Daniel Glaser + Magdalena Kunz Kind, 2007 tecnica mista, installazione. Courtesy Gagliardi Art System, Torino
Talking heads è titolo del nuovo sconcertante lavoro della coppia di artisti svizzeri Glaser e Kunz, esposto fino al 26 febbraio presso la sede di GAS - Gagliardi Art System a Torino. Gli artisti presentano un progetto articolato in tre videoinstallazioni che hanno come filo conduttore l’essere umano e le sue domande sull’esistenza. Domande alle quali non c’è risposta, quesiti che esprimono un’inquietudine profonda.
Tre installazioni, una delle quali autobiografica, nelle quali i soggetti sono soli, incompresi eppure si ostinano ad esprimere una naturale tensione alla ricerca di soluzioni e pareri, contraddicendo la realtà che nega le sentenze nette.
Una crisi profonda e uno smarrimento identitario pongono continue questioni al visitatore, tentando di indurlo in un profondo e intimo livello di riflessione. Glaser e Kunz non offrono risposte, la loro arte diventa una pungente provocazione, nella quale l’impatto inesorabile di domande continue genera un inquieto malessere.
Le tre opere sono rappresentazioni cinematiche quasi reali, lavori di commistione che sanno essere happening, videoarte, scultura, installazioni. I dettagli delle opere e della sede espositiva rendono l’allestimento di forte impatto emotivo: luci, suoni, voci circondano l’astante permettendogli di relazionarsi profondamente con le opere e di isolarsi nella fruizione, che in rari casi può diventare un momento tanto personale.
L’installazione Kind/Bambino rappresenta un bambino sorridente e allegro posto tra scatole con l’indicazione “fragile” e oggetti che nulla hanno a che fare con l’infanzia. Un’atmosfera livida e incerta caratterizza la scena. Intorno si odono voci adulte, in lingue diverse, che pongono difficili quesiti che contrastano con la serenità del piccolo, che pare gettato e abbandonato in un presente denso di perplessità.
Drehbuch/Sceneggiatura rappresenta un giovane scrittore sperduto tra le sue carte, che sono ovunque: sul tavolo, sul pavimento, in volo. Il ragazzo è accucciato per terra, avvolto in una coperta e si interroga (o ci interroga?) attraverso un monologo fatto di domande sconnesse le une dalle altre. Lo spleen giovanile e creativo crea ansia anche nello spettatore, incerto se avvicinarsi per cogliere maggiormente i dettagli tecnici dell’installazione o se invece ascoltare la sequenza di domande, un loop senza fine che inquieta e isola.
Infine in Autoportrait/Autoritratto i soggetti sono due e rappresentano gli artisti stessi che chiusi in un’automobile sollevano dubbi mediante domande, anche questa volta, senza risposta.
Il tema ruota attorno al mondo dell’arte, alla figura degli artisti e alla natura della creatività. Lo spaesamento quindi trascina completamente gli artisti nelle proprie opere ma anche nella propria esistenza, mediata qui attraverso un’installazione meta-treatrale che affascina e sconcerta. Entrambi i soggetti nell’autovettura si interrogano, ma non si ascoltano, il dialogo è slegato, come se ognuno seguisse un suo percorso introspettivo. Questa installazione dovrà diventare, secondo l’intenzione degli artisti, una performance itinerante che toccherà le principali capitali europee.
Presso la Gas sono esposti anche i lavori del giovane sloveno Miha Štrukelj, alla sua seconda personale in Italia. Pittura e disegno le tecniche con le quali esprime una personale, ma neppure troppo originale, analisi della contemporaneità, facendo dialogare fogli di carta millimetrata e planimetrie a giochi di bianco e nero.
Scompone le immagini e utilizza tecniche certamente non innovative, ma in modo nuovo. Grandi quadri che assumono significato solo se osservati dalla giusta distanza, dettagli minimi visibili soltanto avvicinandosi all’opera oltre quel confine che di solito, per una sorta di pudore reverenziale, non viene mai oltrepassato. Chiari riferimenti all’optical art e all’architettura più recente, in un’indagine che esplora la condizione sociale nelle città contemporanee.
Infine, un quadro costituito da piccoli regoli bianchi e neri, tasselli di plastica che compongono un grande mosaico ottico e che rievocano nella mente il ricordo di vecchi televisori a tubo catodico, stimolando, forse, una riflessione sui media e sull’informazione, oggi non sempre chiara, anzi: piuttosto distorta.
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