MASBEDO, Schegge d' incanto in fondo al dubbio. Una Trilogia di Allarme - Distruzione – Lotta, 2009, video audio installazione, Courtesy Marco Noire Contemporary, Torino Prodotto da C. P. Company
Intervista pubblicata su Espoarte Art Magazine, n°61, ottobre-novembre 2009 e su Undo.net, Guide to the contemporary Art in Italy, sezione Magazines.
La purezza armonica dell’immagine stride volutamente con un’aggressione emotiva che destabilizza.
È questo, in estrema sintesi, il lavoro dei MASBEDO, duo artistico italiano che conquistando fruitori e galleristi si pone come punto di rottura della videoarte internazionale.
Attraverso un linguaggio accattivante e immediato, i lavori dei MASBEDO catturano e confondono, proponendo una serie di temi di filosofica attualità. Confessano di voler “proporre una bellezza ferita” capace di sedurre per poi rivelare l’onta esistenziale dominante. Fotografia ipercurata, colori nitidi, musiche inedite e perturbanti sono alcuni degli elementi dei loro video, girati in contesti naturali affascinanti ed estremi. Il linguaggio estetico accattivante, al limite con i codici cinematografici o pubblicitari, nasconde in realtà le paure, le nevrosi, le assurdità, la vanità del vivere contemporaneo. Si tratta di una bellezza dolorosa, di un roseto irto e splendido.
Eppure, per dirla con parole loro: «Tutti sappiamo che ci sono schegge d’incanto ovunque e scintille d’amore in fondo alla nausea».
Susanna Sara Mandice. Jacopo e Nicolò, il vostro decennale artistico quasi coincide con il massimo riconoscimento pubblico: la partecipazione al Padiglione Italia della Biennale di Venezia. Non posso fare a meno di rilevare un certo scollamento tra il vostro lavoro e il resto del Padiglione. In cosa vi sentite “italiani” e quindi in linea con la Biennale e dove, invece, rappresentate un punto di rottura?
MASBEDO. Certo che ci sentiamo italiani, orgogliosi del patrimonio culturale che nel tempo ha espresso il Paese, siamo serenamente felici di essere stati invitati a Venezia. Il punto di rottura è forse nelle nostre tematiche, così poco in linea con le richieste dell’arte di oggi. Ci sentiamo a disagio perché purtroppo (Venezia ne è stata un’ulteriore conferma) il “sistema Italia” non esiste e sempre più si tratta la democrazia (nell’arte) come una dittatura che lavora fuori da campi di consenso. Dove manca il confronto, manca la misura.
SSM. Schegge d’incanto in fondo al dubbio il dittico-video presentato a Venezia è in continuità con la vostra poetica e ne rappresenta l’evoluzione. L’antitesi tra i sessi si sviluppa attorno ai temi della vanità e dei legami imposti dalla nostra società. Per la donna la dimensione domestica diviene pericolosa zavorra, così come per l’uomo la forza e l’ambizione. Come si manifesta il conflitto?
M. Il conflitto nasce dall’intenzione diversa dei due soggetti, da concetti di lotta differenti. L’uomo si trova coinvolto in due battaglie: la prima contro se stesso nel delirio della forza, abbandonato a uno sforzo innaturale e utopico; la seconda contro una vanità nera (il paracadute, il fiore nero che si gonfia di vento) che blocca la fluidità di una possibile relazione o di un possibile incontro. La figura della donna approfondisce un concetto più ambiguo e abbandona lo spettatore a una domanda: la donna si vuole liberare da questa zavorra (morale) oppure vuole evitare che gli oggetti della sua casa, gli “oggetti interni”, affondino nel nero profondo del mare? Ciò che accomuna entrambi è che sono soli e non si incontreranno; la donna getta un segnale più speranzoso accendendo quel bengala rosso che si usa dopo un naufragio. È come una statua della libertà umana e fallita; il suo gesto richiama e metaforizza quello che a nostro avviso è l’essenza dell’arte: annunciare tempesta, gridare il pericolo, tastare il nervo, schiacciare nella piaga.
SSM. Nei paesaggi mentali che proponete vengono messe in scena nevrosi individuali e collettive. Chi sono i protagonisti?
M. I protagonisti sono quelli che il mondo giudica come pessimisti quando invece (utilizzando una citazione di E. Canetti) sono “ottimisti informati”, uomini che conoscono il prezzo delle cose. Sono protagonisti eroici perché nonostante tutto lottano, ci provano, perdono e si rialzano e (differentemente da una maggioranza di persone dedite all’obbedienza e al regime della mediocrità) non temono e non si paralizzano in una realtà esistenziale drammatica fatta di valori morali spenti, di indebolimento della volontà, di desiderio, di seduzione e di erotizzazione.
SSM. La vostra ultima mostra Autopsia del tralalà presentava una serie di lavori girati in Islanda. L’Islanda come luogo simbolico, colonna d’Ercole ai confini della conoscenza, spazio metafisico e surreale…
M. Siamo stati due mesi in Islanda per girare cinque video. L’Islanda è tagliata in due da una ferita (Midlina) che divide l’occidente in due. Questa ferita si allarga di circa tre centimetri l’anno, allontanando la zolla tettonica euro/asiatica da quella americana. Abbiamo girato i nostri lavori all’interno di quella ferita perché ci sembrava il luogo adatto per rappresentare la crisi dei valori occidentali; abbiamo costruito un castello, un palcoscenico di tubi neri e proposto una performance con una trentina di attori. Il video parla di seduzione, di vanità, di competizione di bellezza, di forza, tutti criteri che hanno abitato l’ideologia nazista e che fondano, insieme al razzismo, i valori contemporanei occidentali. Pochi sanno che l’Islanda era stata individuata da Hitler perché il genoma della razza islandese rispecchiava perfettamente quello della razza ariana. Ancora oggi in Islanda esiste un laboratorio scientifico per la salvaguardia del genoma islandese. Il video dava il titolo alla mostra da Noire Contemporary Art a Torino: Autopsia del tralalà. L’idea è derivata da un articolo stupendo apparso su La Repubblica: Milan Kundera racconta di una lettera di Celine che, in piena malattia, paragona lo strazio dell’imminente morte della sua amata cagnetta alla pochezza e al disamore degli uomini ridotti al sipario della vanità. Chiama il sipario “il manifestarsi del tralalà”. Di quel “tralalà” abbiamo effettuato artisticamente un’autopsia.
SSM. L’uomo contemporaneo vive in spazi artificiali e/o affollati. Eppure i conflitti dei vostri personaggi si reiterano in spazi aperti e/o luoghi asociali. Volete parlarmi di questa frattura?
M. Noi utilizziamo la natura come un sipario metafisico, è il terzo elemento dei nostri video. Giriamo unicamente in nature che non sono cartoline: scomode, fatte di acqua, lava, vulcani, ghiaccio, terra nera; nature che simboleggiano il senso di fine, nature energiche, impossibili da abitare, vuote di umanità, apocalittiche. Questi set diventano il palco dove girare le nostre performance filmiche, un sipario perfetto per mettere in scena l’assurdo, la lotta, la frattura interna. A noi non interessa molto la realtà, le città sono sicuramente affascinanti per girare videoclip o film, ma non simboleggiano esattamente ciò che vogliamo rappresentare.
SSM. Infine una curiosità: diversi lavori sono filmati in condizioni estreme che hanno messo a dura prova voi stessi e i vostri attori. Quanto pesa questa scelta sul risultato finale?
M. Ci piace metterci alla prova, anche attraverso condizioni estreme che riteniamo funzionali a ciò che vogliamo esprimere. Alle immagini affidiamo la proiezione delle nostre paure, del loro lato ignoto e selvaggio. Non è volontà di creare sensazionalismi, bensì di smuovere emozioni ben più consistenti. L’azione che ne deriva crea un senso di follia che diventa il solo in grado di eguagliare l’enormità dell’ambiente scelto. L’uomo è pura ed estrema precarietà e la relazione con la natura amplifica la percezione che ha di se stesso e gli consente di mettersi ancora in discussione.
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