottato con d.lgs 29 ottobre 1999, n. 490. In particolare il T. U. e il Codice si sono succeduti in un periodo di continua evoluzione legislativa che ancora caratterizza il sistema paese; necessari - a causa di una eccessiva frammentazione della materia - sono tuttora al centro di una fervida discussione che esce dai banchi del Parlamento e raggiunge i diversi centri nei quali gli operatori culturali si adoperano e si confrontano. Il Codice è entrato in vigore il 1° maggio 2004, istituito sulla base della legge 6 luglio 2002, n. 137 che aveva delegato il governo ad adottare “uno o più decreti legislativi per il riassetto e la codificazione delle disposizioni legislative” in materia di beni culturali e ambientali. La delega, considerata la complessità soggiacente al riordino di un intero settore giuridico, troppo a lungo mortificato, prevedeva già (art. 10,4) “Disposizioni correttive ed integrative […] entro due anni dalla data” di entrata in vigore della legge principale. A breve distanza temporale sono stati emanati i decreti legislativi n. 156 e 157 del 24 marzo 2006, il primo dedicato ai beni culturali, il secondo al paesaggio. Tuttavia, ulteriori esigenze di riordino e un nutrito dibattito scientifico hanno portato alla modifica della l. n.137/2004, laddove la previsione del primo biennio ha portato all’estensione del lasso temporale che permette di emettere decreti integrativi e correttivi. Nell’ultimo biennio, quindi, si è proceduto principalmente all’intervento normativo relativo a specifici settori.
• Per i beni culturali:
1) diplomazia culturale: adesione ad accordi internazionali con conseguente considerazione degli obblighi derivanti, in particolare per snellire la circolazione delle opere d’arte;
2) beni archivistici: riconsiderazione della disciplina;
3) salvaguardia del patrimonio appartenente a enti pubblici, ecclesiastici e privati no profit: l’argomento, in particolare la disciplina dei procedimenti di dismissione e concessione, ha scatenato non poche polemiche. A tal proposito è necessario sottolineare come una certa e talvolta sconsiderata esterofilia contrasti e si scontri con altrettanto rigide posizioni di salvaguardia degli status quo, in una danza ipnotica e ripetitiva.
• Per il paesaggio:
1) ridefinizione dell’assetto di competenze tra i vari enti territoriali, in attuazione non solo di sentimenti giurisprudenziali consolidati, ma anche della ratifica della Convenzione Europea del Paesaggio del 2006. Qui, il concetto di paesaggio, in linea con il già citato art. 9 Cost., è da intendersi come contesto territoriale (spazio naturale, urbano e perturbano) dalla forte connotazione culturale costitutiva dell’identità di una nazione. Il dibattito ha anche messo in luce come la definizione di “paesaggio della nazione” del 1948 risulti oggi poco adeguata, considerata la presenza italiana in organi ed enti sovranazionali e internazionali;
2) previsione del coordinamento operativo da parte dello Stato, in quanto titolare dell’interesse preminente, della pianificazione paesaggistica;
3) nuovo regime per le autorizzazioni paesaggistiche e innovazioni organizzative, in particolare con estensione del parere vincolante del soprintendente per gli interventi in aree sottoposte a tutela. È necessario evidenziare come la situazione politica italiana di continui cambiamenti dei vertici governativi non giovi all’omogeneità della materia. Nonostante alcune prese di posizione comuni a entrambi gli schieramenti politici che si sono alternati nell’ultimo decennio, le politiche culturali si trovano sballottate tra istanze differenti riproposte ciclicamente ogni due-cinque anni. I continui passaggi del testimone non favoriscono, inoltre, l’attuazione di politiche di lungo periodo, né consentono agli amministratori di espletare i propri mandati; ciò favorisce, ancora una volta, quella frammentazione e disomogeneità di precetti che il coro quasi unanime degli operatori della cultura lamenta da tempo.
3. Alienazione e cessione: timori infondati? La valorizzazione torna al centro
Ci permettiamo in questa sede di approfondire l’argomento cessioni e dismissioni dei beni culturali pubblici, poiché risulta urgente l’analisi di uno degli aspetti più controversi e attuali della giurisprudenza di settore. Con il d. lgs. n. 62 del 2008, significativa è la ripresa di alcuni contenuti a suo tempo abrogati proprio con l’introduzione del Codice Urbani. La normativa vigente prevede che i beni privati possano essere alienati liberamente, salvo l’obbligo, si badi bene, di denuncia al MiBAC. Per quanto concerne i beni pubblici, questi si dividono in:
1) beni assolutamente inalienabili;
2) beni temporaneamente inalienabili;
3) beni alienabili (secondo quanto disciplinato dagli artt. 55 e 56 Cod.).
(La presenza della seconda categoria, a prima vista incomprensibile, è legata alla particolare situazione in cui si trovano quei beni in attesa del necessario procedimento di verifica previsto dal tanto contestato art. 12 Cod. BBCC).
Sostanzialmente la normativa non è stata stravolta, ma ne è stata migliorata la formulazione, ai fini di evitare lacune e incomprensioni che avrebbero potuto suscitare controversie o favorire atteggiamenti legati a interessi particolari. Veniamo quindi all’analisi delle modifiche sostanziali. Per quanto riguarda l’alienazione e le concessioni o locazioni di beni culturali pubblici, la riformulazione dell’art. 55 del Codice raccoglie il D.P.R. n. 283 del 2000, in particolare l’articolo 7, abrogato appunto con l’introduzione del testo Urbani. Si esige, per questi particolari provvedimenti, l’autorizzazione ministeriale, la cui richiesta deve essere formulata secondo una dettagliata procedura normativa che prevede, e qui viene il bello, - oltre l’indicazione della destinazione d’uso e delle modalità atte a garantire la conservazione del bene - l’esplicita informazione circa gli obiettivi di valorizzazione e fruizione che l’alienazione (o cessione) andrebbe a perseguire, nonché i tempi previsti per la realizzazione. La novità non è banale, se si considera che:
“Il regime giuridico dell'alienabilità dei beni culturali pubblici è stato uno dei punti oggetto dei maggiori contrasti, modifiche, innovazioni e correzioni di rotta tra gli istituti di tutela dei beni culturali dal 1939 ad oggi: dapprima alienabili con autorizzazione (artt. 23 e 24 legge 1 giugno 1939, n. 1089), poi del tutto inalienabili (art. 823 Codice civile), ora l'una ora l'altra possibilità (nella cospicua produzione giurisprudenziale che si è succeduta nell'interpretare gli articoli richiamati), nuovamente inalienabili (art. 54 Testo Unico del 1999), alienabili con autorizzazione e varie articolate garanzie (d.p.r. 283/2000), automaticamente alienabili a seguito di "silenzio significativo" nel procedimento di verifica (art. 27, comma 10, d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. con mod. con legge 24 novembre 2003, n. 326, e Codice nella originaria stesura del 2004), di nuovo alienabili con autorizzazione e alcune garanzie (nel Codice novellato nel 2006), per finire oggi al recupero della disciplina più garantista tra quelle richiamate (nuovi artt. 53-57-bis del Codice, che recepiscono i contenuti del d.p.r. 283/2000)”3.
Le recenti disposizioni si pongono, quindi, a garanzia e condizione dell’efficace responsabilità dei privati, obbligati pertanto a conservare il bene in oggetto e favorirne la fruizione. La nuova formula giuridica si inserisce a complemento delle disposizioni dettate dalla legge Finanziaria 2007, che prevede, appunto, ipotesi di valorizzazione e utilizzazione a fini economici di alienazione, concessione e locazione di immobili e beni demaniali. L’eventuale vendita o locazione, anche di beni appartenenti alla chiesa o a privati no profit, non deve in nessun modo limitare la valenza collettiva e la destinazione culturale del bene in oggetto. I recenti allarmismi sulla disciplina della materia potrebbero quindi placarsi, per lo meno in parte, considerata la volontà recentemente espressa dal Legislatore di garantire la funzione culturale del bene, quale che sia il proprietario. Senza dubbio, le modalità di controllo vanno non solo esplicitate, ma soprattutto applicate, al fine di impedire e disincentivare eventuali abusi, perpetrati a scapito dei vantaggi collettivi previsti. Se la normativa troverà completa applicazione, la differente titolarità dei beni culturali non sarà un limite sociale, ma permetterà lo sviluppo delle funzioni previste dal Codice: tutela, conservazione, valorizzazione, promozione, fruizione. Le prime quattro si esplicitano, e assumono valore, solo laddove finalizzate al perseguimento della quinta.
Note
1 L. 1089/1939 sulla tutela di interesse storico artistico; l. 1497/1939 sulle protezione delle bellezze naturali e panoramiche; l. 2006/1939 sulla disciplina degli archivi.
2 D.P.R. 14 gennaio 1972, n. 3; D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8; D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616
3 Angela Serra, L'alienazione e l'utilizzazione dei beni culturali pubblici: gli artt. 53-64 in Aedon 3/2008
Bibliografia
Anis, M., Fiorillo, M., L’ordinamento della cultura – Manuale di legislazione dei beni culturali, Milano, Giuffrè, 2003
AA.VV., Il nuovo codice dei beni culutarali e del paesaggio: il testo aggiornato del Dlgs 42/2004 e l'analisi degli esperti. Il Sole 24 Ore, Milano, 2008
Barbati, C., Cammelli, M., Sciullo, G., Il Codice dei beni bulturali e del paesaggio, Bologna, Il Mulino, 2007
Cortese, W., I beni culturali e ambientali, profili normativi, Padova, Cedam, 2002
Settis, S., Italia S.p.A. L’assalto al patrimonio culturale, Torino, Einaudi, 2002
Sitografia
Aedon – Rivista di arti e diritto online, Il Mulino. In particolare n. 1/2004, n. 2/2004 e n. 3/2008 (www.aedon.mulino.it)
Angela Serra, L'alienazione e l'utilizzazione dei beni culturali pubblici: gli artt. 53-64 in Aedon 3/2008 (www.aedon.mulino.it)
Documentazione
Schema di decreto legislativo recante ulteriori disposizioni integrative e correttive al Codice dei beni culturali e del paesaggio in relazione ai beni culturali. Relazione illustrativa del 24 gennaio 2008.
Schema di decreto legislativo recante ulteriori disposizioni integrative e correttive al Codice dei beni culturali e del paesaggio in relazione al paesaggio. Relazione illustrativa del 24 gennaio 2008.
Genio.
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