Articolo pubblicato su Fizz.it, marketing culturale e dintorni.
(Fondazione Fitzcarraldo, Torino)
foto: Cesare Pietroiusti a Polignano al Mare.
Immagine di Ilmotorediricerca
Il pensiero contemporaneo, per definizione indefinibile, vive di suggestioni e armonie che comprendono le differenti forme del sapere. L'evoluzione del sistema culturale passa inevitabilmente attraverso la diffusione delle idee su scala internazionale e la promozione delle eccellenze. È però necessario riconoscere i limiti del sistema italiano e proporre vere e proprie rivoluzioni copernicane. Ne parla Cesare Pietroiusti ad ArtLab 09.(Fondazione Fitzcarraldo, Torino)
foto: Cesare Pietroiusti a Polignano al Mare.
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Susanna Sara Mandice: Caro Cesare, tu sei un artista contemporaneo e mi piace quindi iniziare questa conversazione proprio parlando dei limiti della cultura contemporanea italiana. Se intendiamo con il termine "contemporaneo" il lavoro di produzione e ricerca, è evidente come l'Italia manchi di prospettive. Di questi tempi essere protesi verso un ipotetico futuro sembra impossibile, basterebbe forse essere protagonisti del proprio tempo. In uno scenario di questo tipo, ci sono e chi sono i pioneri?
Cesare Pietroiusti: Sicuramente il problema del peso della nostra storia è uno dei temi cruciali che ci troviamo ad affrontare quando parliamo di beni culturali. Le funzioni di tutela, conservazione, restauro assorbono necessariamente, e giustamente, ingenti quantità di risorse. Il problema è che questa – ribadisco lecita – attenzione ha permesso che a lungo il contemporaneo fosse relegato a una posizione secondaria. L'attenzione alla produzione contemporanea (in particolare la produzione di arte visiva contemporanea) ha subìto un incremento potenziale negli ultimi sette, otto anni; certamente si tratta di un fenomeno estremamente positivo, che però contiene dei limiti ai quali dobbiamo stare attenti.Rispetto a una ventina di anni fa, oggi c'è una nuova classe di giovani artisti interessati agli sviluppi dell'arte contemporanea; lo vedo quotidianamente nelle università e nelle scuole di formazione nelle quali insegno. Probabilmente anche nel passato ci sono state grandi quantità di giovani attenti all'arte, ma oggi gli studenti hanno accesso, grazie alla diffusione di internet e soprattutto dei motori di ricerca, a un mondo di informazioni che gli permette di confrontare il proprio lavoro e le proprie idee con quelle presenti in un contesto internazionale: vi sono interi gruppi e classi universitarie che decidono di collaborare tra loro, di immaginare nuovi spazi per promuovere, comunicare e fare ricerca artistica. I coetanei che li hanno preceduti si fermavano, invece, alle prospettive proposte dei docenti delle accademie, che proponevano un unico orizzonte autoreferenziale, asfittico e quindi depressivo; era quindi ovvio che molti giovani preferissero occuparsi di altro. Un altro fattore di cambiamento che ritengo positivo e fondante è la fine del monopolio detenuto a lungo da alcuni soggetti nel settore dell'editoria dell'arte. Fino a una quindicina d'anni fa le riviste d'arte contemporanea erano sostanzialmente due: "Flash Art" e "Il Giornale dell'Arte". Diversamente, oggi esistono diversi free press di livello eccellente sulle pagine dei quali passa e si diffonde la cultura contemporanea, come "Mousse", "Kaleidoscope", "Nero"... Si tratta di una nuova editoria concepita da gruppi di trentenni che, nonostante la crisi, reggono e, anzi, crescono; questi stessi trentenni sono riusciti a diventare editori e organizzatori di eventi, sono credibili agli occhi della comunità artistica. Il circuito chiuso, popolato da elefanti inamovibili, è stato scalfito da un fermento e da un entusiasmo giovane e ricco, basato sul confronto con le realtà internazionali e in grado di sviluppare nuove proposte.Dobbiamo però stare attenti a due fenomeni negativi del sistema dell'arte contemporanea italiana.A questo fermento positivo che coinvolge gruppi di persone e istituzioni che hanno voglia di lavorare nell'organizzazione, nella comunicazione e nella gestione degli spazi dell'arte (residenze per artisti, laboratori, seminari, spazi nuovi...), non corrisponde purtroppo un fermento di ugual portata nella produzione specifica, una classe di artisti ugualmente giovani in grado di proporre un approccio critico e di ricerca di livello tanto elevato. Certamente, si tratta di un fenomeno infelice del quale non comprendo appieno le motivazioni. Provo ad azzardare che forse l'entusiasmo rispetto alle prospettive è tale da invogliare le persone più curiose e dotate a orientarsi in questa direzione, piuttosto che in quella della produzione di ricerca artistica.Il secondo fenomeno negativo riguarda i rapporti tra arte contemporanea e politica. La classe dei nostri amministratori ha capito perfettamente che l'arte contemporanea rende molto, in termini di mercato e visibilità. Ai politici, però, interessa solo l'effetto-annuncio derivante dalla comunicazione che passa attraverso i media, il cui fine è la celebrazione dell'uomo politico (o del partito, o dell'istituzione): è importante dare in pasto all'opinione pubblica la notizia superficiale che mette in buona luce il sindaco, la regione, il ministero, senza curarsi del contenuto e della qualità della proposta culturale. Pensiamo ai grandi musei di arte contemporanea che nascono un po' ovunque, dalle grandi città ai musei dei centri urbani più piccoli: sono il prodotto di scelte politiche di questo tipo. I nostri governanti sanno bene che il grande pubblico non andrà mai a verificare il contenuto della proposta culturale, se non in occasione di grandi eventi mediatici durante i quali gli effetti psicologici collettivi offuscano il contenuto della mostra o dell'evento proposto. Il contenitore diventa perciò più importante del contenuto. I grandi investimenti ottengono sicuro impatto mediatico, sono costosi e, si sa: più soldi si spendono per le grandi opere pubbliche, più clientele e interessi si riescono a soddisfare... Manca il confronto reale con ciò che i grandi musei e i progetti mastodontici andranno a creare uno volta costruiti, quali progetti implementeranno e che restituzione daranno alla collettività rispetto ai costi. Il denaro viene speso nella costruzione, nel recupero degli spazi, nella pubblicità, ma non nella gestione del progetto culturale. L'arte contemporanea diventa così un fattore di autopromozione elettorale che non considera i risultati della gestione della ricerca culturale a medio e lungo termine.Queste carenze di investimento nella gestione curatoriale e scientifica sono tra le ragioni della mancanza di spessore della nostra ricerca artistica: manca l'incoraggiamento alla sperimentazione, alla ricerca.
SSM. Voglio partire proprio da questa tua riflessione per chiederti quali sono i circuiti di pensiero differente. A mio avviso esistono alcune isole felici rappresentate da un piccolo numero di scuole d'alta formazione che propongono modelli differenti. Cosa ne pensi?
CP. Credo che si possa parlare di formazione quasi come dell'unica linea di resistenza rimasta. Ci sono artisti, curatori, attivisti culturali che si incontrano fuori dalle logiche istituzionali per scambiare idee ed esperienze alla pari con gli studenti e i giovani.Questo crea spazi per il pensiero e la riflessione, al di fuori dei quali esiste una pressione del mercato e della logica spettacolare ormai dominante; penso all'esperienza dello IUAV di Venezia, una realtà che conosco bene (ma non certo l'unica). Riuscire a decostruire quei meccanismi interiorizzati è il primo difficile passo verso il cambiamento; sembra che la capacità di pensiero critico sia scomparsa, gli artisti rischiano di perdere la possibilità di gestire la difformità di pensiero. Certo in ogni generazione le eccellenze sono rare, i geni non nascono tutti i giorni; eppure credo che lo IUAV stia contribuendo a formare una nuova categoria di artisti italiani. La differenza rispetto ad altre scuole di formazione passa dal fatto che si tratta di artisti colti. A lungo in Italia si è pensato che l'artista debba essere un visionario fantasioso con pochissima attenzione alla tematiche critiche scientifiche, filosofiche, culturali. Allo IUAV invece gli studenti hanno la fortuna di relazionarsi con docenti stimolanti: si pensi a cosa può significare dal punto di vista educativo seguire un corso tenuto da Vettese o da Agamben... Non voglio esagerare nel descrivere questa situazione e sono certo che ce ne siano altre altrettanto valide. Quello che è vero è che nella cultura italiana c'è stata una sorta di tendenza regressiva: in ogni campo culturale (letteratura, cinema, teatro) si sono abbandonate le buone letture, i classici; si pensi a quanti studenti (e docenti) possono dire di aver letto e di conoscere, per esempio, Foucault o a Julia Kristeva. È come se il cono d'ombra che gli anni Ottanta hanno proiettato sulla cultura abbia infarcito il nostro sapere di sfumature più frivole, che rapidamente si sono sostituite alle nozioni più nobili. La teoria della ripetizione differente e l'esaltazione dell'artista ignorante, il genius loci senza riferimenti alla storia evolutiva degli artisti precedenti, hanno fatto il resto.
SSM. A proposito della giovane arte italiana, vorrei affrontare con te il tema delle istanze più comuni. Qual è la direzione intrapresa dai nostri giovani? Personalmente trovo che alcuni temi si ripetano troppo. Pensa alla videoarte, ad esempio: la maggior parte dei video prodotti sono documentari. Resta lodevole il fine sociale, certo, ma la questione si sposta, ancora una volta, sulla ricerca della rarità, sul pensiero differente. Cosa ne pensi?
CP. Il video è, per eccellenza, il mezzo che dà l'illusione di poter registrare il reale. Il tema è complesso perchè finisce nel paradosso interno del rapporto tra illusione e restituibile...
SSM. Certo, però forse i giovani utilizzano il video come strumento del proprio tempo. Utilizzare oggi tecnologie video, audio e informatiche è naturale, credo. Sono gli strumenti privilegiati dai giovani contemporanei, in tutti i sensi. Non a caso in questi ultimissimi anni si è tanto discusso dell'emarginazione della pittura...
CP. Certamente, ma bisogna stare attenti a non confondere il mezzo con il fine, ossia l'intenzione con la quale si usa il mezzo stesso. Risulta decisiva la consapevolezza dell'intento, la necessaria presa di distanza dal mezzo che si sceglie di utilizzare. Il rischio è di diventare "mezzo del proprio mezzo", appendice quindi del video, della tecnologia. La finalità dell'artista o del regista dev'essere quella prevista dal progetto pensato; diversamente l'artista diventa un mero agente dello sviluppo tecnologico del mercato. È necessario saper prendere una distanza critica dai mezzi, dalla strumentalità che i mezzi apportano. Solo così qualunque mezzo può essere adatto a fare arte. Da questo punto di vista allora l'artista è un "perfetto dilettante"! Non dovrebbe saper fare nulla e questo "non fare" gli consentirà di avere le potenzialità per fare qualsiasi cosa voglia, senza fossilizzarsi sui virtuosismi, senza fermarsi a ciò che conosce già fin troppo bene.
SSM. Quindi, l'artista di cui parliamo oggi dev'essere, paradossalmente, qualcuno che non sappia fare nulla ma che sia molto colto, che abbia quindi gli strumenti per poter fare tutto...
CP. Esattamente, è proprio ciò che voglio dire! Se saprà creare una distanza critica rispetto ai mezzi della propria produzione, sarà allora in grado di utilizzarli tutti.
SSM. Cambiamo ora argomento. Ti sei fatto promotore di un manifesto di intenti sottoscritto da diverse personalità del mondo culturale, che verrà inviato al nostro Presidente della Repubblica. Questo documento verrà presentato e discusso proprio ad ArtLab 09. Senza voler rovinare troppo la sorpresa, vorrei riflettere con te su una frase che ho estrapolato dal documento di cui sei firmatario. L'appello parla di arte e democrazia e sottolinea come lo sviluppo dell'una favorisca la crescita dell'altra.La proposta vuole favorire la riflessione sull'attuale sistema di nomine e cariche che è uno dei veleni del nostro paese, non solo in ambito culturale. Urge introdurre concretamente un sistema di nomine trasparente, basato sul merito e che tenga conto delle pari opportunità.Molte nomine culturali italiane sono il frutto di favoritismi politici. Eppure, volendo fare l'avvocato del diavolo, potrei contraddirti dicendo che le politiche sono anch'esse frutto del proprio tempo e delle scelte del popolo sovrano. Se destra e sinistra si alternano, allo stesso modo si alterneranno i vertici culturali: qual è il limite, dov'è l'abuso?
CP. Il problema non è nè di destra nè di sinistra, tanto meno della loro alternanza. Il problema reale è che la cultura va pensata in termini di libertà: la cultura dev'essere la libertà d'esplorazione delle possibilità non ancora pensate. I politici hanno il problema della propria eleggibilità e devono quindi cedere il proprio ambito di libertà a terzi. Le lotte interne, i nepotismi, le raccomandazioni hanno incancrenito l'Italia.Ecco quindi che la nostra proposta risulta disarmante nella sua semplicità, ma necessaria. Noi proponiamo di affidare i vertici culturali di alcune istituzioni a stranieri o a commissioni miste di respiro internazionale. Chiamiamo, come fa l'organizzazione di Documenta, i più grandi curatori del mondo, costruiamo una commissione che lavori alacremente per un periodo e vediamo come va. Scegliamo una decina di realtà d'eccellenza italiane e proponiamo una gestione che inverta il sistema. Diamo autonomia gestionale, certo, ma anche di direzione del progetto, sulla base di criteri di selezione trasparenti e di colloqui mirati, di valutazioni pre e post rispetto ai progetti reali. Scegliamo per esempio alcune istituzioni formative, alcune di grandi eventi e alcune museali, decidiamo di investire su quelle e affidiamo la scelta delle nomine a un piccolo comitato internazionale, al quale partecipino persone al di fuori dei giochi di potere. Si tratta di una scelta, come dicevo, semplicissima eppure dirompente che consacrerebbe, finalmente, al primo posto la cultura, non la politica. Mi permetto di aggiungere una nota su una questione che mi sta a cuore. Va detto e va capito che gli eventi che hanno finalità commerciale, ossia le fiere, non possono continuare a vivere di finanziamenti culturali. Le finalità della cultura sono inerenti al concetto di libertà, quelle commerciali a quello del profitto; non sono incompatibili, certo, ma sono diverse. Le istituzioni pubbliche non devono finanziare le fiere, il sistema fieristico non ha molto di culturale, nonostante si cerchi di far passare il messaggio contrario. Le fiere nascono perchè i galleristi facciano i soldi. Gli investimenti per la cultura favoriscano la formazione, la ricerca, la sperimentazione, la libertà di pensiero.
SSM. Certo dobbiamo fare i conti con il mondo dell'economia, che è poi un tema ricorsivo del tuo lavoro. L'economia guarda all'arte con fare avido: la tua arte come vede l'economia?
CP. Effettivamente il mio lavoro gioca molto con l'economia. In particolare, la mia ricerca prova ad innescare una riflessione sugli scambi economici per spingere a considerare le alternative possibili a quelle stereotipate proposte dal mercato. Si tratta per lo più di giochi sociali, che prevedono un'interazione o uno scambio di vedute con il fruitore. Mi auguro così che il mio lavoro offra una possibilità alternativa, instilli in qualche modo il dubbio sul fatto che la modalità dello scambio non è l'unica; se la metodologia che abbiamo adottato non è l'unica possibile, significa che ce ne sono altre. Ebbene, ragioniamoci, proviamo a riflettere sulle altre possibilità.
Ho appreso cose interessantissime dalle esposizioni di Pietroiusti. Condivido il pensiero sull'importanza della formazione in ogni ambito e settore quale cammino infinito e obbligato per la crescita di ogni individuo e di tutte le realtà sociali e intellettuali.
RispondiEliminaAlfredo.