(articolo pubblicato su Artkey n°3 - febbraio/marzo 2008)
Antonio Lampis è stato assessore della Cultura della Provincia Autonoma di Bolzano, Ripartizione Cultura Italiana. Vice presidente della Fondazione Teatri Civici e Auditorium di Bolzano, è lavorato per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Autore di diversi saggi e docente, si occupa di marketing culturale e management del territorio.
Susanna Sara Mandice: Antonio Lampis, efficace e graffiante comunicatore. Quali di queste sue caratteristiche ritroveremo nella comunicazione e nell’organizzazione di Manifesta?
Antonio Lampis: In Manifesta svolgo un ruolo amministrativo: sono membro del comitato Manifesta 7 che ha personalità giuridica ed è formato da sei persone provenienti dalle istituzioni trentine e altoatesine e dall’organizzazione di Manifesta. I miei compiti sono quindi di tipo amministrativo e non gestionale. Però sono in contatto con l’ufficio stampa dell’evento e spero di poter suggerire lo sviluppo di efficaci strategie di marketing che a Bolzano sono già in atto da dieci anni.
S.S.M. Manifesta in Trentino-Alto Adige: per la prima volta viene coinvolta una regione al posto di una città. Il Trentino-Alto Adige è una zona sicuramente caratterizzata dalla compresenza di forti identità locali e culturali. Potranno tali identità diventare il punto di forza dell’evento o al contrario c’è il rischio di campanilismi e/o frammentazioni?
A.L. La Regione nella quale vivo si è dimostrata unita su tanti importanti versanti della sua storia, dall’autonomia alla cura del territorio, e oggi è pronta ad appassionarsi per l’arte contemporanea con la quale ha già una certa famigliarità. A Rovereto infatti c’è il Mart e a Bolzano abbiamo Museion, da sempre laboratorio d’avanguardia molto agile. Inoltre il territorio possiede un notevole patrimonio storico-industriale.
Manifesta quindi non viene per caso e ritrova in questa Regione la sua originalità. Gli organizzatori hanno scelto di presentare Manifesta indicando di voler stare all’interno di un frame territoriale preciso secondo il motto dell’Unione Europea United in diversity. In Trentino-Alto Adige è presente una forte identità, percepita sia dall’interno che dall’esterno della Regione. L’evento si svolgerà in un territorio ampio: 150 km attraverso luoghi storici e industriali.
S.S.M. Come è avvenuta la scelta dei luoghi? In base a quali parametri si è svolta la selezione? E soprattutto, cosa accadrà ai luoghi deputati, una volta concluso l’evento?
A.L. Personalmente posso parlare per ciò che concerne Bolzano. La grande fortificazione asburgica di Fortezza è appena passata dalla giurisdizione dello Stato a quella della Provincia che ha pertanto già investito notevoli capitali. Il forte costruito a metà del XIX secolo, non è mai stato aperto al pubblico e diventerà una nuova sede per eventi culturali futuri. L’anno prossimo è prevista una grande mostra sulla Libertà, una manifestazione euroregionale, come è nella nostra tradizione di euroregione.
L’altra sede scelta a Bolzano, lo stabilimento Alumix, diverrà poi sede del TIS innovation park: il polo tecnologico per l’innovazione che è anche un incubatore aziendale di creatività. Questa istituzione favorirà lo sviluppo di un distretto regionale basato sulla ricerca e l’innovazione, potendo il Trentino-Alto Adige vantare già la presenza del polo universitario di Povo. Non solo avanguardie artistiche quindi, ma anche ricerca e sviluppo.
S.S.M. In cosa si differenzia questa settima edizione dalle precedenti?
A.L. Innanzi tutto sarà una biennale diffusa e ciò permetterà ai visitatori di conoscere meglio la nostra regione. Manifesta è da sempre una biennale itinerante e quest’anno accentua questa sua caratteristica.
Inoltre ci sono ben tre team di curatori uno per ogni sede di Manifesta e tutti insieme per la sede di Fortezza. Questi curatori sono stati scelti direttamente dal consiglio dell’International Manifesta. (Adam Budak -Cracovia/Graz-, Anselm Franke -Berlino/Anversa- / Hila Peleg -Tel Aviv/Berlino- e i membri del Raqs Media Collective -Nuova Delhi- ndr)
S.S.M. Uno dei temi di questa edizione di manifesta è, non a caso, quello del confine. Quanto e come viene percepito un tema simile in Trentino-Alto Adige?
A.L. I confini oggi non sono più linee geografiche. Si tratta invece di un tema che indaga molti aspetti della vita delle persone: vi sono confini sociali, culturali, religiosi, educativi… Sicuramente il tema resta attuale, soprattutto in ambito culturale.
S.S.M. Un altro dei temi di Manifesta sarà “l’arte come mediatore”. Le istituzioni possono farsi mediatrici, ossia posizionarsi tra la popolazione e l’arte, e in che modo?
A.L. Le istituzioni spesso hanno dei compiti stringati e semplici. Però la promozione dell’arte e della cultura è un dovere civico, oltre che giuridico. È un aspetto fondamentale che determina la crescita di una cittadinanza, perciò è un compito a cui non ci si deve assolutamente sottrarre. L’arte è di per sé un fatto pubblico. Ecco perché quando si promuovono le iniziative culturali non ci si deve riferire ad un’èlite, non ci si rivolge al popolo dei vernissage, ma bisogna raggiungere la più ampia fetta di pubblico. Per raggiungere tale scopo, non è necessario banalizzare l’arte e la cultura, non serve a niente, ma bisogna mettere in campo interventi già sperimentati per offrire a un pubblico sempre maggiore gli strumenti per partecipare con consapevolezza e piacere.
S.S.M. Quindi quali sono le relazioni tra l’arte e la politica in Trentino-Alto Adige innescate per la promozione di Manifesta?
A.L. Bolzano e Trento già da gennaio hanno fatto partire un progetto capillare sul territorio chiamato “Aspettando M”. M sta per Manifesta, ma anche per Museion che ha appena inaugurato la nuova sede che aprirà a maggio. Il nostro è un lavoro che punta alla sensibilizzazione della collettività attraverso l’offerta di strumenti di comprensione e condivisione, quindi non solo di marketing. A luglio, quando Manifesta inizierà, la gente sarà già stata coinvolta e pronta a ricevere e fruire dell’evento.
S.S.M. Mi permetto un’osservazione a questo riguardo: quindi si può dire che vi stiate rivolgendo a due target di pubblico, ossia ai numerosi visitatori che Manifesta sicuramente attrarrà e alla comunità locale sulla quale l’evento ricade?
A.L. Certamente. Manifesta è un evento che non ha bisogno di presentazioni e che di sicuro attrarrà molte persone, ma l’investimento è locale, quindi riteniamo corretto fare tutti gli sforzi possibili per il coinvolgimento della popolazione che si ritrova l’evento in casa e deve poterlo vivere appieno. Purtroppo questo tipo di approccio è ancora molto raro. La nostra politica non è abituata all’arte contemporanea. Fortunatamente in Trentino-Alto Adige abbiamo incominciato da tempo ad occuparcene. Un peso fortissimo è dato dal Mart in Trentino e da Museion in Alto Adige e ora arriva anche Manifesta. L’arte contemporanea è un tema recente in una terra che ha riflettuto per cinquanta anni sulla propria storia.
Daniel Glaser + Magdalena Kunz e Miha Štrukelj, Gagliardi Art System, Torino
Daniel Glaser + Magdalena Kunz Kind, 2007 tecnica mista, installazione. Courtesy Gagliardi Art System, Torino
Talking heads è titolo del nuovo sconcertante lavoro della coppia di artisti svizzeri Glaser e Kunz, esposto fino al 26 febbraio presso la sede di GAS - Gagliardi Art System a Torino. Gli artisti presentano un progetto articolato in tre videoinstallazioni che hanno come filo conduttore l’essere umano e le sue domande sull’esistenza. Domande alle quali non c’è risposta, quesiti che esprimono un’inquietudine profonda.
Tre installazioni, una delle quali autobiografica, nelle quali i soggetti sono soli, incompresi eppure si ostinano ad esprimere una naturale tensione alla ricerca di soluzioni e pareri, contraddicendo la realtà che nega le sentenze nette.
Una crisi profonda e uno smarrimento identitario pongono continue questioni al visitatore, tentando di indurlo in un profondo e intimo livello di riflessione. Glaser e Kunz non offrono risposte, la loro arte diventa una pungente provocazione, nella quale l’impatto inesorabile di domande continue genera un inquieto malessere.
Le tre opere sono rappresentazioni cinematiche quasi reali, lavori di commistione che sanno essere happening, videoarte, scultura, installazioni. I dettagli delle opere e della sede espositiva rendono l’allestimento di forte impatto emotivo: luci, suoni, voci circondano l’astante permettendogli di relazionarsi profondamente con le opere e di isolarsi nella fruizione, che in rari casi può diventare un momento tanto personale.
L’installazione Kind/Bambino rappresenta un bambino sorridente e allegro posto tra scatole con l’indicazione “fragile” e oggetti che nulla hanno a che fare con l’infanzia. Un’atmosfera livida e incerta caratterizza la scena. Intorno si odono voci adulte, in lingue diverse, che pongono difficili quesiti che contrastano con la serenità del piccolo, che pare gettato e abbandonato in un presente denso di perplessità.
Drehbuch/Sceneggiatura rappresenta un giovane scrittore sperduto tra le sue carte, che sono ovunque: sul tavolo, sul pavimento, in volo. Il ragazzo è accucciato per terra, avvolto in una coperta e si interroga (o ci interroga?) attraverso un monologo fatto di domande sconnesse le une dalle altre. Lo spleen giovanile e creativo crea ansia anche nello spettatore, incerto se avvicinarsi per cogliere maggiormente i dettagli tecnici dell’installazione o se invece ascoltare la sequenza di domande, un loop senza fine che inquieta e isola.
Infine in Autoportrait/Autoritratto i soggetti sono due e rappresentano gli artisti stessi che chiusi in un’automobile sollevano dubbi mediante domande, anche questa volta, senza risposta.
Il tema ruota attorno al mondo dell’arte, alla figura degli artisti e alla natura della creatività. Lo spaesamento quindi trascina completamente gli artisti nelle proprie opere ma anche nella propria esistenza, mediata qui attraverso un’installazione meta-treatrale che affascina e sconcerta. Entrambi i soggetti nell’autovettura si interrogano, ma non si ascoltano, il dialogo è slegato, come se ognuno seguisse un suo percorso introspettivo. Questa installazione dovrà diventare, secondo l’intenzione degli artisti, una performance itinerante che toccherà le principali capitali europee.
Presso la Gas sono esposti anche i lavori del giovane sloveno Miha Štrukelj, alla sua seconda personale in Italia. Pittura e disegno le tecniche con le quali esprime una personale, ma neppure troppo originale, analisi della contemporaneità, facendo dialogare fogli di carta millimetrata e planimetrie a giochi di bianco e nero.
Scompone le immagini e utilizza tecniche certamente non innovative, ma in modo nuovo. Grandi quadri che assumono significato solo se osservati dalla giusta distanza, dettagli minimi visibili soltanto avvicinandosi all’opera oltre quel confine che di solito, per una sorta di pudore reverenziale, non viene mai oltrepassato. Chiari riferimenti all’optical art e all’architettura più recente, in un’indagine che esplora la condizione sociale nelle città contemporanee.
Infine, un quadro costituito da piccoli regoli bianchi e neri, tasselli di plastica che compongono un grande mosaico ottico e che rievocano nella mente il ricordo di vecchi televisori a tubo catodico, stimolando, forse, una riflessione sui media e sull’informazione, oggi non sempre chiara, anzi: piuttosto distorta.
Talking heads è titolo del nuovo sconcertante lavoro della coppia di artisti svizzeri Glaser e Kunz, esposto fino al 26 febbraio presso la sede di GAS - Gagliardi Art System a Torino. Gli artisti presentano un progetto articolato in tre videoinstallazioni che hanno come filo conduttore l’essere umano e le sue domande sull’esistenza. Domande alle quali non c’è risposta, quesiti che esprimono un’inquietudine profonda.
Tre installazioni, una delle quali autobiografica, nelle quali i soggetti sono soli, incompresi eppure si ostinano ad esprimere una naturale tensione alla ricerca di soluzioni e pareri, contraddicendo la realtà che nega le sentenze nette.
Una crisi profonda e uno smarrimento identitario pongono continue questioni al visitatore, tentando di indurlo in un profondo e intimo livello di riflessione. Glaser e Kunz non offrono risposte, la loro arte diventa una pungente provocazione, nella quale l’impatto inesorabile di domande continue genera un inquieto malessere.
Le tre opere sono rappresentazioni cinematiche quasi reali, lavori di commistione che sanno essere happening, videoarte, scultura, installazioni. I dettagli delle opere e della sede espositiva rendono l’allestimento di forte impatto emotivo: luci, suoni, voci circondano l’astante permettendogli di relazionarsi profondamente con le opere e di isolarsi nella fruizione, che in rari casi può diventare un momento tanto personale.
L’installazione Kind/Bambino rappresenta un bambino sorridente e allegro posto tra scatole con l’indicazione “fragile” e oggetti che nulla hanno a che fare con l’infanzia. Un’atmosfera livida e incerta caratterizza la scena. Intorno si odono voci adulte, in lingue diverse, che pongono difficili quesiti che contrastano con la serenità del piccolo, che pare gettato e abbandonato in un presente denso di perplessità.
Drehbuch/Sceneggiatura rappresenta un giovane scrittore sperduto tra le sue carte, che sono ovunque: sul tavolo, sul pavimento, in volo. Il ragazzo è accucciato per terra, avvolto in una coperta e si interroga (o ci interroga?) attraverso un monologo fatto di domande sconnesse le une dalle altre. Lo spleen giovanile e creativo crea ansia anche nello spettatore, incerto se avvicinarsi per cogliere maggiormente i dettagli tecnici dell’installazione o se invece ascoltare la sequenza di domande, un loop senza fine che inquieta e isola.
Infine in Autoportrait/Autoritratto i soggetti sono due e rappresentano gli artisti stessi che chiusi in un’automobile sollevano dubbi mediante domande, anche questa volta, senza risposta.
Il tema ruota attorno al mondo dell’arte, alla figura degli artisti e alla natura della creatività. Lo spaesamento quindi trascina completamente gli artisti nelle proprie opere ma anche nella propria esistenza, mediata qui attraverso un’installazione meta-treatrale che affascina e sconcerta. Entrambi i soggetti nell’autovettura si interrogano, ma non si ascoltano, il dialogo è slegato, come se ognuno seguisse un suo percorso introspettivo. Questa installazione dovrà diventare, secondo l’intenzione degli artisti, una performance itinerante che toccherà le principali capitali europee.
Presso la Gas sono esposti anche i lavori del giovane sloveno Miha Štrukelj, alla sua seconda personale in Italia. Pittura e disegno le tecniche con le quali esprime una personale, ma neppure troppo originale, analisi della contemporaneità, facendo dialogare fogli di carta millimetrata e planimetrie a giochi di bianco e nero.
Scompone le immagini e utilizza tecniche certamente non innovative, ma in modo nuovo. Grandi quadri che assumono significato solo se osservati dalla giusta distanza, dettagli minimi visibili soltanto avvicinandosi all’opera oltre quel confine che di solito, per una sorta di pudore reverenziale, non viene mai oltrepassato. Chiari riferimenti all’optical art e all’architettura più recente, in un’indagine che esplora la condizione sociale nelle città contemporanee.
Infine, un quadro costituito da piccoli regoli bianchi e neri, tasselli di plastica che compongono un grande mosaico ottico e che rievocano nella mente il ricordo di vecchi televisori a tubo catodico, stimolando, forse, una riflessione sui media e sull’informazione, oggi non sempre chiara, anzi: piuttosto distorta.
Una Nuvola ideata da Fuksas per rilanciare l’Eur di Roma
Il 15 gennaio sono iniziati i lavori della messa in opera della nuova Nuvola dell’architetto Massimiliano Fuksas, il quale sostiene che quest’opera rappresenti il coronamento del suo sogno professionale.
La costruzione contribuisce, secondo i disegni politici e progettuali, a rendere Roma capitale congressuale internazionale, al pari di Vienna.
Gli stakeholder che hanno promosso e finanziato l’iniziativa sono la Eur SpA e la Italcongressi.
Effettivamente, negli ultimi anni, l’amministrazione capitolina ha deciso di sganciare l’immagine della capitale dal passato e di proporre Roma anche come città della contemporaneità. Feste cinematografiche, concerti jazz, fiere d’arte e numerosi interventi di riqualificazione hanno portato avanti questa volontà non solo politica.
All’interno di questo ampio disegno si inserisce il progetto di rendere il quartiere dell’Eur centro del turismo congressuale e dei meetings organizzati.
La grande trasformazione della zona parte da una sere di realizzazioni architettoniche che hanno già attratto l’attenzione della stampa e degli adetti ai lavori.
Grazie ad una serie di interventi di riqualificazione e costruzione, il quartiere diverrà un vero e proprio business district che genererà un giro d’affari stimato intorno a 190 milioni di euro all’anno.
La Nuvola di Fuksas dovrà essere adatta all’uso del turismo congressuale ma anche piacevole ed esteticamente innovativa.
Costruita in acciaio e teflon sarà opalescente durante le ore di luce e brillante durante la notte. Un grande edificio con facciate in vetro, a forma di C, con tanto di giardino d’inverno, serra e parco botanico.
L’intero complesso, una volta terminato comprenderà un auditorium da 1800 posti, due sale congressuali, un foyer e diversi altri spazi minori. Inoltre sorgeranno ampi parcheggi interrati e in superficie per accogliere i visitatori e servire il quartiere.
La Nuvola dialogherà con il complesso residenziale e commerciale progettato da Renzo Piano che sorgerà al posto dell’ex Ministero delle Finanze.
La costruzione di Fuksas sarà pronta tra trenta mesi, ci auguriamo davvero che l’indotto economico sia quello stimato dalle ottimistiche previsioni comunicate ai media e che non si riveli invece una, seppur splendida, cattedrale nel deserto.
La costruzione contribuisce, secondo i disegni politici e progettuali, a rendere Roma capitale congressuale internazionale, al pari di Vienna.
Gli stakeholder che hanno promosso e finanziato l’iniziativa sono la Eur SpA e la Italcongressi.
Effettivamente, negli ultimi anni, l’amministrazione capitolina ha deciso di sganciare l’immagine della capitale dal passato e di proporre Roma anche come città della contemporaneità. Feste cinematografiche, concerti jazz, fiere d’arte e numerosi interventi di riqualificazione hanno portato avanti questa volontà non solo politica.
All’interno di questo ampio disegno si inserisce il progetto di rendere il quartiere dell’Eur centro del turismo congressuale e dei meetings organizzati.
La grande trasformazione della zona parte da una sere di realizzazioni architettoniche che hanno già attratto l’attenzione della stampa e degli adetti ai lavori.
Grazie ad una serie di interventi di riqualificazione e costruzione, il quartiere diverrà un vero e proprio business district che genererà un giro d’affari stimato intorno a 190 milioni di euro all’anno.
La Nuvola di Fuksas dovrà essere adatta all’uso del turismo congressuale ma anche piacevole ed esteticamente innovativa.
Costruita in acciaio e teflon sarà opalescente durante le ore di luce e brillante durante la notte. Un grande edificio con facciate in vetro, a forma di C, con tanto di giardino d’inverno, serra e parco botanico.
L’intero complesso, una volta terminato comprenderà un auditorium da 1800 posti, due sale congressuali, un foyer e diversi altri spazi minori. Inoltre sorgeranno ampi parcheggi interrati e in superficie per accogliere i visitatori e servire il quartiere.
La Nuvola dialogherà con il complesso residenziale e commerciale progettato da Renzo Piano che sorgerà al posto dell’ex Ministero delle Finanze.
La costruzione di Fuksas sarà pronta tra trenta mesi, ci auguriamo davvero che l’indotto economico sia quello stimato dalle ottimistiche previsioni comunicate ai media e che non si riveli invece una, seppur splendida, cattedrale nel deserto.
Paola Pivi al Portikus di Francoforte
Paola Pivi, nata a Milano nel 1971, rappresenta ancora la giovane arte italiana all’estero. A Francoforte, presso lo spazio espositivo Portikus stupisce con un’installazione site-specific: Lecture by Paola Pivi, dal 26 gennaio al 9 marzo.
Pivi, che ama le piccole isole (quando non è a Londra, vive sull’isola Alicudi, nelle Eolie) espone ora a Maininsel, un fazzoletto di terra posto sul fiume Meno, proprio al centro di Francoforte.
L’artista deve la sua celebrità a progetti spaziali surreali che rendono assurdo il quotidiano, creando un punto di rottura con la normalità. Coloro che la seguono e ne apprezzano la creatività, sono ormai abituati a stupirsi, a trovare oggetti ordinari in contesti inusuali, o stravolti nelle loro funzioni o nelle loro convenzioni culturali e sociali. Da sempre i suoi lavori rilevano una matrice concettuale, quasi scientifica, potremmo definirla duchampiana se pensiamo per esempio al celebre elicottero capovolto esposto alla Biennale di Venezia del 1999 o la gigantografia di un asino in barca che ha accolto i visitatori della Biennale del 2003.
Nel 2007 la Pivi ha esposto in Germania, alla Kunsthalle Basel che le ha dedicato una retrospettiva personale. E i Tedeschi evidentemente si stanno appassionando al suo linguaggio.
La galleria Portikus di Francoforte, che presenta oggi Lecture by Paola Pivi, ha abituato i suoi visitatori ai grandi nomi, come John Baldessari, Paul Chan, Olafur Eliasson… artisti ai quali è stato chiesto di esprimere il proprio estro attraverso l’ideazione di lavori in situ.Inoltre la consuetudine vuole che al Portikus siano privilegiate le produzioni inedite e le sperimentazioni che sappiano avvicinare l’arte ad altri linguaggi, in particolare quello architettonico, grazie alle generose dimensioni degli spazi e alla collaborazione con la Städelschule, l’Accademia d’Arte di Francoforte, dalla quale provengono stimoli giovani e innovativi. Una delle mission di Portikus è proprio quella di alimentare questo legame e di essere, oltre che un’attrattiva culturale di Francoforte, uno strumento pedagogico per gli studenti della Städelschule, ai quali viene data l’opportunità di incontrare artisti che altrimenti non avrebbero la possibilità di conoscere.
E oggi questi studenti, e gli altri visitatori, entrano in contatto con Paola Pivi e le sue nove fontane d’acciaio trasparente. In ogni fontana scorre un liquido diverso: vino rosso, caffé, sapone liquido, olio d’oliva… in un allestimento colorato e allo stesso tempo freddo. La spettacolarizzazione posta su un piatto della bilancia e una sorta di romanismo crepuscolare sull’altro, creano un equilibrio onirico che stravolge il naturale corso delle cose.
Pivi, che ama le piccole isole (quando non è a Londra, vive sull’isola Alicudi, nelle Eolie) espone ora a Maininsel, un fazzoletto di terra posto sul fiume Meno, proprio al centro di Francoforte.
L’artista deve la sua celebrità a progetti spaziali surreali che rendono assurdo il quotidiano, creando un punto di rottura con la normalità. Coloro che la seguono e ne apprezzano la creatività, sono ormai abituati a stupirsi, a trovare oggetti ordinari in contesti inusuali, o stravolti nelle loro funzioni o nelle loro convenzioni culturali e sociali. Da sempre i suoi lavori rilevano una matrice concettuale, quasi scientifica, potremmo definirla duchampiana se pensiamo per esempio al celebre elicottero capovolto esposto alla Biennale di Venezia del 1999 o la gigantografia di un asino in barca che ha accolto i visitatori della Biennale del 2003.
Nel 2007 la Pivi ha esposto in Germania, alla Kunsthalle Basel che le ha dedicato una retrospettiva personale. E i Tedeschi evidentemente si stanno appassionando al suo linguaggio.
La galleria Portikus di Francoforte, che presenta oggi Lecture by Paola Pivi, ha abituato i suoi visitatori ai grandi nomi, come John Baldessari, Paul Chan, Olafur Eliasson… artisti ai quali è stato chiesto di esprimere il proprio estro attraverso l’ideazione di lavori in situ.Inoltre la consuetudine vuole che al Portikus siano privilegiate le produzioni inedite e le sperimentazioni che sappiano avvicinare l’arte ad altri linguaggi, in particolare quello architettonico, grazie alle generose dimensioni degli spazi e alla collaborazione con la Städelschule, l’Accademia d’Arte di Francoforte, dalla quale provengono stimoli giovani e innovativi. Una delle mission di Portikus è proprio quella di alimentare questo legame e di essere, oltre che un’attrattiva culturale di Francoforte, uno strumento pedagogico per gli studenti della Städelschule, ai quali viene data l’opportunità di incontrare artisti che altrimenti non avrebbero la possibilità di conoscere.
E oggi questi studenti, e gli altri visitatori, entrano in contatto con Paola Pivi e le sue nove fontane d’acciaio trasparente. In ogni fontana scorre un liquido diverso: vino rosso, caffé, sapone liquido, olio d’oliva… in un allestimento colorato e allo stesso tempo freddo. La spettacolarizzazione posta su un piatto della bilancia e una sorta di romanismo crepuscolare sull’altro, creano un equilibrio onirico che stravolge il naturale corso delle cose.
Euromobil mainsponsor ad Artefiera
Cultures di Jakub Nepras, vincitore del Premio Euromobil 2007
Anche quest’anno il main sponsor di Arte Fiera è Euromobil, la celebre azienda d’arredamento che da diversi anni è impegnata nel patrocinio del mondo culturale italiano.Seguendo il motto: “squadra che vince, non si cambia” gli organizzatori di Arte Fiera e Euromobil hanno deciso nuovamente di unire le proprie sinergie, entrambi da sempre attenti, seppur in modo differente, alla promozione del bello e dell’innovazione.
Euromobil, azienda a direzione famigliare, da oltre trent’anni sostiene l’arte in diversi modi: promuovendo artisti italiani e internazionali, conservando e collezionando opere d’arte e partecipando come sponsor a grandi eventi culturali dal forte ritorno reputazionale. Il brand è legato alle iniziative di Brescia Musei e da circa un decennio al nome del curatore Marco Goldin. Inoltre il gruppo ha contribuito alla realizzazione di mostre internazionali al Louvre, al Musée d’Orsay, all'Hermitage di Sanpietroburgo e al Guggenheim di Bilbao.
Ora l’impegno con Arte Fiera, un importante appuntamento internazionale che gli appassionati di arte contemporanea non mancheranno di visitare.
Sostenere la creatività, però, può non significare semplicemente offrire il proprio contributo finanziario. Euromobil dà un senso anche imprenditoriale alla propria partecipazione alla fiera bolognese: allestisce un proprio spazio e soprattutto istituisce il Premio Gruppo Euromobil. Destinato a una giovane promessa dell’arte contemporanea, ossia un artista rigorosamente under 30, il premio verrà assegnato a un’opera che sarà acquistata dai fratelli Lucchetta ed esposta nella sede centrale dell’azienda veneta.
Il rapporto tra sponsor e artista, però, non si esaurisce qui, diviene invece generativo. Al vincitore verrà data la possibilità di cimentare il proprio talento interagendo con l’azienda nella creazione di un oggetto di design; l’artista stesso potrà scegliere se concepire un oggetto ex novo o se dare una visione personale di un prodotto Euromobil già esistente.
L’edizione passata del premio ha visto vincitore il giovane Yakub Nepraš, videoartist della Repubblica Ceca che ha deciso di creare una video installazione partendo da una chaisse longe che sarà esposta nello stand del gruppo aziendale.
Lo stand stesso merita una visita: situato nel padiglione “I luoghi dell’arte e i luoghi del design” progettato da Roberto Gobbo, architetto e designer di Euromobil, presenterà un inconsueto dialogo tra l’arte e il design. Le opere di Fabrizio Plessi, celebre artista italiano, e del già citato Yakub Nepraš troveranno spazio in un allestimento che vedrà protagonisti anche complementi d’arredo e materiali industriali in un contesto certamente originale. L'azienda veneta vuole che il proprio stand sia un luogo di incontro coinvolgente nel quale si creino occasioni di confronto.
Per assegnare il premio, anche quest’anno, è stata nominata un’apposita giuria, composta, oltre che dai quattro fratelli Lucchetta, da competenze di spicco proveniente dal mondo dell’arte: Silvia Evangelisti direttore artistico di Arte Fiera e critica d'arte, Gianfranco Maraniello, direttore del MAMBO, Philippe Daverio critico d’arte, Aldo Colonnetti, direttore scientifico dello IED e ancora Roberto Gobbo.
Infine l’impegno di Euromobil varca anche i confini di Arte Fiera. Tra i vari eventi collaterali che orbitano attorno alla manifestazione, la cosiddetta Fuori Fiera, trova spazio anche una mostra allestita su espressa iniziativa di Euromobil. Nella Palazzina dell’Esprit Nouveau, progettata nel 1925 da Le Corbusier, sarà allestita un’esposizione dedicata al pittore triestino Carmelo Zotti, scomparso lo scorso 17 maggio. In mostra una trentina di opere, integrate da preziosi documenti d’archivio messi a disposizione dalla vedova del maestro, la pittrice Brigitte Brand, a sua volta amica di vecchia data dei fratelli Lucchetta. Curata da Philippe Daverio e da Cristina Beltrami, la mostra "Zotti. Orizzonti onirici" vuole celebrare l'uomo e la sua vita documentandone le passioni, i viaggi, i momenti decisivi.
Anche quest’anno il main sponsor di Arte Fiera è Euromobil, la celebre azienda d’arredamento che da diversi anni è impegnata nel patrocinio del mondo culturale italiano.Seguendo il motto: “squadra che vince, non si cambia” gli organizzatori di Arte Fiera e Euromobil hanno deciso nuovamente di unire le proprie sinergie, entrambi da sempre attenti, seppur in modo differente, alla promozione del bello e dell’innovazione.
Euromobil, azienda a direzione famigliare, da oltre trent’anni sostiene l’arte in diversi modi: promuovendo artisti italiani e internazionali, conservando e collezionando opere d’arte e partecipando come sponsor a grandi eventi culturali dal forte ritorno reputazionale. Il brand è legato alle iniziative di Brescia Musei e da circa un decennio al nome del curatore Marco Goldin. Inoltre il gruppo ha contribuito alla realizzazione di mostre internazionali al Louvre, al Musée d’Orsay, all'Hermitage di Sanpietroburgo e al Guggenheim di Bilbao.
Ora l’impegno con Arte Fiera, un importante appuntamento internazionale che gli appassionati di arte contemporanea non mancheranno di visitare.
Sostenere la creatività, però, può non significare semplicemente offrire il proprio contributo finanziario. Euromobil dà un senso anche imprenditoriale alla propria partecipazione alla fiera bolognese: allestisce un proprio spazio e soprattutto istituisce il Premio Gruppo Euromobil. Destinato a una giovane promessa dell’arte contemporanea, ossia un artista rigorosamente under 30, il premio verrà assegnato a un’opera che sarà acquistata dai fratelli Lucchetta ed esposta nella sede centrale dell’azienda veneta.
Il rapporto tra sponsor e artista, però, non si esaurisce qui, diviene invece generativo. Al vincitore verrà data la possibilità di cimentare il proprio talento interagendo con l’azienda nella creazione di un oggetto di design; l’artista stesso potrà scegliere se concepire un oggetto ex novo o se dare una visione personale di un prodotto Euromobil già esistente.
L’edizione passata del premio ha visto vincitore il giovane Yakub Nepraš, videoartist della Repubblica Ceca che ha deciso di creare una video installazione partendo da una chaisse longe che sarà esposta nello stand del gruppo aziendale.
Lo stand stesso merita una visita: situato nel padiglione “I luoghi dell’arte e i luoghi del design” progettato da Roberto Gobbo, architetto e designer di Euromobil, presenterà un inconsueto dialogo tra l’arte e il design. Le opere di Fabrizio Plessi, celebre artista italiano, e del già citato Yakub Nepraš troveranno spazio in un allestimento che vedrà protagonisti anche complementi d’arredo e materiali industriali in un contesto certamente originale. L'azienda veneta vuole che il proprio stand sia un luogo di incontro coinvolgente nel quale si creino occasioni di confronto.
Per assegnare il premio, anche quest’anno, è stata nominata un’apposita giuria, composta, oltre che dai quattro fratelli Lucchetta, da competenze di spicco proveniente dal mondo dell’arte: Silvia Evangelisti direttore artistico di Arte Fiera e critica d'arte, Gianfranco Maraniello, direttore del MAMBO, Philippe Daverio critico d’arte, Aldo Colonnetti, direttore scientifico dello IED e ancora Roberto Gobbo.
Infine l’impegno di Euromobil varca anche i confini di Arte Fiera. Tra i vari eventi collaterali che orbitano attorno alla manifestazione, la cosiddetta Fuori Fiera, trova spazio anche una mostra allestita su espressa iniziativa di Euromobil. Nella Palazzina dell’Esprit Nouveau, progettata nel 1925 da Le Corbusier, sarà allestita un’esposizione dedicata al pittore triestino Carmelo Zotti, scomparso lo scorso 17 maggio. In mostra una trentina di opere, integrate da preziosi documenti d’archivio messi a disposizione dalla vedova del maestro, la pittrice Brigitte Brand, a sua volta amica di vecchia data dei fratelli Lucchetta. Curata da Philippe Daverio e da Cristina Beltrami, la mostra "Zotti. Orizzonti onirici" vuole celebrare l'uomo e la sua vita documentandone le passioni, i viaggi, i momenti decisivi.
Addio a Ettore Sottsass
Aveva da poco compiuto novant’anni Ettore Sottsass, geniale architetto, designer, scrittore e fotografo che ha saputo reinventare l’industrial design italiano.
Scomparso il 31 dicembre scorso, era nato a Innsbruck nel 1917. Figlio di Ettore Sottsass senior, ingegnere civile esponente del razionalismo europeo, si laureò al Politecnico di Torino e fu allievo del pittore Spazzapan.
Appena cinque anni fa, scriveva nella sua autobiografia Scritti che “se qualcosa ci salverà, sarà la bellezza”, rispondendo così all’annosa questione posta da Dostoevskij. E con sincera devozione ha creduto a questa poetica e al suo messaggio dirompente, come si evince dalle sue creazioni, siano queste strutture architettoniche o complementi d’arredo.
Celebre protagonista del novecento, quattro volte insignito del premio Compasso d’oro, non aderì mai all’estetica razionalista del Bauhaus e alla rigidità del Movimento Moderno, ma ne superò gli schemi proponendo un design pratico, un’estetica ludica, un’architettura centrata sull’essere umano. Amava ricordare che l’architettura deve costruire spazi da abitare, spazi che possano essere vissuti, dai quali possano scaturire sentimenti. Seppe rifiutare le logiche mondane del marketing e rimase sempre fedele ai suoi ideali morali. Anticonformista, nemico dei compromessi, cercò le dissonanze nella realtà e le reinterpretò con fantasia e gusto. Animato da un’inesauribile capacità di rimettersi in gioco, cambiando punto di vista, evolvendosi, seppe trovare innumerevoli vie per esprimere la sua generosa creatività.
Intellettualmente legato alla Pop art e alla Beat Generation, amò il cubismo, l’astrattismo e il surrealismo; con la prima moglie, Fernanda Pivano, viaggiò a lungo, macchina fotografica al collo, negli Stati Uniti e in Oriente.
Negli anni quaranta e cinquanta partecipò come artista al MAC, Movimento Arte Concreta, e allo Spazialismo dell’amico Fontana; nella seconda metà degli anni sessanta diede vita alla grande svolta del radical design affermando un’estetica basata su principi etico-politici, sganciata dal consumismo imperante. Da questa vena sperimentale e colorata nacquero oggetti di design allegri e funzionali. Le idee di Sottsass trionfarono alle fine degli anni settanta quando, con Andrea Branzi e Alessandro Mendini, fondò il gruppo Alchimia, che diede vita a creazioni che esaltarono l’uso dei colori e del decorativismo, in contrasto con l’imperante austero modernismo. Sempre con Mendini e con la seconda moglie Barbara Radice, diede vita nei primi anni ottanta al collettivo Memphis con lo scopo di restituire agli oggetti un valore simbolico ed emotivo. Ne facevano parte anche Arata Isozaki, Matteo Thun, Michele de Lucchi e Gorge Sowden. Considerato uno dei movimenti più significativi del design italiano, diede una svolta alla filosofia del design, ponendone l’accento sull’estetica e creando vere e proprie icone della modernità.
Nel 1980 nacque lo studio Sottsass e associati che tuttora porta avanti una progettualità che ruota attorno all’uomo, che si prefigge di migliorare l’arredo urbano e gli spazi interni, creando luoghi da vivere.
Per trent’anni, Sottsass fu progettista per la Olivetti, lavorò anche per Poltronova ed entrambe le aziende devono a lui parte della propria fama. Negli oggetti che creò, ricercò costantemente quella dimensione sensoriale che contraddistinse tutta la sua attività. Ricordiamo ad esempio le macchine da scrivere “Valentina” oggi esposte nella collezione permanente del MoMa di New York.
Nel design, come nell’architettura, Sottsass fu fermamente convinto che il prodotto dovesse essere in relazione con il suo fruitore. La forma adatta alla funzione, in un intreccio di gioco e utopia che ha caratterizzato i diversi lavori dell’architetto: macchine da scrivere, lampade, mobili, gioielli, fino ai disegni delle nuove città ideali.
Le sue creazioni sono state più volte celebrate in mostre di notevole importanza, la prima delle quali al MoMa nel 1972: una collettiva sugli esponenti del made in Italy, dal titolo “Italy: the new domestic landscape”. Ricordiamo anche la retrospettiva personale del 2005 al Mart di Rovereto: “Sottsass. Progetti 1946 – 2005” Infine è ancora in corso la mostra che celebra il suo novantesimo compleanno e nella quale egli stesso si è impegnato, seguendone l’allestimento e presentando la conferenza stampa: a Trieste, presso il Salone degli Incanti dell’ex Pescheria, fino al 2 marzo, “Vorrei sapere perché”.
Scomparso il 31 dicembre scorso, era nato a Innsbruck nel 1917. Figlio di Ettore Sottsass senior, ingegnere civile esponente del razionalismo europeo, si laureò al Politecnico di Torino e fu allievo del pittore Spazzapan.
Appena cinque anni fa, scriveva nella sua autobiografia Scritti che “se qualcosa ci salverà, sarà la bellezza”, rispondendo così all’annosa questione posta da Dostoevskij. E con sincera devozione ha creduto a questa poetica e al suo messaggio dirompente, come si evince dalle sue creazioni, siano queste strutture architettoniche o complementi d’arredo.
Celebre protagonista del novecento, quattro volte insignito del premio Compasso d’oro, non aderì mai all’estetica razionalista del Bauhaus e alla rigidità del Movimento Moderno, ma ne superò gli schemi proponendo un design pratico, un’estetica ludica, un’architettura centrata sull’essere umano. Amava ricordare che l’architettura deve costruire spazi da abitare, spazi che possano essere vissuti, dai quali possano scaturire sentimenti. Seppe rifiutare le logiche mondane del marketing e rimase sempre fedele ai suoi ideali morali. Anticonformista, nemico dei compromessi, cercò le dissonanze nella realtà e le reinterpretò con fantasia e gusto. Animato da un’inesauribile capacità di rimettersi in gioco, cambiando punto di vista, evolvendosi, seppe trovare innumerevoli vie per esprimere la sua generosa creatività.
Intellettualmente legato alla Pop art e alla Beat Generation, amò il cubismo, l’astrattismo e il surrealismo; con la prima moglie, Fernanda Pivano, viaggiò a lungo, macchina fotografica al collo, negli Stati Uniti e in Oriente.
Negli anni quaranta e cinquanta partecipò come artista al MAC, Movimento Arte Concreta, e allo Spazialismo dell’amico Fontana; nella seconda metà degli anni sessanta diede vita alla grande svolta del radical design affermando un’estetica basata su principi etico-politici, sganciata dal consumismo imperante. Da questa vena sperimentale e colorata nacquero oggetti di design allegri e funzionali. Le idee di Sottsass trionfarono alle fine degli anni settanta quando, con Andrea Branzi e Alessandro Mendini, fondò il gruppo Alchimia, che diede vita a creazioni che esaltarono l’uso dei colori e del decorativismo, in contrasto con l’imperante austero modernismo. Sempre con Mendini e con la seconda moglie Barbara Radice, diede vita nei primi anni ottanta al collettivo Memphis con lo scopo di restituire agli oggetti un valore simbolico ed emotivo. Ne facevano parte anche Arata Isozaki, Matteo Thun, Michele de Lucchi e Gorge Sowden. Considerato uno dei movimenti più significativi del design italiano, diede una svolta alla filosofia del design, ponendone l’accento sull’estetica e creando vere e proprie icone della modernità.
Nel 1980 nacque lo studio Sottsass e associati che tuttora porta avanti una progettualità che ruota attorno all’uomo, che si prefigge di migliorare l’arredo urbano e gli spazi interni, creando luoghi da vivere.
Per trent’anni, Sottsass fu progettista per la Olivetti, lavorò anche per Poltronova ed entrambe le aziende devono a lui parte della propria fama. Negli oggetti che creò, ricercò costantemente quella dimensione sensoriale che contraddistinse tutta la sua attività. Ricordiamo ad esempio le macchine da scrivere “Valentina” oggi esposte nella collezione permanente del MoMa di New York.
Nel design, come nell’architettura, Sottsass fu fermamente convinto che il prodotto dovesse essere in relazione con il suo fruitore. La forma adatta alla funzione, in un intreccio di gioco e utopia che ha caratterizzato i diversi lavori dell’architetto: macchine da scrivere, lampade, mobili, gioielli, fino ai disegni delle nuove città ideali.
Le sue creazioni sono state più volte celebrate in mostre di notevole importanza, la prima delle quali al MoMa nel 1972: una collettiva sugli esponenti del made in Italy, dal titolo “Italy: the new domestic landscape”. Ricordiamo anche la retrospettiva personale del 2005 al Mart di Rovereto: “Sottsass. Progetti 1946 – 2005” Infine è ancora in corso la mostra che celebra il suo novantesimo compleanno e nella quale egli stesso si è impegnato, seguendone l’allestimento e presentando la conferenza stampa: a Trieste, presso il Salone degli Incanti dell’ex Pescheria, fino al 2 marzo, “Vorrei sapere perché”.
La parola nell'arte. L'arte senza confini al Mart di Rovereto
Ketty La Rocca, Elettro…addomesticati, 1965. Rovereto, Mart, Archivio Tullia Denza.
È raro visitare un’esposizione che risulti praticamente perfetta. È altrettanto raro imbattersi in una mostra che è allo stesso tempo un ambizioso progetto intellettuale. Difficile risulta allestire uno spazio con un tema inedito, attuale, affascinante. Solamente poche istituzioni sono capaci di essere all’altezza di una proposta con tali caratteristiche. E il Mart lo è.
La mostra “La parola nell’arte. Ricerche d’avanguardia del ‘900. Dal Futurismo a oggi attraverso le collezioni del Mart” sarà allestita fino al 6 aprile al Mart di Rovereto che ha appena festeggiato i suoi primi cinque anni di attività. Cinque anni di esposizioni di successo, originali e indovinate, una collezione di notevole importanza, un dipartimento educazione tra i più validi in Italia sono gli elementi che hanno contribuito a far apprezzare la sede museale.
La parola nell’arte è la prima rassegna italiana attraverso la quale si indaga qual è, e quale è stato, il ruolo della scrittura nelle espressioni artistiche del XX secolo. Un tema seducente e allo stesso tempo di non semplice realizzazione che il Mart ha saputo indagare utilizzando sapientemente le opere della propria collezione e riuscendo a ottenere importanti prestiti. Inoltre la mostra è organizzata in collaborazione con Museion, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Bolzano.
Una mostra che è filosofia dell’arte, capace di mescolare linguaggi e contenuti e di risolversi in un’esperienza di crescita per il fruitore. Si esce dal Mart arricchiti di un nuovo bagaglio, gli stimoli sono innumerevoli e piacevole diviene la voglia di documentarsi, di conoscere, di apprendere ancora. Non solo un’esposizione artistica, ma un’indagine storico-scientifica sul secolo appena trascorso, prezioso contributo intellettuale al mondo contemporaneo.
Nelle opere presentate le contaminazioni verbovisuali portano la deflagrazione della linearità bidimensionale della carta stampata. I caratteri acquistano fisicità, la comunicazione diventa polisensoriale e declama i suoi messaggi con straordinaria forza in un evento artistico totale.
Il progetto è stato realizzato da un intero comitato curatoriale coordinato da Giorgio Zanchetti e che vede tra i suoi membri Gabriella Belli, Nicoletta Boschiero e Achille Bonito Oliva.
Il percorso espositivo si snoda cronologicamente in undici sezioni artistico-letterarie che rendono la visita lunga e avvincente: Il Futurismo, Dada e Surrealismo, L’avanguardia russa, La forma nella parola, Rivoluzione in parole, Parole in gioco, Parola e azione, Calligrafia, Parola e pensiero, Narrazione, Parola negata. Si parte quindi con i futuristi, iniziatori con le celebri sperimentazioni linguistiche della riflessione sul linguaggio figurativo e, passando per le avanguardie del ‘900, si termina con le ricerche più contemporanee.
Ogni opera va letta, guardata, elaborata, confrontata con le altre. Piccoli capolavori e grandi installazioni si alternano, permettendoci di comprendere quanto la letteratura e la poesia abbiano contribuito alla nascita dei diversi periodi artistici. La riflessione supera la mera dimensione estetica per divenire nel fruitore critica letteraria, scientifica e artistica. Linguaggio e immagini si intrecciano in una relazione eterogenea nella quale la Parola è la vera protagonista, qui scritta, là disegnata, altrove cancellata, in alcune opere celebrata, in altre negata, talvolta rivoluzionaria, politica, talaltra svuotata di senso, in alcuni casi assunta a mero segno grafico. Nelle sale troviamo libri, dipinti, disegni, manifesti, video, collage, installazioni. Oltre 800 opere esposte per ri-leggere l’arte contemporanea attraverso le contaminazioni tra linguaggi differenti. La transidisciplinarietà diviene il fil rouge da seguire in una molteplicità di esperienze di artisti assai differenti tra loro, dalle sperimentazioni su carta di Filippo Martinetti ai libri illeggibili di Bruno Munari, passando per le contaminazioni musicali di Jonh Cage e Giuseppe Chiari fino alle lavagne di Joseph Beuys. E ancora i libri oggetto di Duchamps, le sperimentazioni di Man Ray, i testi di Majakowskij, l’impegno femminista di Ketty La Rocca, la scrittura metropolitana di Basquiat, la serialità di Warhol, l’arte concettuale di Kosuth, la voce tonante di Michelangelo Pistoletto, le problematiche culturali di Shirin Neshat e quelle sociali di Marzia Migliora. Una mostra quindi consistente sia dal punto di vista numerico, sia qualitativo delle opere esposte. Un tema di ricerca poco esplorato eppure così ricco di suggestioni, capace di contenere in sé tutti i linguaggi e tutte le forme.
È raro visitare un’esposizione che risulti praticamente perfetta. È altrettanto raro imbattersi in una mostra che è allo stesso tempo un ambizioso progetto intellettuale. Difficile risulta allestire uno spazio con un tema inedito, attuale, affascinante. Solamente poche istituzioni sono capaci di essere all’altezza di una proposta con tali caratteristiche. E il Mart lo è.
La mostra “La parola nell’arte. Ricerche d’avanguardia del ‘900. Dal Futurismo a oggi attraverso le collezioni del Mart” sarà allestita fino al 6 aprile al Mart di Rovereto che ha appena festeggiato i suoi primi cinque anni di attività. Cinque anni di esposizioni di successo, originali e indovinate, una collezione di notevole importanza, un dipartimento educazione tra i più validi in Italia sono gli elementi che hanno contribuito a far apprezzare la sede museale.
La parola nell’arte è la prima rassegna italiana attraverso la quale si indaga qual è, e quale è stato, il ruolo della scrittura nelle espressioni artistiche del XX secolo. Un tema seducente e allo stesso tempo di non semplice realizzazione che il Mart ha saputo indagare utilizzando sapientemente le opere della propria collezione e riuscendo a ottenere importanti prestiti. Inoltre la mostra è organizzata in collaborazione con Museion, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Bolzano.
Una mostra che è filosofia dell’arte, capace di mescolare linguaggi e contenuti e di risolversi in un’esperienza di crescita per il fruitore. Si esce dal Mart arricchiti di un nuovo bagaglio, gli stimoli sono innumerevoli e piacevole diviene la voglia di documentarsi, di conoscere, di apprendere ancora. Non solo un’esposizione artistica, ma un’indagine storico-scientifica sul secolo appena trascorso, prezioso contributo intellettuale al mondo contemporaneo.
Nelle opere presentate le contaminazioni verbovisuali portano la deflagrazione della linearità bidimensionale della carta stampata. I caratteri acquistano fisicità, la comunicazione diventa polisensoriale e declama i suoi messaggi con straordinaria forza in un evento artistico totale.
Il progetto è stato realizzato da un intero comitato curatoriale coordinato da Giorgio Zanchetti e che vede tra i suoi membri Gabriella Belli, Nicoletta Boschiero e Achille Bonito Oliva.
Il percorso espositivo si snoda cronologicamente in undici sezioni artistico-letterarie che rendono la visita lunga e avvincente: Il Futurismo, Dada e Surrealismo, L’avanguardia russa, La forma nella parola, Rivoluzione in parole, Parole in gioco, Parola e azione, Calligrafia, Parola e pensiero, Narrazione, Parola negata. Si parte quindi con i futuristi, iniziatori con le celebri sperimentazioni linguistiche della riflessione sul linguaggio figurativo e, passando per le avanguardie del ‘900, si termina con le ricerche più contemporanee.
Ogni opera va letta, guardata, elaborata, confrontata con le altre. Piccoli capolavori e grandi installazioni si alternano, permettendoci di comprendere quanto la letteratura e la poesia abbiano contribuito alla nascita dei diversi periodi artistici. La riflessione supera la mera dimensione estetica per divenire nel fruitore critica letteraria, scientifica e artistica. Linguaggio e immagini si intrecciano in una relazione eterogenea nella quale la Parola è la vera protagonista, qui scritta, là disegnata, altrove cancellata, in alcune opere celebrata, in altre negata, talvolta rivoluzionaria, politica, talaltra svuotata di senso, in alcuni casi assunta a mero segno grafico. Nelle sale troviamo libri, dipinti, disegni, manifesti, video, collage, installazioni. Oltre 800 opere esposte per ri-leggere l’arte contemporanea attraverso le contaminazioni tra linguaggi differenti. La transidisciplinarietà diviene il fil rouge da seguire in una molteplicità di esperienze di artisti assai differenti tra loro, dalle sperimentazioni su carta di Filippo Martinetti ai libri illeggibili di Bruno Munari, passando per le contaminazioni musicali di Jonh Cage e Giuseppe Chiari fino alle lavagne di Joseph Beuys. E ancora i libri oggetto di Duchamps, le sperimentazioni di Man Ray, i testi di Majakowskij, l’impegno femminista di Ketty La Rocca, la scrittura metropolitana di Basquiat, la serialità di Warhol, l’arte concettuale di Kosuth, la voce tonante di Michelangelo Pistoletto, le problematiche culturali di Shirin Neshat e quelle sociali di Marzia Migliora. Una mostra quindi consistente sia dal punto di vista numerico, sia qualitativo delle opere esposte. Un tema di ricerca poco esplorato eppure così ricco di suggestioni, capace di contenere in sé tutti i linguaggi e tutte le forme.
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