(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)
Quarto appuntamento con Padova Aprile Fotografia festival internazionale che aprirà i battenti il prossimo 22 marzo. Il tema scelto è Passaggi/Paesaggi 2 e subito il pensiero va agli spazi urbani e extraurbani della contemporaneità. Piace la sottile ironia del gioco di parole scelto per il titolo e l’idea di voler (rap)presentare le città e l’ambiente, luoghi contrapposti eppure inscindibili, lontani e allo stesso tempo vicini. Nell’era della globalizzazione e del conformismo spinto, solo l’arte è capace di indagare le contraddizioni e di sottolineare le differenze che albergano il nostro tempo.
Oggi gli strumenti per rappresentare la realtà non mancano, ma per certi temi d’attualità nulla è stimolante quanto la fotografia, capace di fermare il tempo e di catturarne gli istanti.
Il festival di Padova vuole presentare l’eccellenza della produzione fotografica internazionale e per essere più completo possibile si svilupperà attraverso una serie di percorsi e location differenti. Cinque diverse mostre allestite in altrettante raffinate sedi: i Musei Civici agli Eremitani, il Museo Civico di Piazza del Santo, le scuderie di Palazzo Moroni, la Galleria Sottopasso della Stua e la Galleria Cavour.
Il limite nei quale incorrono eventi di questo tipo è di essere troppo dispersivi, talvolta si rischia di strafare e si smarriscono i punti di riferimento, in parole semplici: il troppo stroppia. Al contrario il festival di Padova, per quanto ricco, pare non perda di vista la rotta e presenta una sola collettiva e ben quattro personali. Sarebbe infatti impensabile cercare lo sviluppo di uno stesso tema in troppe personalità, significherebbe forzarne il senso e sacrificare l’arte tentando di farla corrispondere a rigide definizioni.
L’unica collettiva del festival quindi sarà Passaggi a nord est, dal 6 aprile al 18 maggio alla Galleria Cavour. Curatori Italo Zannier e Enrico Gusella, quest’ultimo anche ideatore e curatore del festival, assieme ad Alessandra De Lucia. La mostra si sviluppa in due sezioni: la prima storica e la seconda più contemporanea il cui leitmotiv è costituito dalla ricerca di ispirazione nel paesaggio, fonte mai arida di suggestioni. Dalla natura inesplorata agli scenari urbani, dalla ambientazioni industriali alla street photography, dal reportage di viaggio alle testimonianze architettoniche… molteplici sguardi e interpretazioni emozioneranno il visitatore. In mostra venticinque grandi nomi della fotografia italiana e internazionale: Enzo e Raffaello Bassotto, Gianantonio Battistella, Gianni Berengo Gardin, Enrico Bossan, Giuseppe Bruno, Luca Campigotto, Elio Ciol, Orsenigo Chemollo,Diego Cinello, Mario De Biasi, Sergio Del Pero, Cesare Gerolimetto, Guido Guidi, Mario Lasalandra, Paolo Monti, Fulvio Roiter, Roberto Salbitani, Renzo Saviolo, Mario Sillani Djerrahian , Adriano Tomba, Giovanni Umicini, Italo Zannier e Marco Zanta.
Per le quattro personali invece quattro nomi che da soli convincerebbero anche i più pigri fra noi a fare un giretto al festival.
Si comincia con la mostra Buby Durini for Joseph Beuys presso i Musei Civici agli Eremitani. Indiscusso protagonista del novecento, innovatore travolgente e idealista convinto, incapace di porre freni alla sua vena creativa, fu scultore, musicista, disegnatore ma soprattutto ideatore di happening concettuali, le cosiddette azioni. In mostra una serie di istantanee che ritraggono Beuyes, le sue performance, i gesti, le pose permettendoci di avvicinarci all’artista e al suo pensiero filosofico. Curata da Lucrezia de Domizio Durini e da Enrico Gusella, la mostra inizierà il 22 marzo per proseguire fino al 4 maggio.
La Galleria Sottopasso della Stua, piccolo ma raro gioiello tra gli spazi padovani, celebra Davide Bramante con una mostra intitolata Diagonale d’Oriente dal 7 aprile al 31 maggio. Bramante documenta un viaggio da sud a nord, da Siracusa a Padova, durato circa un mese. In giro per lo Stivale alla ricerca di scorci inediti, Bramante è stato definito il “ribelle della fotografia” a causa della particolare tecnica di stratificazione delle immagini che ha scelto di utilizzare. Le immagini sovrapposte creano un’unica caleidoscopica opera, costituita dalla relazione tra le sue parti.
Dal 6 al 30 aprile le Scuderie di Palazzo Moroni saranno la nicchia ecologica dove troveranno spazio cinquanta fotografie a colori di Alexandre Marchi. Paesaggi urbani: transiti e differenze è il titolo della personale. Architetture metropolitane e luoghi inabitati sveleranno piccoli dettagli inaspettati, Marchi ama infatti ricercare elementi originali e insoliti che stravolgono i luoghi, creando punti di rottura che divengono nuovi punti di vista, capaci di stimolare una rilettura delle convenzioni.
Per concludere in bellezza gli amanti della fotografia potranno perdersi tra un’ottantina di lavori di Albert Steiner al Museo Civico di Piazza del Santo. Del paesaggio sublime, dal 29 marzo al 18 maggio, presenta scatti dei paesaggi alpini tanto cari allo Svizzero. Attraverso scenari spettacolari l’indagine di Steiner tenta di esprimere il concetto di fugacità umana e quello di eternità del natura e dell’arte. Effimero è l’uomo di fronte ai valori atemporali e alle armonie universali. L’artista fu promotore del valore artistico della fotografia in un momento storico nel quale alta era la presunta competizione tra differenti linguaggi artistici.
Insomma Padova Aprile Fotografia, organizzato dal Centro Nazionale di Fotografia, si preannuncia come un evento ricco non solo di arte ma anche di filosofia e idee complesse, in una miscellanea che emozionerà e stimolerà nuove riflessioni.
Info: http://cnf.padovanet.it
Art Brussels avrà luogo dal 18 al 21 aprile
(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)
La ventiseiesima edizione di Art Brussels avrà luogo dal 18 al 21 aprile e si fregia del titolo di “piattaforma europea dell’arte contemporanea”. Sicuramente i numeri per essere centrali nel panorama delle fiere internazionali non mancano: 178 gallerie provenienti da 25 paesi presenteranno oltre 2.000 artisti. Nelle scorse edizioni è stato calcolato che un visitatore su cinque non provenisse dal Belgio, stima che conferma il respiro internazionale della fiera.
I galleristi saranno suddivisi in tre sezioni-zone: Galleries, Young Talent e First Call, funzionali a distinguere le giovani gallerie dalle presenze consolidate del mercato dell’arte. Inoltre c’è una zona Solo Shows per esibizioni personali. Il miglior Solo Show verrà segnalato dal Collettors Commitee, il Comitato consultivo dei collezionisti, che si occupa anche di selezionare le giovani gallerie della sezione First Call. Questa sezione è peculiare in quanto rende la fiera unica nel suo genere, per ora infatti nessun’altro evento fieristico può vantare una sezione simile, anche se, ormai ovunque, l’attenzione ai giovani talenti e alle istituzioni emergenti è preponderante. La fiera belga però da tempo punta sui nuovi trend e loda la propria fama di talent scout. Numerosi sono i critici e gli appassionati che vi fanno visita a questo scopo.
A Brussels avrà luogo una fiera che vuole essere allo stesso tempo notevole e mondana, come confermato dai numeri e dalla gestione. Gli organizzatori si vantano di aver vagliato oltre 400 domande di galleristi interessati ad esporre e di aver scelto solo coloro che posseggono profili e programmi di respiro internazionale. A operare la selezione un apposito comitato di esperti, ovviamente composto da membri di diversi paesi. Ingenti risorse sono messe a disposizione per rendere elegante la situazione, con il rischio di farla apparire persino un po’ pacchiana; per esempio è concessa l’entrata gratuita alle “signore” nel giorno di venerdì 18 aprile, come nelle migliori discoteche. Appositi tour con tanto di guida vengono organizzati, su richiesta, per il personale e i clienti di gruppi aziendali interessati all’arte contemporanea. L’obiettivo è incentivare le aziende a interessarsi al mondo dell’arte contemporanea, cavalcando un trend attuale e di sicuro riscontro economico.
Numerosi gli artisti belgi presenti all’edizione del 2008, le anticipazioni parlano di Hans Op de Beeck, Koen Van den Broek, Jan Vercruysse, Wim Delvoye, Jan Fabre, Michel François, Panamarenko, Walter Swennen e Marthe Wér.
Anche gli artisti stranieri renderanno appetibile l’evento, tra gli altri dovrebbero esserci opere di Louise Bourgeois, Wang Du, Damien Hirst, Julian Opie, Tony Oursler, Robin Rhode, Ed Ruscha, Sam Samore, Cindy Sherman, Stephen Shore, Su-Mei Tse, Franz West e Erwin Wurm.
Inoltre una serie di lavori e installazioni verrà creata appositamente per la fiera. Curata da Filip Luyckx, direttore artistico della Sint-Lukasgalerie la mostra si intitolerà Ephemeral Fringes e vedrà la collaborazione di artisti provenienti da ambienti differenti, eppure accomunati questa volta dal tema scelto, che dovranno sviluppare opere introspettive, capaci di relazionarsi tra loro e che conducano ad una riflessione. La mostra viene presentata dagli organizzatori come qualcosa che completa e commenta la fiera, come una nota a margine.
Ovviamente, come la tradizione fieristica ormai impone, nella serata di sabato, musei e gallerie cittadine resteranno aperti per organizzare una serie di eventi collaterali che intratterranno il pubblico dopo la fiera e lo accoglieranno nella capitale belga.
La ventiseiesima edizione di Art Brussels avrà luogo dal 18 al 21 aprile e si fregia del titolo di “piattaforma europea dell’arte contemporanea”. Sicuramente i numeri per essere centrali nel panorama delle fiere internazionali non mancano: 178 gallerie provenienti da 25 paesi presenteranno oltre 2.000 artisti. Nelle scorse edizioni è stato calcolato che un visitatore su cinque non provenisse dal Belgio, stima che conferma il respiro internazionale della fiera.
I galleristi saranno suddivisi in tre sezioni-zone: Galleries, Young Talent e First Call, funzionali a distinguere le giovani gallerie dalle presenze consolidate del mercato dell’arte. Inoltre c’è una zona Solo Shows per esibizioni personali. Il miglior Solo Show verrà segnalato dal Collettors Commitee, il Comitato consultivo dei collezionisti, che si occupa anche di selezionare le giovani gallerie della sezione First Call. Questa sezione è peculiare in quanto rende la fiera unica nel suo genere, per ora infatti nessun’altro evento fieristico può vantare una sezione simile, anche se, ormai ovunque, l’attenzione ai giovani talenti e alle istituzioni emergenti è preponderante. La fiera belga però da tempo punta sui nuovi trend e loda la propria fama di talent scout. Numerosi sono i critici e gli appassionati che vi fanno visita a questo scopo.
A Brussels avrà luogo una fiera che vuole essere allo stesso tempo notevole e mondana, come confermato dai numeri e dalla gestione. Gli organizzatori si vantano di aver vagliato oltre 400 domande di galleristi interessati ad esporre e di aver scelto solo coloro che posseggono profili e programmi di respiro internazionale. A operare la selezione un apposito comitato di esperti, ovviamente composto da membri di diversi paesi. Ingenti risorse sono messe a disposizione per rendere elegante la situazione, con il rischio di farla apparire persino un po’ pacchiana; per esempio è concessa l’entrata gratuita alle “signore” nel giorno di venerdì 18 aprile, come nelle migliori discoteche. Appositi tour con tanto di guida vengono organizzati, su richiesta, per il personale e i clienti di gruppi aziendali interessati all’arte contemporanea. L’obiettivo è incentivare le aziende a interessarsi al mondo dell’arte contemporanea, cavalcando un trend attuale e di sicuro riscontro economico.
Numerosi gli artisti belgi presenti all’edizione del 2008, le anticipazioni parlano di Hans Op de Beeck, Koen Van den Broek, Jan Vercruysse, Wim Delvoye, Jan Fabre, Michel François, Panamarenko, Walter Swennen e Marthe Wér.
Anche gli artisti stranieri renderanno appetibile l’evento, tra gli altri dovrebbero esserci opere di Louise Bourgeois, Wang Du, Damien Hirst, Julian Opie, Tony Oursler, Robin Rhode, Ed Ruscha, Sam Samore, Cindy Sherman, Stephen Shore, Su-Mei Tse, Franz West e Erwin Wurm.
Inoltre una serie di lavori e installazioni verrà creata appositamente per la fiera. Curata da Filip Luyckx, direttore artistico della Sint-Lukasgalerie la mostra si intitolerà Ephemeral Fringes e vedrà la collaborazione di artisti provenienti da ambienti differenti, eppure accomunati questa volta dal tema scelto, che dovranno sviluppare opere introspettive, capaci di relazionarsi tra loro e che conducano ad una riflessione. La mostra viene presentata dagli organizzatori come qualcosa che completa e commenta la fiera, come una nota a margine.
Ovviamente, come la tradizione fieristica ormai impone, nella serata di sabato, musei e gallerie cittadine resteranno aperti per organizzare una serie di eventi collaterali che intratterranno il pubblico dopo la fiera e lo accoglieranno nella capitale belga.
Reykjavík Arts Festival
(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)
15 maggio - 5 giugno, sono le date da segnarsi per non perdere uno dei più importanti festival nord-europei di contaminazioni contemporanee: il Reykjavìk Arts Festival. Il numero delle edizioni precedenti quasi non si conta, considerato che il festival nasce nel 1970 con cadenza biennale per divenire, una trentina d’anni dopo, un appuntamento annuale. Caratterizzato da una forte presenza politica (esponenti amministrativi compongono il board organizzativo e pubblica è la natura della maggior parte dei finanziamenti) il festival si prefigge di promuove la cultura artistica islandese e internazionale. Il concetto appare un po’ vago e volutamente lascia spazio a differenti discipline: mostre, concerti, performance, danza, teatro e opera.
In questi anni, artisti di fama planetaria hanno presenziato all’importante rendez-vous: da Chagall a Picasso, da Matthew Barney a Tony Cragg, da Francesco Clemente a Spencer Tunick, tanto per citare alcuni nomi. E negli stessi giorni Goran Bregovic, Cesaria Evora, Luciano Pavarotti, Bjork, Anne Sofie von Otter, il tutto in una commistione di suoni e colori, che permette ogni volta di scivolare dalla musica contemporanea al jazz, dalla danza agli happening artistici, dalle videoinstallazioni all’opera…
Il festival, come sempre, si svilupperà in diverse sedi della capitale e in alcune altre città dell’Isola.
Come già nell’edizione del 2005, Jessica Morgan – curatrice alla Tate Modern - e Bjorn Roth cureranno il cosiddetto Focus on conteporary visual art, ampliando, anche dal punto di vista temporale, il festival, e presentando 30 esibizioni di artisti provenienti da diversi paesi. Il focus si svolgerà in luglio – agosto.
Il culmine del festival però è senza dubbio rappresentato dalla maratona d’arte: la Experiment Marathon Reykjavík (RAM), organizzata dal Reykjavìk Art Museum e dalla Serpentine Gallery di Londra. Partendo da una serie di installazioni, video, performance e film; artisti, architetti, film-maker e scienziati daranno vita a nuove invenzioni site specific, come nella migliore tradizione degli eventi organizzati dalla Serpentine Gallery. A curare e supervisionare il tutto nientepopodimeno che Hans Ulrich Obrist della Serpentine e Olafur Eliasson, vecchia conoscenza del festival, per avervi partecipato nel 2002 e nel 2005.
Tra i numerosi happening e appuntamenti, segnaliamo una retrospettiva sull’arte contemporanea croata, che avrà luogo presso la Gallery 100°, la mostra dell’artista svedese Karl Holmqvist, al The Living art Museum, infine la rassegna Art against Architecture alla National Gallery of Iceland che vedrà esposte le opere di Finnbogi Pétursson, Elín Hansdóttir, Steina (Vasulka) e Franz West e della nostra Monica Bonvicini che sul tema sta già lavorando da diversi anni.
15 maggio - 5 giugno, sono le date da segnarsi per non perdere uno dei più importanti festival nord-europei di contaminazioni contemporanee: il Reykjavìk Arts Festival. Il numero delle edizioni precedenti quasi non si conta, considerato che il festival nasce nel 1970 con cadenza biennale per divenire, una trentina d’anni dopo, un appuntamento annuale. Caratterizzato da una forte presenza politica (esponenti amministrativi compongono il board organizzativo e pubblica è la natura della maggior parte dei finanziamenti) il festival si prefigge di promuove la cultura artistica islandese e internazionale. Il concetto appare un po’ vago e volutamente lascia spazio a differenti discipline: mostre, concerti, performance, danza, teatro e opera.
In questi anni, artisti di fama planetaria hanno presenziato all’importante rendez-vous: da Chagall a Picasso, da Matthew Barney a Tony Cragg, da Francesco Clemente a Spencer Tunick, tanto per citare alcuni nomi. E negli stessi giorni Goran Bregovic, Cesaria Evora, Luciano Pavarotti, Bjork, Anne Sofie von Otter, il tutto in una commistione di suoni e colori, che permette ogni volta di scivolare dalla musica contemporanea al jazz, dalla danza agli happening artistici, dalle videoinstallazioni all’opera…
Il festival, come sempre, si svilupperà in diverse sedi della capitale e in alcune altre città dell’Isola.
Come già nell’edizione del 2005, Jessica Morgan – curatrice alla Tate Modern - e Bjorn Roth cureranno il cosiddetto Focus on conteporary visual art, ampliando, anche dal punto di vista temporale, il festival, e presentando 30 esibizioni di artisti provenienti da diversi paesi. Il focus si svolgerà in luglio – agosto.
Il culmine del festival però è senza dubbio rappresentato dalla maratona d’arte: la Experiment Marathon Reykjavík (RAM), organizzata dal Reykjavìk Art Museum e dalla Serpentine Gallery di Londra. Partendo da una serie di installazioni, video, performance e film; artisti, architetti, film-maker e scienziati daranno vita a nuove invenzioni site specific, come nella migliore tradizione degli eventi organizzati dalla Serpentine Gallery. A curare e supervisionare il tutto nientepopodimeno che Hans Ulrich Obrist della Serpentine e Olafur Eliasson, vecchia conoscenza del festival, per avervi partecipato nel 2002 e nel 2005.
Tra i numerosi happening e appuntamenti, segnaliamo una retrospettiva sull’arte contemporanea croata, che avrà luogo presso la Gallery 100°, la mostra dell’artista svedese Karl Holmqvist, al The Living art Museum, infine la rassegna Art against Architecture alla National Gallery of Iceland che vedrà esposte le opere di Finnbogi Pétursson, Elín Hansdóttir, Steina (Vasulka) e Franz West e della nostra Monica Bonvicini che sul tema sta già lavorando da diversi anni.
Torino 2011: il progetto presentato al Senato
È toccato a Sergio Chiamparino, sindaco di Torino, presentare al Senato il progetto per i festeggiamenti del 150° anniversario dell’Unità Nazionale. Di fronte a Carlo Azeglio Ciampi e ai garanti del Comitato sulla celebrazione è stato presentato il progetto piemontese.Grandi sono le aspettative di tutti su un evento organizzato dalla città che, con i XX Giochi Olimpici, si è aggiudicata il primato per l’organizzazione di eventi. Una nuova sfida per Torino, che deve dimostrare di saper superare se stessa e di essere, una volta ancora, profondamente eclettica. I festeggiamenti dureranno 250 giorni e sarà arduo tenere elevati e costanti i livelli d’attenzione e qualità. Ci toccherà aspettare per esprimere giudizi e dare i voti, ma possiamo già segnare un’importante nota di merito sui nostri registri: Chiamparino ha annunciato quali saranno le sedi nelle quali si svolgeranno i festeggiamenti. Non le solite provinciali e luccicanti location, ma coraggiosamente luoghi nuovi dalla forte valenza simbolica ai quali verrà affidato un tema specifico. In primis la neo restaurata reggia di Venaria, nella quale rivivere la grande storia del nostro risorgimento. La reggia, recentemente riaperta al pubblico che ha accolto la novità con passione ed entusiasmo sarà la sede deputata per il tema bellezza e saper vivere. Chi si aspettava il solito museo o il teatro in centro città o le sale del primo parlamento d’Italia, rimarrà piacevolmente stupito: la residenza si è rivelata vero gioiello tra i gioielli della cosiddetta Corona Sabauda. Storia e identità invece è il tema scelto per l’area della Spina, una viale di dodici chilometri costituito sulla vecchia ferrovia che tagliava in due la città. A Mirafiori troverà sviluppo il soggetto mobilità del futuro: si parte dalla storia dell’industria automobilistica per spingersi lontano. Sulla pista di prova per le auto Fiat si potranno provare veicoli a propellenti a zero impatto ambientale. Ricerca e innovazione è il tema scelto per l’innovativo Centro della Scienza. Infine gli immensi spazi verdi dei parchi Dora, Stura e Valentino e gli omonimi corsi d’acqua saranno il teatro per lo studio di ambiente e alimentazione. Torino quindi sceglie di celebrare il passato indirizzandosi all’analisi del presente e alle celebrazioni del futuro, dimostrando di sapersi rinnovare e di voler puntare su innovazione e cultura, punti cardine dello sviluppo economico di un territorio. Oltre ai vari partner pubblici che co-finanziano l’evento, main sponsor del progetto saranno Fiat e Compagnia di San Paolo. Non si tratterà però di mere sponsorizzazioni-investimento, agli sponsor è invece chiesto di partecipare attivamente all’ideazione del progetto. Ruolo di sponsor tecnico e finanziatore quindi per la casa automobilistica e la banca che un ruolo predominante hanno avuto nel torinese, condizionandone cicli economici e trasformazioni. Ovviamente numerosi saranno i partenariati pubblici e privati che contribuiranno alla realizzazione di un evento semestrale, durante il quale si succederanno mostre, spettacoli, incontri ed esposizioni. Ci auguriamo che gli organizzatori riescano a superare il limite dato dalla lunga durata dell’evento e ne creino al contrario il punto di forza: un evento fuori dall’ordinario per durata, intensità e investimenti.
Effetto Guggenheim a Torino. Intervento della dott.ssa Elisa Cerruti
(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°3 - febbraio/marzo 2008)
Effetto Guggenheim a Torino. Risultati socio-economici degli insestimenti culturali.
Il 10 gennaio presso il Salone d’Onore della Fondazione Crt è stata presentata una ricerca dal titolo: “Progetto capitale culturale.Cultura motore di sviluppo 2007-2009”.
A quattro anni di distanza dalla prima edizione, la ricerca, promossa dalla Divisione Servizi Culturali della Città di Torino, in collaborazione con Compagnia di San Paolo e Fondazione Crt, indaga quali siano gli effetti socio-economici degli investimenti culturali di provenienza pubblica e privata e quali i risultati delle politiche culturali messe in atto.
Nel progetto sono stati coinvolti attori pubblici, fondazioni bancarie, imprese e associazioni di settore, professori e ricercatori dell’Università di Torino e 46 comuni dell’hinterland torinese.
La questione è: può la cultura diventare uno dei motori dello sviluppo cittadino?
Il rilancio di una città metropolitana qual è Torino, storicamente legata al settore industriale, può passare per il terziario e attraverso lo sviluppo del settore culturale generare ricadute positive sul territorio circostante? Attraverso un’analisi multidimensionale la ricerca vuole quantificare quale sia il ritorno in termini di benessere sia economico, sia sociale di tali ricadute.
Chiaramente i ricercatori e i lettori sono consapevoli del fatto, eclatante, che la ricchezza di cui si scrive non sia meramente economica. L’output che l’investimento culturale può innescare non si limita a creare un, seppur virtuoso, flusso di denaro. Vi sono beni e servizi che non possono essere suscettibili di una valutazione meramente monetaria, il cui valore è per definizione considerato intangibile. Attraverso l’investimento in attività culturali si aumenta il livello intellettuale del capitale sociale che vive di relazioni, interscambio di conoscenze e cooperazione.
Tali fattori sono riconosciuti dal pensiero economico come determinanti lo sviluppo e la crescita umana, ma anche monetaria, di una società. Inoltre numerosi studi dimostrano che laddove vi è maggiore investimento in cultura, diminuisce la criminalità, aumenta la qualità della vita e di conseguenza la capacità di attrarre investimenti. Un esempio per tutti è il caso Bilbao e il cosiddetto effetto Guggenheim. Gli analisti dell’urban resurection ritengono infatti che la costruzione del museo, nel 1997, abbia guidato la rinascita della capitale basca, che solo un ventennio fa aveva un tasso di disoccupazione del 25% e una percentuale di tossicodipendenza tra le più alte in Europa.
È chiaro che la cultura non possa essere considerata la panacea di tutti i mali, ma le esternalità positive che ne derivano invitano a investire, monitorare e patrocinare il settore, superando la semplice e talvolta demagogica filantropia. Quello che la ricerca torinese sottolinea (e speriamo che gli amministratori pubblici siano in grado di coglierne il profondo significato) è che non deve essere l’analisi costi-benefici a determinare un investimento in ambito culturale, tali investimenti devono essere sostenuti da scelte politiche, non economiche. Le prime, ci ricorda la ricerca, si differenziano dalle seconde per essere mosse dai valori che i politici sono chiamati a tutelare dal loro stesso mandato elettorale e non dai bilanci e dai ricavi attesi.
D'altronde basta dare una rapida lettura ai testi giuridici per conoscere la volontà del Legislatore il quale prescrive che i beni culturali siano dapprima conservati e tutelati (il che comporta ovviamente dei costi), in seguito valorizzati (e qui subentra una matrice più economica e redditizia) in funzione della fruizione collettiva, ossia il miglioramento della qualità della vita e del livello di istruzione della comunità.
Ciò premesso, tutti gli operatori del settore conoscono, ahinoi, la situazione precaria che contraddistingue il settore culturale, continuamente esposto a istanze di razionamento determinate prettamente da scelte economiche e raramente da decisioni politiche.
Ecco dunque che la ricerca presentata a Torino si rivela indispensabile a quantificare l’impatto economico e le ricadute finanziarie che il settore è in grado di innescare. Insomma, se non bastassero i validissimi motivi ideologici, gli amministratori pubblici potranno illuminarsi dilettandosi nella lettura di dati e percentuali.
Dalla ricerca risulta infatti che l’insieme delle ricadute finanziarie e l’eterogeneità dei suoi impatti siano adeguati a giustificare azioni economiche sostanziose che risultano non solo politically correct ma economicamente efficienti. Ergo, l’economia non giustifica il sostegno pubblico alla cultura, ma laddove servisse,dimostra che questo sostegno è utile, efficace e razionale. Le esternalità positive prettamente monetarie sono di una portata tale da giustificare un incremento degli investimenti rispetto ai valori attuali.
Tuttavia bisogna tenere presente che i dati della ricerca si riferiscono all’anno 2006, anno eccezionale per Torino, sede olimpica dei XX Giochi Olimpici Invernali, che ha visto svilupparsi un crescente interesse per la città e le sue valli. Secondo i relatori, l’effetto Olimpiadi ha rappresentato “circa il 30% dell’effetto complessivo della spesa culturale sul turismo”. Il fenomeno è ancora in atto e secondo le previsioni dei ricercatori l’80% di questo aumento potrebbe risultare permanente, non limitato al biennio 2006 -2007. I dati riportati indicano che le ricadute delle olimpiadi sono di due tipi: transitorie e permanenti. La componente transitoria ha un valore stimato in circa 9 milioni di euro, mentre la componente permanente vale circa 70 milioni di euro. Ci auguriamo che gli operatori culturali, turistici e amministrativi sappiano riconoscere e sfruttare la straordinaria visibilità che il momento attuale ha regalato, non senza ingenti sforzi, alla collettività, affinché i feedback positivi siano di lungo termine.
Complessivamente, è stato calcolato che a Torino la cultura genera un flusso economico di oltre 1,72 miliardi di euro all’anno, dato interessante che può sembrare più comprensibile ai non addetti ai lavori se si spiega che corrisponde al 4,1% del Pil cittadino, ossia il valore complessivo di ricchezza generato nell’area torinese. Questo a fronte di investimenti istituzionali che ammontano a 320 milioni di euro. A soldoni, poiché di soldoni si tratta, la ricerca presentata a Torino dimostra che l’effetto leva degli investimenti in cultura produce oltre 5 euro e mezzo per ogni euro investito. Ciò è possibile perché i soldi spesi per la cultura attivano una filiera di attività economiche e si reimmettono nel circuito economico.
Quello che i ricercatori sottolineano, però, è che la ricerca non intende quantificare il valore di beni o di attività culturali, che sarebbe difficile quanto inutile conteggiare, bensì misurare quale sia il flusso economico creato in un dato periodo di tempo a partire dagli investimenti, in maggior parte pubblici, effettuati.
Produrre cultura, conservare i beni culturali e renderli conosciuti e fruibili ha un impatto economico che si può misurare con precisione. Inoltre l’indotto generato dalla filiera culturale risulta godibile anche da coloro che non ne sono fruitori diretti. È il caso di quanti risiedono o hanno proprietà in quartieri che vengono riqualificati e divengono centri di attrazione turistico-culturale. Un esempio riportato in ricerca è la crescita del valore degli immobili che si trovano nelle zone limitrofe la Reggia di Venaria, recentemente restaurata. Gli autori della ricerca hanno deciso di prendere in considerazione anche queste esternalità economiche, in quanto è ormai dimostrato che la spesa culturale si interseca con gli investimenti di riqualificazione urbana e di pubblic art. Sono diverse infatti le città che hanno investito nella rigenerazione urbana, quella immobiliare risulta infatti un’argomentazione che offre agli interessati un impressionante pretesto di vendita.
A tal proposito ci piace osservare come la ricerca raggiunga una maggior completezza ed esaustività nel confrontare alcuni indicatori della rilevanza economica torinese con gli stessi indicatori riferiti ad altre aree metropolitane. Torino è stata confrontata con la vicina Milano, come il solito vecchio campanilismo impone, e con città che hanno scelto di convertire la propria economia in economia della creatività, vale a dire: Bilbao e Helsinki.
La letteratura economica si muove quindi in una direzione e dimostra che il settore culturale non è semplicemente un settore di allocazione delle risorse, ma può generare attività economica, ricchezza privata e collettiva, esternalità positive in grado di ricadere su aree geografiche estese.
Ci auguriamo però che la ricerca non resti solo inchiostro su carta, ma che risvegli le coscienze e aiuti a mettere mano ai portafogli, soprattutto dopo le ultime decisioni prese dagli amministratori pubblici, in netta controtendenza con quanto esposto.
Infine, ci permettiamo di notare che non è tutto oro quello che luccica. La ricerca torinese si riferisce, ovviamente, ad un dato territorio, ma sarebbe utile che i decision makers non ignorassero le ricerche prodotte altrove, che registrano anche casi di notevoli fallimenti con conseguenti polemiche e cause giudiziarie, alla ricerca dei capri espiatori da mettere alla gogna. È emblematico il caso della municipalità di Valencia che fa causa a Santiago Calatrava o quello del Milwaukee Pubblic Museum, la cui nuova ala è stata recentemente inaugurata, situazione che però non è servita a evitare la bancarotta. Spesso si vorrebbe che artisti e architetti risolvessero emergenze sociali ed economiche e si commissionano progetti faraonici, costosi e per nulla adatti ad inserirsi sul territorio di riferimento, del quale non sono state studiate a fondo le caratteristiche. Senza andare troppo lontano, è il caso di Pala Fuksas, costruitito proprio in occasione delle olimpiadi torinesi, che si è rivelato un contenitore luccicante senza contenuto, né progettualità. Lo stesso destino pare subirà nella capitale sabauda il Pala Isozaki la cui destinazione non è ancora definita. Per ovviare alla costruzione (per altro costosissima) di vere e proprie cattedrali nel deserto, ci permettiamo di suggerire agli investitori di avvalersi di équipe multidisciplinari, più adatte a cogliere i diversi aspetti che si intersecano su un territorio e di puntare su progetti anche di minore visibilità ma di maggior successo, senza scomodare per forza i grandi nomi e magari promuovendo giovani talenti emergenti, sicuramente meno costosi.
Per correllare l'articolo e approfondirlo, ho deciso di rivolgere alcune domande alla dott.ssa Elisa Cerruti, docente a contratto presso la Facoltà di Economia di Torino e membro del gruppo di studio che ha sviluppato la ricerca a Torino.
Susanna Sara Mandice: Dottoressa vuole per cortesia presentarci bevente la ricerca? Elisa Cerruti: La ricerca - che è giunta alla sua quarta edizione, il cui responsabile scientifico è il professor Piergiorgio Re e del cui gruppo di lavoro fanno parte anche tra gli altri il professor Russo e il dottor Bertoldi - è il tentativo inedito per l'Italia di quantificare, di dare una misura a "qualcosa" che non è di semplice quantificazione e per il quale si potrebbero proporre diversi modelli d'analisi, che verosimilmente porterebbero a risultati molto vicini al nostro. Il nostro approccio ha cercato di condurre alla comprensione delle ricadute sul territorio dovute all'investimento in cultura e abbiamo lavorato sugli aspetti economici in questa edizione, riflettendo anche in maniera inedita sulle esternalità dovute agli investimenti in cultura per la riqualificazione di beni storico-architettonici e monumentali che ricadono sul privato in termini di incremento di valore immobiliare. Il nostro lavoro è stato un esercizio di quantificazione assolutamente disgiunto da considerazioni nel merito della qualità delle opere e delle iniziative. La qualità ad oggi è stabilita fondamentalmente dalla critica e dal mercato ovvero il pubblico (anche se alcuni delicati tentativi sono stati compiuti negli ultimi vent'anni da alcuni ricercatori per arrivare a quantificare la qualità di un bene culturale ma non si conoscono ad oggi modelli normalizzati). Nel nostro modello ciò che si può indirettamente registrare è la qualità riconosciuta ed attribuita alle iniziative dal pubblico attraverso l'acquisto dei biglietti, qualità che viene riconosciuta dal pubblico anche grazie alla comunicazione e dunque al successo di critica.
S.S.M. Una domanda che sta a cuore a tutti i Torinesi, anche a coloro che non si occupano/interessano di politiche culturali. Perché avete ragione di credere che l'effetto Olimpiadi non si esaurisca e sia, invece, in grado di perdurare nel medio-lungo periodo? E.C. Il fenomeno delle Olimpiadi ha rappresentato dal punto di vista della ricerca un grado di complessità. Si è trattato come noto di un picco che è stato necessario valutare con cautela. Sulla coda di questo fenomeno per Torino le teorie sono discordanti e in ogni caso solo il tempo potrà dirci quale sia l'effettivo impatto sul lungo periodo. Quello che vorrei sottolineare è tuttavia il fatto che il profilo del visitatore negli anni è mutato e lo si comprende osservando le ricerche sulle presenze in città. Una delle prime, che abbiamo usato per i primi tre anni della ricerca è stata condotta per la Camera di Commercio di Torino nel 2003 e riporta la prevalenza, su un campione di circa 600 intervistati, di presenze per motivi di lavoro e di visita a parenti e amici con una bassa incidenza della spesa per servizi per il tempo libero rispetto alle altre voci. Nel 2006 durante le Olimpiadi è stata realizzata per Turismo Torino una nuova ricerca che evidenzia - ovviamente - come la situazione sia completamente mutata: la prevalenza delle presenze è giunta in città per motivi di fruizione del tempo libero. Fin qui nulla di strano. Nel 2007 la nostra ricerca ha attivato una nuova ricerca sui visitatori di alcuni musei torinesi, sono state raccolte 12.000 interviste per capire quale fosse la provenienza e il motivo della presenza a Torino da parte dei visitatori di alcuni tra le principali attrattività permanenti del territorio. Volevamo dati primari e ad hoc proprio per verificare quale fosse il comportamento del consumatore e in particolare volevamo avere dati sulla componente culturale a distanza di un anno dalle Olimpiadi invernali: i risultati ci hanno sorpreso. Quella turistica rappresenta la motivazione di visita principale: per il 74,5% dei turisti (chi giunge dall'estero e da fuori dalla regione Piemonte) e il 74,2% degli escursionisti ( coloro che giungono a Torino provenendo da un'isocrona che consente loro di effettuare la visita in giornata).Dunque la tendenza sembra tenere, in termini di numeri ma anche e soprattutto di qualità. Oltre questo orizzonte non è tuttavia possibile prevedere. E' una partita delicata tutta da giocare di cui gli attori del territorio sono consapevoli e per la quale si stanno muovendo da tempo, ben consapevoli che le risorse spese in cultura presentano ricadute complesse dai risvolti molteplici spesso non linearmente ricostruibili e sicuramente non completamente quantificabili. I sistemi di valutazione quale quello adottato dal Progetto Capitale Culturale sono utili proprio perchè a differenza delle realtà aziendali le attività delle realtà culturali non permettono nella maggior parte dei casi di realizzare gli utili necessari per raggiungere l'equilibrio economico finanziario, dunque l'impatto che esercitano non è interamente rilevabile dai bilanci d'esercizio. In altre parole mentre a fine anno un'azienda analizza il bilancio e valuta quali siano state le performance dell'anno e la ricchezza generata per gli azionisti e l'azienda, gli enti culturali non trovano e non potrebbero in ogni caso trovare, sui propri bilanci d'esercizio il valore pieno delle proprie attività proprio per la loro natura di servizio pubblico e per le policies che ad essi vengono applicate. Garantire l'accesso e la diffusione di cultura mal si coniugano spesso con le strategie per equilibrare il bilancio. Sono rari gli studi che cerchino di fissare un break even point - il punto di pareggio che individua il momento in cui il rapporto prezzo/costi/quantità raggiunge l'equilibrio - per i musei ad esempio. Uno realizzato pochi anni fa negli Stati Uniti per i musei fissava in circa 24-26 dollari il prezzo medio del biglietto, mantenendo costante l'ottimizzazione dell'afflusso alle strutture, indispensabili per garantire standard di sicurezza e conservazione delle opere, ma anche di fruizione. Sono cifre che trovano una difficile applicazione nelle realtà italiane per innumerevoli motivi - ad esempio nel caso dei musei perchè molto spesso le tariffe sono regimentate da regolamenti comunali per garantire il più ampio accesso possibile-.
S.S.M. Ci auguriamo che la vostra ricerca induca gli amministratori della governance cittadina a proseguire nella direzione indicata. C'è però il rischio che, dando troppa importanza ai fattori economici, si perdano di vista alcuni intangibili valori. Cosa consiglia agli investitori per non cadere in questa trappola? E.C. La consapevolezza pubblica così come quella privata che i beni culturali siano un valore determinante per il territorio non solo in termini economici si esprime proprio attraverso le policies di cui ho appena parlato. L'accesso al bene culturale consente la fruizione e la partecipazione alle attività ad esso connesse e sta proprio in questi due fattori il germe della potenzialità della cultura. Accesso e partecipazione consentono all'individuo di entrare in contatto con il proprio - e l'altrui - patrimonio culturale, di costruire e ricostruire senza posa la propria identità e di sentirsi parte di una comunità in continua evoluzione. Come noto, coesione, identità, benessere derivano anche dall' "uso" - lo virgoletto perchè vorrei astrarlo in questa sede dal dibattito e dalla delicata questione di uso versus conservazione - della cultura. Nelle edizioni precedenti abbiamo tentato di analizzare anche l'impatto sociale e culturale delle attività e dei beni culturali realizzati grazie agli investimenti fatti attraverso un modello, anch'esso innovativo, basato sulle teorie del premio Nobel Amartya Sen e dell'UNDP che hanno portato all'elaborazione dell'indice di sviluppo umano (HDI-human development index). L'indice di sviluppo culturale che il nostro gruppo di lavoro aveva elaborato partendo da quelle premesse metodologiche ha portato sicuramente a risultati indicativi anche se quel tipo di analisi ha incontrano alcuni limiti applicativi e di lettura dovuti in particolare alla dimensione territoriale d'analisi.
S.S.M. Infine mi piace chiederle se è reale, a suo parere, il rischio che alcuni settori culturali evidentemente più redditizi, possano ricevere maggiori finanziamenti a scapito di forme d'arte meno popolari, difficilmente in grado di attrarre risorse pubbliche o private. E.C. Se diventasse predominante il fattore economico con estrema probabilità si assisterebbe a differenti scelte strategiche anche in termini di pricing. In Italia non credo questo sia un rischio. A Torino come lei sa si fanno numerosi sforzi per preservare e garantire la complessità del sistema di offerta ed è la "molteplicità" a connotare scelte e linee strategiche. Il nostro territorio è ricco di iniziative bottom up così come top down. Iniziative spesso concertate tra più attori e molteplici figure professionali. Per se stessa la concertazione se da un lato costituisce una grande ricchezza dall'altro rappresenta un grado di difficoltà e di delicatezza. Centrale è dunque la regia di questi tavoli che ha tra gli altri un ruolo estremamente importante: quello di preservare, accanto alla conservazione e all'accesso, un ulteriore elemento che connota questo peculiare servizio pubblico. Si tratta del ruolo educativo imprescindibile da quelli di conservazione e accesso. In questo senso è determinante che l'offerta non si appiattisca sulla domanda. Qualche anno fa durante un convegno tenuto a Torino un docente della Bocconi aveva sottolineato il difficile ma imprescindibile ruolo "educativo" dei decisori che si occupano di cultura. Quali eventi proporre così come quali opere conservare sono scelte delicate che richiedono partecipazione e una profonda consapevolezza che porti al di là del gusto e delle mode - che rappresentano manifestazioni temporanee e soggettive di individui e più o meno piccole comunità. Ma le ripeto non credo che questo sia un rischio, le nostre analisi ci dicono che esiste una forte volontà di garantire molteplicità e complessità e il dibattito su come minimizzare l'effetto di dispersione delle risorse senza perdere la ricchezza culturale è ancora aperto.
Effetto Guggenheim a Torino. Risultati socio-economici degli insestimenti culturali.
Il 10 gennaio presso il Salone d’Onore della Fondazione Crt è stata presentata una ricerca dal titolo: “Progetto capitale culturale.Cultura motore di sviluppo 2007-2009”.
A quattro anni di distanza dalla prima edizione, la ricerca, promossa dalla Divisione Servizi Culturali della Città di Torino, in collaborazione con Compagnia di San Paolo e Fondazione Crt, indaga quali siano gli effetti socio-economici degli investimenti culturali di provenienza pubblica e privata e quali i risultati delle politiche culturali messe in atto.
Nel progetto sono stati coinvolti attori pubblici, fondazioni bancarie, imprese e associazioni di settore, professori e ricercatori dell’Università di Torino e 46 comuni dell’hinterland torinese.
La questione è: può la cultura diventare uno dei motori dello sviluppo cittadino?
Il rilancio di una città metropolitana qual è Torino, storicamente legata al settore industriale, può passare per il terziario e attraverso lo sviluppo del settore culturale generare ricadute positive sul territorio circostante? Attraverso un’analisi multidimensionale la ricerca vuole quantificare quale sia il ritorno in termini di benessere sia economico, sia sociale di tali ricadute.
Chiaramente i ricercatori e i lettori sono consapevoli del fatto, eclatante, che la ricchezza di cui si scrive non sia meramente economica. L’output che l’investimento culturale può innescare non si limita a creare un, seppur virtuoso, flusso di denaro. Vi sono beni e servizi che non possono essere suscettibili di una valutazione meramente monetaria, il cui valore è per definizione considerato intangibile. Attraverso l’investimento in attività culturali si aumenta il livello intellettuale del capitale sociale che vive di relazioni, interscambio di conoscenze e cooperazione.
Tali fattori sono riconosciuti dal pensiero economico come determinanti lo sviluppo e la crescita umana, ma anche monetaria, di una società. Inoltre numerosi studi dimostrano che laddove vi è maggiore investimento in cultura, diminuisce la criminalità, aumenta la qualità della vita e di conseguenza la capacità di attrarre investimenti. Un esempio per tutti è il caso Bilbao e il cosiddetto effetto Guggenheim. Gli analisti dell’urban resurection ritengono infatti che la costruzione del museo, nel 1997, abbia guidato la rinascita della capitale basca, che solo un ventennio fa aveva un tasso di disoccupazione del 25% e una percentuale di tossicodipendenza tra le più alte in Europa.
È chiaro che la cultura non possa essere considerata la panacea di tutti i mali, ma le esternalità positive che ne derivano invitano a investire, monitorare e patrocinare il settore, superando la semplice e talvolta demagogica filantropia. Quello che la ricerca torinese sottolinea (e speriamo che gli amministratori pubblici siano in grado di coglierne il profondo significato) è che non deve essere l’analisi costi-benefici a determinare un investimento in ambito culturale, tali investimenti devono essere sostenuti da scelte politiche, non economiche. Le prime, ci ricorda la ricerca, si differenziano dalle seconde per essere mosse dai valori che i politici sono chiamati a tutelare dal loro stesso mandato elettorale e non dai bilanci e dai ricavi attesi.
D'altronde basta dare una rapida lettura ai testi giuridici per conoscere la volontà del Legislatore il quale prescrive che i beni culturali siano dapprima conservati e tutelati (il che comporta ovviamente dei costi), in seguito valorizzati (e qui subentra una matrice più economica e redditizia) in funzione della fruizione collettiva, ossia il miglioramento della qualità della vita e del livello di istruzione della comunità.
Ciò premesso, tutti gli operatori del settore conoscono, ahinoi, la situazione precaria che contraddistingue il settore culturale, continuamente esposto a istanze di razionamento determinate prettamente da scelte economiche e raramente da decisioni politiche.
Ecco dunque che la ricerca presentata a Torino si rivela indispensabile a quantificare l’impatto economico e le ricadute finanziarie che il settore è in grado di innescare. Insomma, se non bastassero i validissimi motivi ideologici, gli amministratori pubblici potranno illuminarsi dilettandosi nella lettura di dati e percentuali.
Dalla ricerca risulta infatti che l’insieme delle ricadute finanziarie e l’eterogeneità dei suoi impatti siano adeguati a giustificare azioni economiche sostanziose che risultano non solo politically correct ma economicamente efficienti. Ergo, l’economia non giustifica il sostegno pubblico alla cultura, ma laddove servisse,dimostra che questo sostegno è utile, efficace e razionale. Le esternalità positive prettamente monetarie sono di una portata tale da giustificare un incremento degli investimenti rispetto ai valori attuali.
Tuttavia bisogna tenere presente che i dati della ricerca si riferiscono all’anno 2006, anno eccezionale per Torino, sede olimpica dei XX Giochi Olimpici Invernali, che ha visto svilupparsi un crescente interesse per la città e le sue valli. Secondo i relatori, l’effetto Olimpiadi ha rappresentato “circa il 30% dell’effetto complessivo della spesa culturale sul turismo”. Il fenomeno è ancora in atto e secondo le previsioni dei ricercatori l’80% di questo aumento potrebbe risultare permanente, non limitato al biennio 2006 -2007. I dati riportati indicano che le ricadute delle olimpiadi sono di due tipi: transitorie e permanenti. La componente transitoria ha un valore stimato in circa 9 milioni di euro, mentre la componente permanente vale circa 70 milioni di euro. Ci auguriamo che gli operatori culturali, turistici e amministrativi sappiano riconoscere e sfruttare la straordinaria visibilità che il momento attuale ha regalato, non senza ingenti sforzi, alla collettività, affinché i feedback positivi siano di lungo termine.
Complessivamente, è stato calcolato che a Torino la cultura genera un flusso economico di oltre 1,72 miliardi di euro all’anno, dato interessante che può sembrare più comprensibile ai non addetti ai lavori se si spiega che corrisponde al 4,1% del Pil cittadino, ossia il valore complessivo di ricchezza generato nell’area torinese. Questo a fronte di investimenti istituzionali che ammontano a 320 milioni di euro. A soldoni, poiché di soldoni si tratta, la ricerca presentata a Torino dimostra che l’effetto leva degli investimenti in cultura produce oltre 5 euro e mezzo per ogni euro investito. Ciò è possibile perché i soldi spesi per la cultura attivano una filiera di attività economiche e si reimmettono nel circuito economico.
Quello che i ricercatori sottolineano, però, è che la ricerca non intende quantificare il valore di beni o di attività culturali, che sarebbe difficile quanto inutile conteggiare, bensì misurare quale sia il flusso economico creato in un dato periodo di tempo a partire dagli investimenti, in maggior parte pubblici, effettuati.
Produrre cultura, conservare i beni culturali e renderli conosciuti e fruibili ha un impatto economico che si può misurare con precisione. Inoltre l’indotto generato dalla filiera culturale risulta godibile anche da coloro che non ne sono fruitori diretti. È il caso di quanti risiedono o hanno proprietà in quartieri che vengono riqualificati e divengono centri di attrazione turistico-culturale. Un esempio riportato in ricerca è la crescita del valore degli immobili che si trovano nelle zone limitrofe la Reggia di Venaria, recentemente restaurata. Gli autori della ricerca hanno deciso di prendere in considerazione anche queste esternalità economiche, in quanto è ormai dimostrato che la spesa culturale si interseca con gli investimenti di riqualificazione urbana e di pubblic art. Sono diverse infatti le città che hanno investito nella rigenerazione urbana, quella immobiliare risulta infatti un’argomentazione che offre agli interessati un impressionante pretesto di vendita.
A tal proposito ci piace osservare come la ricerca raggiunga una maggior completezza ed esaustività nel confrontare alcuni indicatori della rilevanza economica torinese con gli stessi indicatori riferiti ad altre aree metropolitane. Torino è stata confrontata con la vicina Milano, come il solito vecchio campanilismo impone, e con città che hanno scelto di convertire la propria economia in economia della creatività, vale a dire: Bilbao e Helsinki.
La letteratura economica si muove quindi in una direzione e dimostra che il settore culturale non è semplicemente un settore di allocazione delle risorse, ma può generare attività economica, ricchezza privata e collettiva, esternalità positive in grado di ricadere su aree geografiche estese.
Ci auguriamo però che la ricerca non resti solo inchiostro su carta, ma che risvegli le coscienze e aiuti a mettere mano ai portafogli, soprattutto dopo le ultime decisioni prese dagli amministratori pubblici, in netta controtendenza con quanto esposto.
Infine, ci permettiamo di notare che non è tutto oro quello che luccica. La ricerca torinese si riferisce, ovviamente, ad un dato territorio, ma sarebbe utile che i decision makers non ignorassero le ricerche prodotte altrove, che registrano anche casi di notevoli fallimenti con conseguenti polemiche e cause giudiziarie, alla ricerca dei capri espiatori da mettere alla gogna. È emblematico il caso della municipalità di Valencia che fa causa a Santiago Calatrava o quello del Milwaukee Pubblic Museum, la cui nuova ala è stata recentemente inaugurata, situazione che però non è servita a evitare la bancarotta. Spesso si vorrebbe che artisti e architetti risolvessero emergenze sociali ed economiche e si commissionano progetti faraonici, costosi e per nulla adatti ad inserirsi sul territorio di riferimento, del quale non sono state studiate a fondo le caratteristiche. Senza andare troppo lontano, è il caso di Pala Fuksas, costruitito proprio in occasione delle olimpiadi torinesi, che si è rivelato un contenitore luccicante senza contenuto, né progettualità. Lo stesso destino pare subirà nella capitale sabauda il Pala Isozaki la cui destinazione non è ancora definita. Per ovviare alla costruzione (per altro costosissima) di vere e proprie cattedrali nel deserto, ci permettiamo di suggerire agli investitori di avvalersi di équipe multidisciplinari, più adatte a cogliere i diversi aspetti che si intersecano su un territorio e di puntare su progetti anche di minore visibilità ma di maggior successo, senza scomodare per forza i grandi nomi e magari promuovendo giovani talenti emergenti, sicuramente meno costosi.
Per correllare l'articolo e approfondirlo, ho deciso di rivolgere alcune domande alla dott.ssa Elisa Cerruti, docente a contratto presso la Facoltà di Economia di Torino e membro del gruppo di studio che ha sviluppato la ricerca a Torino.
Susanna Sara Mandice: Dottoressa vuole per cortesia presentarci bevente la ricerca? Elisa Cerruti: La ricerca - che è giunta alla sua quarta edizione, il cui responsabile scientifico è il professor Piergiorgio Re e del cui gruppo di lavoro fanno parte anche tra gli altri il professor Russo e il dottor Bertoldi - è il tentativo inedito per l'Italia di quantificare, di dare una misura a "qualcosa" che non è di semplice quantificazione e per il quale si potrebbero proporre diversi modelli d'analisi, che verosimilmente porterebbero a risultati molto vicini al nostro. Il nostro approccio ha cercato di condurre alla comprensione delle ricadute sul territorio dovute all'investimento in cultura e abbiamo lavorato sugli aspetti economici in questa edizione, riflettendo anche in maniera inedita sulle esternalità dovute agli investimenti in cultura per la riqualificazione di beni storico-architettonici e monumentali che ricadono sul privato in termini di incremento di valore immobiliare. Il nostro lavoro è stato un esercizio di quantificazione assolutamente disgiunto da considerazioni nel merito della qualità delle opere e delle iniziative. La qualità ad oggi è stabilita fondamentalmente dalla critica e dal mercato ovvero il pubblico (anche se alcuni delicati tentativi sono stati compiuti negli ultimi vent'anni da alcuni ricercatori per arrivare a quantificare la qualità di un bene culturale ma non si conoscono ad oggi modelli normalizzati). Nel nostro modello ciò che si può indirettamente registrare è la qualità riconosciuta ed attribuita alle iniziative dal pubblico attraverso l'acquisto dei biglietti, qualità che viene riconosciuta dal pubblico anche grazie alla comunicazione e dunque al successo di critica.
S.S.M. Una domanda che sta a cuore a tutti i Torinesi, anche a coloro che non si occupano/interessano di politiche culturali. Perché avete ragione di credere che l'effetto Olimpiadi non si esaurisca e sia, invece, in grado di perdurare nel medio-lungo periodo? E.C. Il fenomeno delle Olimpiadi ha rappresentato dal punto di vista della ricerca un grado di complessità. Si è trattato come noto di un picco che è stato necessario valutare con cautela. Sulla coda di questo fenomeno per Torino le teorie sono discordanti e in ogni caso solo il tempo potrà dirci quale sia l'effettivo impatto sul lungo periodo. Quello che vorrei sottolineare è tuttavia il fatto che il profilo del visitatore negli anni è mutato e lo si comprende osservando le ricerche sulle presenze in città. Una delle prime, che abbiamo usato per i primi tre anni della ricerca è stata condotta per la Camera di Commercio di Torino nel 2003 e riporta la prevalenza, su un campione di circa 600 intervistati, di presenze per motivi di lavoro e di visita a parenti e amici con una bassa incidenza della spesa per servizi per il tempo libero rispetto alle altre voci. Nel 2006 durante le Olimpiadi è stata realizzata per Turismo Torino una nuova ricerca che evidenzia - ovviamente - come la situazione sia completamente mutata: la prevalenza delle presenze è giunta in città per motivi di fruizione del tempo libero. Fin qui nulla di strano. Nel 2007 la nostra ricerca ha attivato una nuova ricerca sui visitatori di alcuni musei torinesi, sono state raccolte 12.000 interviste per capire quale fosse la provenienza e il motivo della presenza a Torino da parte dei visitatori di alcuni tra le principali attrattività permanenti del territorio. Volevamo dati primari e ad hoc proprio per verificare quale fosse il comportamento del consumatore e in particolare volevamo avere dati sulla componente culturale a distanza di un anno dalle Olimpiadi invernali: i risultati ci hanno sorpreso. Quella turistica rappresenta la motivazione di visita principale: per il 74,5% dei turisti (chi giunge dall'estero e da fuori dalla regione Piemonte) e il 74,2% degli escursionisti ( coloro che giungono a Torino provenendo da un'isocrona che consente loro di effettuare la visita in giornata).Dunque la tendenza sembra tenere, in termini di numeri ma anche e soprattutto di qualità. Oltre questo orizzonte non è tuttavia possibile prevedere. E' una partita delicata tutta da giocare di cui gli attori del territorio sono consapevoli e per la quale si stanno muovendo da tempo, ben consapevoli che le risorse spese in cultura presentano ricadute complesse dai risvolti molteplici spesso non linearmente ricostruibili e sicuramente non completamente quantificabili. I sistemi di valutazione quale quello adottato dal Progetto Capitale Culturale sono utili proprio perchè a differenza delle realtà aziendali le attività delle realtà culturali non permettono nella maggior parte dei casi di realizzare gli utili necessari per raggiungere l'equilibrio economico finanziario, dunque l'impatto che esercitano non è interamente rilevabile dai bilanci d'esercizio. In altre parole mentre a fine anno un'azienda analizza il bilancio e valuta quali siano state le performance dell'anno e la ricchezza generata per gli azionisti e l'azienda, gli enti culturali non trovano e non potrebbero in ogni caso trovare, sui propri bilanci d'esercizio il valore pieno delle proprie attività proprio per la loro natura di servizio pubblico e per le policies che ad essi vengono applicate. Garantire l'accesso e la diffusione di cultura mal si coniugano spesso con le strategie per equilibrare il bilancio. Sono rari gli studi che cerchino di fissare un break even point - il punto di pareggio che individua il momento in cui il rapporto prezzo/costi/quantità raggiunge l'equilibrio - per i musei ad esempio. Uno realizzato pochi anni fa negli Stati Uniti per i musei fissava in circa 24-26 dollari il prezzo medio del biglietto, mantenendo costante l'ottimizzazione dell'afflusso alle strutture, indispensabili per garantire standard di sicurezza e conservazione delle opere, ma anche di fruizione. Sono cifre che trovano una difficile applicazione nelle realtà italiane per innumerevoli motivi - ad esempio nel caso dei musei perchè molto spesso le tariffe sono regimentate da regolamenti comunali per garantire il più ampio accesso possibile-.
S.S.M. Ci auguriamo che la vostra ricerca induca gli amministratori della governance cittadina a proseguire nella direzione indicata. C'è però il rischio che, dando troppa importanza ai fattori economici, si perdano di vista alcuni intangibili valori. Cosa consiglia agli investitori per non cadere in questa trappola? E.C. La consapevolezza pubblica così come quella privata che i beni culturali siano un valore determinante per il territorio non solo in termini economici si esprime proprio attraverso le policies di cui ho appena parlato. L'accesso al bene culturale consente la fruizione e la partecipazione alle attività ad esso connesse e sta proprio in questi due fattori il germe della potenzialità della cultura. Accesso e partecipazione consentono all'individuo di entrare in contatto con il proprio - e l'altrui - patrimonio culturale, di costruire e ricostruire senza posa la propria identità e di sentirsi parte di una comunità in continua evoluzione. Come noto, coesione, identità, benessere derivano anche dall' "uso" - lo virgoletto perchè vorrei astrarlo in questa sede dal dibattito e dalla delicata questione di uso versus conservazione - della cultura. Nelle edizioni precedenti abbiamo tentato di analizzare anche l'impatto sociale e culturale delle attività e dei beni culturali realizzati grazie agli investimenti fatti attraverso un modello, anch'esso innovativo, basato sulle teorie del premio Nobel Amartya Sen e dell'UNDP che hanno portato all'elaborazione dell'indice di sviluppo umano (HDI-human development index). L'indice di sviluppo culturale che il nostro gruppo di lavoro aveva elaborato partendo da quelle premesse metodologiche ha portato sicuramente a risultati indicativi anche se quel tipo di analisi ha incontrano alcuni limiti applicativi e di lettura dovuti in particolare alla dimensione territoriale d'analisi.
S.S.M. Infine mi piace chiederle se è reale, a suo parere, il rischio che alcuni settori culturali evidentemente più redditizi, possano ricevere maggiori finanziamenti a scapito di forme d'arte meno popolari, difficilmente in grado di attrarre risorse pubbliche o private. E.C. Se diventasse predominante il fattore economico con estrema probabilità si assisterebbe a differenti scelte strategiche anche in termini di pricing. In Italia non credo questo sia un rischio. A Torino come lei sa si fanno numerosi sforzi per preservare e garantire la complessità del sistema di offerta ed è la "molteplicità" a connotare scelte e linee strategiche. Il nostro territorio è ricco di iniziative bottom up così come top down. Iniziative spesso concertate tra più attori e molteplici figure professionali. Per se stessa la concertazione se da un lato costituisce una grande ricchezza dall'altro rappresenta un grado di difficoltà e di delicatezza. Centrale è dunque la regia di questi tavoli che ha tra gli altri un ruolo estremamente importante: quello di preservare, accanto alla conservazione e all'accesso, un ulteriore elemento che connota questo peculiare servizio pubblico. Si tratta del ruolo educativo imprescindibile da quelli di conservazione e accesso. In questo senso è determinante che l'offerta non si appiattisca sulla domanda. Qualche anno fa durante un convegno tenuto a Torino un docente della Bocconi aveva sottolineato il difficile ma imprescindibile ruolo "educativo" dei decisori che si occupano di cultura. Quali eventi proporre così come quali opere conservare sono scelte delicate che richiedono partecipazione e una profonda consapevolezza che porti al di là del gusto e delle mode - che rappresentano manifestazioni temporanee e soggettive di individui e più o meno piccole comunità. Ma le ripeto non credo che questo sia un rischio, le nostre analisi ci dicono che esiste una forte volontà di garantire molteplicità e complessità e il dibattito su come minimizzare l'effetto di dispersione delle risorse senza perdere la ricchezza culturale è ancora aperto.
Art Forum Berlin
(articolo pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)
Prime indiscrezioni sulla prossima Art berlin forum, la fiera dell’arte contemporanea di Berlino che si svolgerà quest’anno dal 31 ottobre al 3 novembre: i tedeschi, evidentemente per nulla scaramantici, scommettono sul ponte dei Santi per celebrare la tredicesima edizione dell’Art Berlin Forum. I visitatori attesi dovrebbero essere oltre quarantamila e quasi duecento gli espositori presenti, di cui oltre centotrenta gallerie, a conferma del fatto che il Furum sia la prima e più importante fiera di arte contemporanea della Germania.
Per ora i rumors non fanno ancora riferimento agli artisti presenti, ma è intuitivo presagire che saranno presenti molti dei grandi nomi dell’arte mondiale. Basta citare i nomi dello staff member per esserne sicuri: la direzione artistica spetta a Sabrina van der Ley, coadiuvata da Susanne Prinz, curatore e responsabile delle relazioni con gli espositori. Inoltre la fiera vanta la presenza di un comitato di veri esperti, l’advisory board, composto da rappresentanti di celebri gallerie provenienti da tutto il mondo: Patricia Asbaek (Copenhagen), Mehdi Chouakri (Berlin), Elizabeth Dee (New York), Georg Kargl (Vienna), Stella Lohaus (Antwerp), e Gerd Harry Lybke (Berlin/Leipzig).
È chiaro che le nuove della fiera siano state scelte sulla base di uno studio logistico dei periodi e delle stagioni dell’arte contemporanea europea, considerati gli andamenti del mercato e la presenza di altri eventi internazionali e cittadini. D'altronde i berlinesi si vantano di vivere nella città della contemporaneità europea e sicuramente quest’autunno avranno modo di rafforzare questa convinzione. La fiera si propone di presentare le grandi star del sistema contemporaneo, quelle capaci di attirare visitatori e compratori, ma allo stesso tempo si prefigge di promuovere i nuovi talenti.
Oltre ai consueti eventi collaterali che caratterizzano ormai tutte le fiere, il forum berlinese propone il Professional Monday, ossia una giornata interamente dedicata agli eventi speciali con conferenze, dibattiti e incontri con personalità internazionali legate, ovviamente, al mondo dell’arte contemporanea. La fiera nota per i suoi Talks, persegue nella volontà di dar voce agli addetti ai lavori: critici, economisti, collezionisti e accademici.
L’evento espositivo correlato alla fiera sarà la mostra Difference, what difference? curata da Hans-Jürgen Hafner, che si prefigge di stimolare una riflessione sul valore e il significato dell’arte, proprio durante i giorni del mercato dell’arte. Attraverso l’esposizione di opere di 35 artisti internazionali, la mostra condurrà il pensiero a quelli che sono i labili confini tra passione e soldi, tra estetica e mercato.
Ma in città non sarà solo la fiera ad attirare un vasto pubblico, numerosi saranno gli appuntamenti da non perdere in un connubio di eventi interessanti e dal sicuro richiamo mediatico. Il blockbuster della situazione sarò rappresentato dalla retrospettiva su Paul Klee, alla Neue Nationalgallerie, che non paga di incantare il suo pubblico con le opere dell’artista svizzero, stupirà i visitatori con una personale di Jeff Koons.
Alla Hamburger Bahnhoff retrospettive personali su Andy Warhol, Joseph Beuys e Ayse Ermen. Al Guggenheim Anish Kapoor e inoltre il Mese della Fotografia aprirà i battenti proprio in autunno, in contemporanea con l’Art Forum. Al Martin Groupius Bau, a partire dal 29 ottobre, verranno presentate le acquisizioni degli ultimi 10 anni della Collezione di Stato tedesca. Un’altra collezione verrà presentata al Berlin Forum for Visual Dialogues: si tratta di parte della collezione fotografica di Agnes B., proveniente da Parigi, che verrà allestita con l’altisonante titolo The intimate of everyday’s life.
Insomma autunno contemporaneo a Berlino, che si prepara ad accogliere visitatori attenti e vivaci.
Prime indiscrezioni sulla prossima Art berlin forum, la fiera dell’arte contemporanea di Berlino che si svolgerà quest’anno dal 31 ottobre al 3 novembre: i tedeschi, evidentemente per nulla scaramantici, scommettono sul ponte dei Santi per celebrare la tredicesima edizione dell’Art Berlin Forum. I visitatori attesi dovrebbero essere oltre quarantamila e quasi duecento gli espositori presenti, di cui oltre centotrenta gallerie, a conferma del fatto che il Furum sia la prima e più importante fiera di arte contemporanea della Germania.
Per ora i rumors non fanno ancora riferimento agli artisti presenti, ma è intuitivo presagire che saranno presenti molti dei grandi nomi dell’arte mondiale. Basta citare i nomi dello staff member per esserne sicuri: la direzione artistica spetta a Sabrina van der Ley, coadiuvata da Susanne Prinz, curatore e responsabile delle relazioni con gli espositori. Inoltre la fiera vanta la presenza di un comitato di veri esperti, l’advisory board, composto da rappresentanti di celebri gallerie provenienti da tutto il mondo: Patricia Asbaek (Copenhagen), Mehdi Chouakri (Berlin), Elizabeth Dee (New York), Georg Kargl (Vienna), Stella Lohaus (Antwerp), e Gerd Harry Lybke (Berlin/Leipzig).
È chiaro che le nuove della fiera siano state scelte sulla base di uno studio logistico dei periodi e delle stagioni dell’arte contemporanea europea, considerati gli andamenti del mercato e la presenza di altri eventi internazionali e cittadini. D'altronde i berlinesi si vantano di vivere nella città della contemporaneità europea e sicuramente quest’autunno avranno modo di rafforzare questa convinzione. La fiera si propone di presentare le grandi star del sistema contemporaneo, quelle capaci di attirare visitatori e compratori, ma allo stesso tempo si prefigge di promuovere i nuovi talenti.
Oltre ai consueti eventi collaterali che caratterizzano ormai tutte le fiere, il forum berlinese propone il Professional Monday, ossia una giornata interamente dedicata agli eventi speciali con conferenze, dibattiti e incontri con personalità internazionali legate, ovviamente, al mondo dell’arte contemporanea. La fiera nota per i suoi Talks, persegue nella volontà di dar voce agli addetti ai lavori: critici, economisti, collezionisti e accademici.
L’evento espositivo correlato alla fiera sarà la mostra Difference, what difference? curata da Hans-Jürgen Hafner, che si prefigge di stimolare una riflessione sul valore e il significato dell’arte, proprio durante i giorni del mercato dell’arte. Attraverso l’esposizione di opere di 35 artisti internazionali, la mostra condurrà il pensiero a quelli che sono i labili confini tra passione e soldi, tra estetica e mercato.
Ma in città non sarà solo la fiera ad attirare un vasto pubblico, numerosi saranno gli appuntamenti da non perdere in un connubio di eventi interessanti e dal sicuro richiamo mediatico. Il blockbuster della situazione sarò rappresentato dalla retrospettiva su Paul Klee, alla Neue Nationalgallerie, che non paga di incantare il suo pubblico con le opere dell’artista svizzero, stupirà i visitatori con una personale di Jeff Koons.
Alla Hamburger Bahnhoff retrospettive personali su Andy Warhol, Joseph Beuys e Ayse Ermen. Al Guggenheim Anish Kapoor e inoltre il Mese della Fotografia aprirà i battenti proprio in autunno, in contemporanea con l’Art Forum. Al Martin Groupius Bau, a partire dal 29 ottobre, verranno presentate le acquisizioni degli ultimi 10 anni della Collezione di Stato tedesca. Un’altra collezione verrà presentata al Berlin Forum for Visual Dialogues: si tratta di parte della collezione fotografica di Agnes B., proveniente da Parigi, che verrà allestita con l’altisonante titolo The intimate of everyday’s life.
Insomma autunno contemporaneo a Berlino, che si prepara ad accogliere visitatori attenti e vivaci.
Okkio per okkio... performance di Gabriella Ciancimino a Catania
Giocare a Scarabeo sperimentando i neologismi della lingua italiana può essere divertente e allo stesso tempo impegnativo. È ciò a cui è stato invitato il pubblico accorso al Museo del giocattolo di Catania il 9 marzo scorso. Okkio per Okkio Sessantaquakkio è il titolo dell’ultima performance interattiva ideata da Gabriella Ciancimino. La giovane artista palermitana da anni si dedica alla sperimentazione artistica, allo studio della lingua e dei dialetti e all’osservazione dei luoghi di sviluppo della socialità. Il risultato è un’arte che conduce ad una riflessione semiotica ed epistemologica sulla comunicazione verbale contemporanea. Ciancimino riflette sull’uso della lingua, principale mezzo di confronto e incontro e ne valuta l’evoluzione.
L’azione catanese del 9 marzo non è solo una riflessione sui neologismi, anche se da qui vuole partire. È un momento di socialità e di indagine. Il linguaggio è, allo stesso tempo, il mezzo e il fine della performance. Il momento dell’azione artistica diviene momento sociale durante il quale chi ha voglia di mettersi in gioco e sperimentare le proprie capacità comunicative viene invitato a giocare. Allo stesso tempo, coloro che non giocano direttamente, osservano, modificano la situazione con la propria presenza ricettiva e attiva, propongono suggestioni; anche una risata o uno sbadiglio possono modificare la direzione dell’happening.
Oggi è quasi obsoleto parlare di lingua o di linguaggio: diviene necessario parlare di linguaggi, in un’epoca nella quale nuovi contesti comunicativi si creano e scompaiono rapidamente, spesso sovrapponendosi. Chiunque è quotidianamente messo nelle condizioni di utilizzare differenti linguaggi (orali o scritti) in altrettanti contesti e di passare da uno all’altro. E i principali fautori e vettori di tale fenomeno sono le nuove generazioni capaci di alternare linguaggio famigliare, scolastico, da strada... Fruitori cardine delle nuove tecnologie e allo stesso tempo primi obiettivi del marketing pubblicitario e mediatico, gli adolescenti creano e distruggono espressioni in un batter di ciglio. Le formule gergali separano e definiscono i gruppi, contribuendo a precisarne l’identità. Hip-hop, graffiti, free-style divengono il pane quotidiano per chi si nutre di creatività e cambiamento.
La performance di Ciancimino costituita attorno un mega scarabeo diviene metafora e allo stesso tempo analisi di questo fenomeno. Il pubblico è stato invitato a interagire con nuove espressioni talvolta incomprensibili, che ibridano sigle e dialetti, parole straniere e abbreviazioni, frutto di contaminazioni disparate e slang fantasiosi. Il gioco ha delle regole che vengono sovvertite in quella che diventa un’improvvisazione musicale iperbolica.
L’azione catanese del 9 marzo non è solo una riflessione sui neologismi, anche se da qui vuole partire. È un momento di socialità e di indagine. Il linguaggio è, allo stesso tempo, il mezzo e il fine della performance. Il momento dell’azione artistica diviene momento sociale durante il quale chi ha voglia di mettersi in gioco e sperimentare le proprie capacità comunicative viene invitato a giocare. Allo stesso tempo, coloro che non giocano direttamente, osservano, modificano la situazione con la propria presenza ricettiva e attiva, propongono suggestioni; anche una risata o uno sbadiglio possono modificare la direzione dell’happening.
Oggi è quasi obsoleto parlare di lingua o di linguaggio: diviene necessario parlare di linguaggi, in un’epoca nella quale nuovi contesti comunicativi si creano e scompaiono rapidamente, spesso sovrapponendosi. Chiunque è quotidianamente messo nelle condizioni di utilizzare differenti linguaggi (orali o scritti) in altrettanti contesti e di passare da uno all’altro. E i principali fautori e vettori di tale fenomeno sono le nuove generazioni capaci di alternare linguaggio famigliare, scolastico, da strada... Fruitori cardine delle nuove tecnologie e allo stesso tempo primi obiettivi del marketing pubblicitario e mediatico, gli adolescenti creano e distruggono espressioni in un batter di ciglio. Le formule gergali separano e definiscono i gruppi, contribuendo a precisarne l’identità. Hip-hop, graffiti, free-style divengono il pane quotidiano per chi si nutre di creatività e cambiamento.
La performance di Ciancimino costituita attorno un mega scarabeo diviene metafora e allo stesso tempo analisi di questo fenomeno. Il pubblico è stato invitato a interagire con nuove espressioni talvolta incomprensibili, che ibridano sigle e dialetti, parole straniere e abbreviazioni, frutto di contaminazioni disparate e slang fantasiosi. Il gioco ha delle regole che vengono sovvertite in quella che diventa un’improvvisazione musicale iperbolica.
Consumo d’arte, Biennale di Busan 2008
(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)
La biennale di Busan, Corea, avrò luogo quest’autunno dal 6 settembre al 15 novembre. Settanta giorni per esplorare un tema tanto attuale quanto delicato: Expenditure ossia consumo, dispendio. Gli artisti contemporanei già da tempo indagano le tematiche del consumismo globale, dell’economia sostenibile, degli stili di vita. E giustamente le istituzioni ne prendono atto e di fanno portatrici di istanze condivise impossibili da ignorare.
Busan 2008 si prefigge di presentare, attraverso i diversi media della contemporaneità (sculture, video, foto, pittura…) una nuova filosofia del consumo (o del non-consumo) che prende le mosse dall’ideologia del francese Georges Bataille, letterato e sociologo. Surrealista dapprima, filotroskista poi, Battaille ha ben descritto un’idea nuova di consumo negando l’imperante ricerca di potere legata a obiettivi anti-etici. Accumulazione, regime, accentramento dei risorse e conseguenti ricadute socio-economiche: sono questi i temi che la biennale sostiene di voler contrastare attraverso una critica estetica e culturale. Interessante che tale presa di coscienza provenga da un’istituzione asiatica, voce fuori dal coro in un continente che corre per inserirsi nel mercato globale e perpetuare le dinamiche economiche vigenti.
La biennale di Busan si pone quindi come punto di rottura per dar luogo e discontinuità generative e incoerenti con il sistema predominante, ma in linea con una nuova serie di prospettive etiche ed estetiche. Annunciano gli organizzatori della biennale di volersi porre, in linea con i temi di Battaille, agli antipodi di concetti quali produzione, accumulazione, acquisizione, controllo… E soprattutto, come il filosofo francese, asseriscono che la cultura si sviluppa attraverso attività giudicate insignificanti.
L’obiettivo diviene quindi reinterpretare la società contemporanea da un punto di vista estetico, differenziandosi quindi dalla altre biennali. L’accusa mossa a queste ultime è di perseguire in qualche modo sperpero e abbondanza e di presentare artisti troppo vicini ad un’idea univoca di mercato, o meglio di mercificazione.
Sarà possibile mantenere una rotta ideologica così marcata? Il direttore artistico, Kim Won-bang professore e critico d’arte, scommette di sì e chiama a raccolta un centinaio di artisti che prontamente rispondono all’appello, dando così vita al primo evento concomitante la biennale. Si tratta della mostra intitolata Expenditure, Art, Culture ossia Consumo, Arte, Cultura presenterà la direzione intrapresa dalle odierne attività artistiche che rinnegano lo stile di un’economia orientata al prodotto e centrata sulle apparenze per sostituirla invece con più elevati valori morali. La nuova religione è quindi un culto laico nel quale la divinità polimorfa è la “cultura”.
Altro evento collaterale sarà il Sea Art Festival, gestito dal curatore indipendente Jeon Seung-bo che riunirà una sessantina di artisti per approfondire il tema Viaggio senza frontiere.
Il festival vuole abbracciare le contraddizioni e i paradossi ritenendoli la vera essenza della vita che si dovrebbe invece sviluppare attraverso la formazione e la creatività. Infine il Busan Sculpture Project, diretto dallo scultore Yi Jeong-hyeong, attraverso venti lavori si intolerà Avant Garden, suggellando il concetto di avanguardia con il luogo che ospita l’evento: il Naru Park. Anche in questo caso ci si prefigge di essere innovatori e precursori nello sviluppo di temi inediti: l’intenzione è di trasformare gli spazi quotidiani in spazi creativi: rinnovare il parco pubblico inondandolo di opere dal forte contenuto epistemologico oltre che etico.
Insomma gli organizzatori della biennale coreana si stanno dando da fare per proporre un prodotto nuovo: artistico e filosofico allo stesso tempo e, almeno nelle intenzioni, slegato dalle dinamiche di mercato. Sarà davvero possibile o una irrealizzabile utopia? La spiritualità, da sempre centrale nelle tradizioni orientali, la farà da padrona, ma non sono forse gli stessi orientali a credere nelle conseguenze provocate all’altro capo del mondo dal semplice battito d’ali di una farfalla? Chissà, da noi che eco avrà la biennale e chissà come riuscirà a restare davvero al di fuori di alcuni ormai consolidati schemi mondiali. Non ci resta che attendere…
La biennale di Busan, Corea, avrò luogo quest’autunno dal 6 settembre al 15 novembre. Settanta giorni per esplorare un tema tanto attuale quanto delicato: Expenditure ossia consumo, dispendio. Gli artisti contemporanei già da tempo indagano le tematiche del consumismo globale, dell’economia sostenibile, degli stili di vita. E giustamente le istituzioni ne prendono atto e di fanno portatrici di istanze condivise impossibili da ignorare.
Busan 2008 si prefigge di presentare, attraverso i diversi media della contemporaneità (sculture, video, foto, pittura…) una nuova filosofia del consumo (o del non-consumo) che prende le mosse dall’ideologia del francese Georges Bataille, letterato e sociologo. Surrealista dapprima, filotroskista poi, Battaille ha ben descritto un’idea nuova di consumo negando l’imperante ricerca di potere legata a obiettivi anti-etici. Accumulazione, regime, accentramento dei risorse e conseguenti ricadute socio-economiche: sono questi i temi che la biennale sostiene di voler contrastare attraverso una critica estetica e culturale. Interessante che tale presa di coscienza provenga da un’istituzione asiatica, voce fuori dal coro in un continente che corre per inserirsi nel mercato globale e perpetuare le dinamiche economiche vigenti.
La biennale di Busan si pone quindi come punto di rottura per dar luogo e discontinuità generative e incoerenti con il sistema predominante, ma in linea con una nuova serie di prospettive etiche ed estetiche. Annunciano gli organizzatori della biennale di volersi porre, in linea con i temi di Battaille, agli antipodi di concetti quali produzione, accumulazione, acquisizione, controllo… E soprattutto, come il filosofo francese, asseriscono che la cultura si sviluppa attraverso attività giudicate insignificanti.
L’obiettivo diviene quindi reinterpretare la società contemporanea da un punto di vista estetico, differenziandosi quindi dalla altre biennali. L’accusa mossa a queste ultime è di perseguire in qualche modo sperpero e abbondanza e di presentare artisti troppo vicini ad un’idea univoca di mercato, o meglio di mercificazione.
Sarà possibile mantenere una rotta ideologica così marcata? Il direttore artistico, Kim Won-bang professore e critico d’arte, scommette di sì e chiama a raccolta un centinaio di artisti che prontamente rispondono all’appello, dando così vita al primo evento concomitante la biennale. Si tratta della mostra intitolata Expenditure, Art, Culture ossia Consumo, Arte, Cultura presenterà la direzione intrapresa dalle odierne attività artistiche che rinnegano lo stile di un’economia orientata al prodotto e centrata sulle apparenze per sostituirla invece con più elevati valori morali. La nuova religione è quindi un culto laico nel quale la divinità polimorfa è la “cultura”.
Altro evento collaterale sarà il Sea Art Festival, gestito dal curatore indipendente Jeon Seung-bo che riunirà una sessantina di artisti per approfondire il tema Viaggio senza frontiere.
Il festival vuole abbracciare le contraddizioni e i paradossi ritenendoli la vera essenza della vita che si dovrebbe invece sviluppare attraverso la formazione e la creatività. Infine il Busan Sculpture Project, diretto dallo scultore Yi Jeong-hyeong, attraverso venti lavori si intolerà Avant Garden, suggellando il concetto di avanguardia con il luogo che ospita l’evento: il Naru Park. Anche in questo caso ci si prefigge di essere innovatori e precursori nello sviluppo di temi inediti: l’intenzione è di trasformare gli spazi quotidiani in spazi creativi: rinnovare il parco pubblico inondandolo di opere dal forte contenuto epistemologico oltre che etico.
Insomma gli organizzatori della biennale coreana si stanno dando da fare per proporre un prodotto nuovo: artistico e filosofico allo stesso tempo e, almeno nelle intenzioni, slegato dalle dinamiche di mercato. Sarà davvero possibile o una irrealizzabile utopia? La spiritualità, da sempre centrale nelle tradizioni orientali, la farà da padrona, ma non sono forse gli stessi orientali a credere nelle conseguenze provocate all’altro capo del mondo dal semplice battito d’ali di una farfalla? Chissà, da noi che eco avrà la biennale e chissà come riuscirà a restare davvero al di fuori di alcuni ormai consolidati schemi mondiali. Non ci resta che attendere…
Non-solo show, Non-group show, Galleria Franco Soffiantino, Torino
La galleria Franco Soffiantino, a Torino, ha scelto di dedicare i propri spazi a un originale collettivo di artisti. “Non-solo show, Non-group show” è infatti il risultato della performance/installazione scaturita dalla prima collaborazione tra Ei Arakawa (1977, Giappone) Henning Bohl (1975, Germania) e Nora Schultz (1975, Germania). Per due mesi, dal 7 febbraio all’8 aprile, è possibile curiosare per scoprire che cosa questo trio ha ideato. Risulta sempre interessante valutare le collaborazioni artistiche: ciò che ne deriva scaturisce dalla somma di tre diversi stili. Tre personalità creative si incontrano, dialogano, cercano i punti in comune e analizzino le distanze. Tre poetiche diverse generano un’unica visione artistica.
La singolarità dell’attuale esposizione alla Franco Soffiantino è che l’allestimento è stato curato in modo non convenzionale: è infatti il risultato dell’happening del cinque febbraio. Non quindi uno studio precedente, ma un’azione performativa che ha invaso gli spazi e li ha trasformati. Di fronte ad un pubblico incuriosito i tre artisti hanno dato vita ad una performance artistico-musicale nella quale creazione e suoni si sono miscelati. Dalla partecipazione attiva di un singolo momento è derivata la mostra, frutto quindi di un lungo istante che si colloca a metà strada tra teatro e arte. Coloro che non hanno partecipato all’evento possono comunque apprezzarne gli attimi salienti documentati in un video presente ora in galleria, nella sala al piano inferiore. Grazie a questo video, il momento effimero della creazione prende corpo e resta visibile permettendoci di approfondirne lo studio e di cogliere dettagli, sguardi, gesti che una sola, seppur emozionante, partecipazione non permette di notare.
Nella performance i protagonisti sono molteplici: innanzi tutto il collettivo di artisti nel quale tre individui divengono uno, in un momento di comunione e condivisione insolito. Il pubblico e l’arte sono gli altri soggetti partecipanti. Interessante è osservare le espressioni sul volto degli astanti: non c’è divertimento, piuttosto concentrazione, quasi che il pubblico cerchi di comprendere, tenti di trovare delle risposte, provi a ricondurre ciò che vede nelle proprie caselle sensoriali, il che non risulta semplice poiché gli artisti paiono rapiti dalla creazione che risulta, come il loro atteggiamento, poco comunicativa e scarsamente coinvolgente. Il dinamismo che ha caratterizzato questo momento è in netta contrapposizione con la staticità del risultato finale: oggetti dalle grandi dimensioni, immobili, silenziosi restano in esposizione al piano terra della galleria. Cesti in metallo, nastro adesivo da imballo, un grigio freddo e un verde acido preponderano, suscitando smarrimento. Gli oggetti, dalle eccezionali grandezze paiono posti a caso all’interno della galleria, asettici, difficile coglierne il significato: monumentali per dimensioni, quotidiani per tipologia. Il visitatore, come Alice nel paese delle Meraviglie, si aggira in un mondo nel quale le regole geometriche non vengono rispettate e le proporzioni a cui si è abituati vengono stravolte.
La singolarità dell’attuale esposizione alla Franco Soffiantino è che l’allestimento è stato curato in modo non convenzionale: è infatti il risultato dell’happening del cinque febbraio. Non quindi uno studio precedente, ma un’azione performativa che ha invaso gli spazi e li ha trasformati. Di fronte ad un pubblico incuriosito i tre artisti hanno dato vita ad una performance artistico-musicale nella quale creazione e suoni si sono miscelati. Dalla partecipazione attiva di un singolo momento è derivata la mostra, frutto quindi di un lungo istante che si colloca a metà strada tra teatro e arte. Coloro che non hanno partecipato all’evento possono comunque apprezzarne gli attimi salienti documentati in un video presente ora in galleria, nella sala al piano inferiore. Grazie a questo video, il momento effimero della creazione prende corpo e resta visibile permettendoci di approfondirne lo studio e di cogliere dettagli, sguardi, gesti che una sola, seppur emozionante, partecipazione non permette di notare.
Nella performance i protagonisti sono molteplici: innanzi tutto il collettivo di artisti nel quale tre individui divengono uno, in un momento di comunione e condivisione insolito. Il pubblico e l’arte sono gli altri soggetti partecipanti. Interessante è osservare le espressioni sul volto degli astanti: non c’è divertimento, piuttosto concentrazione, quasi che il pubblico cerchi di comprendere, tenti di trovare delle risposte, provi a ricondurre ciò che vede nelle proprie caselle sensoriali, il che non risulta semplice poiché gli artisti paiono rapiti dalla creazione che risulta, come il loro atteggiamento, poco comunicativa e scarsamente coinvolgente. Il dinamismo che ha caratterizzato questo momento è in netta contrapposizione con la staticità del risultato finale: oggetti dalle grandi dimensioni, immobili, silenziosi restano in esposizione al piano terra della galleria. Cesti in metallo, nastro adesivo da imballo, un grigio freddo e un verde acido preponderano, suscitando smarrimento. Gli oggetti, dalle eccezionali grandezze paiono posti a caso all’interno della galleria, asettici, difficile coglierne il significato: monumentali per dimensioni, quotidiani per tipologia. Il visitatore, come Alice nel paese delle Meraviglie, si aggira in un mondo nel quale le regole geometriche non vengono rispettate e le proporzioni a cui si è abituati vengono stravolte.
Settimana della Cultura. 25 - 31 marzo 2008
(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)
Settimana della cultura, una festa per tutti!
Anche quest’anno è stata indetta dal MIBAC – Ministero per i beni e le attività culturali, la Settimana della Cultura. Il periodo è stato la fine di marzo, subito dopo Pasqua, dal 25 al 31 marzo, anticipando di circa due mesi il momento tradizionale dedicato alla cultura.L’aver anticipato il calendario, significa riconoscere che per il turismo culturale la primavera non è un periodo di bassa stagione, ma anzi è uno dei periodi privilegiati. Lontano dalle vacanze tradizionali, estive o invernali che siano, caratterizzato da un clima meno rigido o torrido, permette piacevoli passeggiate alla scoperta degli angoli nascosti delle nostre città.
Com’è consuetudine musei, siti archeologici, monumenti statali hanno aperto i propri battenti gratuitamente. Ma anche le sedi non statali si sono organizzate per permettere un’ampia e attiva partecipazione alla vita culturale. Retrospettive, concerti, spettacoli l’hanno fatta da padroni; inoltre aperture straordinarie, visite guidate ai siti storici, presentazioni di restauri in corso o appena terminati, conferenze e proposte didattiche destinate e diversi tipi di pubblico hanno permesso di salutare l’arrivo della primavera in maniera stimolante. Dal sud al nord ampio è stato il ventaglio di proposte offerte ai cittadini che hanno potuto visitare le sedi dell’arte, scegliere di ammirare il patrimonio pubblico, (artistico e paesaggistico), o ancora seguire iniziative e dibattiti culturali. Numerose sono state le attività destinate ai gruppi, ai nuclei famigliari o alle scolaresche. Estendere la partecipazione ai diversi target di pubblico, cercando di raggiungere anche i segmenti solitamente restii alla partecipazione culturale è stata la mission di quest’anno. Lo slogam scelto per l’edizione 2008 è stato infatti “Una festa per tutti”, a dimostrazione della precisa volontà degli organizzatori. Allo scopo di ampliare davvero la fruizione, la festa ha varcato i confini nazionali: hanno infatti aderito tutti gli Istituti di Cultura Italiana all’estero.
Ormai la Settimana della Cultura è un punto fermo per i cittadini che anche quest’anno hanno partecipato numerosi, desiderosi di apprendere e scoprire. L’obiettivo che il Ministero e le Istituzioni coinvolte si pongono è rafforzare la coscienza condivisa che pone la cultura al centro della crescita territoriale e dell’identità collettiva e personale. Cultura come risorsa per la crescita economica e per lo sviluppo sociale, dunque, ma non solo nei luoghi tradizionalmente deputati: si è parlato in questi giorni di “cultura diffusa”, in particolare nella serata del 27 marzo il cui fine è stato sensibilizzare sull’esigenza di presentare e promuovere più cultura in televisione, considerata la funzione educativa che la tivù pubblica dovrebbe avere e riconoscendole il ruolo di mass media con la maggior influenza sui fruitori.
Settimana della cultura, una festa per tutti!
Anche quest’anno è stata indetta dal MIBAC – Ministero per i beni e le attività culturali, la Settimana della Cultura. Il periodo è stato la fine di marzo, subito dopo Pasqua, dal 25 al 31 marzo, anticipando di circa due mesi il momento tradizionale dedicato alla cultura.L’aver anticipato il calendario, significa riconoscere che per il turismo culturale la primavera non è un periodo di bassa stagione, ma anzi è uno dei periodi privilegiati. Lontano dalle vacanze tradizionali, estive o invernali che siano, caratterizzato da un clima meno rigido o torrido, permette piacevoli passeggiate alla scoperta degli angoli nascosti delle nostre città.
Com’è consuetudine musei, siti archeologici, monumenti statali hanno aperto i propri battenti gratuitamente. Ma anche le sedi non statali si sono organizzate per permettere un’ampia e attiva partecipazione alla vita culturale. Retrospettive, concerti, spettacoli l’hanno fatta da padroni; inoltre aperture straordinarie, visite guidate ai siti storici, presentazioni di restauri in corso o appena terminati, conferenze e proposte didattiche destinate e diversi tipi di pubblico hanno permesso di salutare l’arrivo della primavera in maniera stimolante. Dal sud al nord ampio è stato il ventaglio di proposte offerte ai cittadini che hanno potuto visitare le sedi dell’arte, scegliere di ammirare il patrimonio pubblico, (artistico e paesaggistico), o ancora seguire iniziative e dibattiti culturali. Numerose sono state le attività destinate ai gruppi, ai nuclei famigliari o alle scolaresche. Estendere la partecipazione ai diversi target di pubblico, cercando di raggiungere anche i segmenti solitamente restii alla partecipazione culturale è stata la mission di quest’anno. Lo slogam scelto per l’edizione 2008 è stato infatti “Una festa per tutti”, a dimostrazione della precisa volontà degli organizzatori. Allo scopo di ampliare davvero la fruizione, la festa ha varcato i confini nazionali: hanno infatti aderito tutti gli Istituti di Cultura Italiana all’estero.
Ormai la Settimana della Cultura è un punto fermo per i cittadini che anche quest’anno hanno partecipato numerosi, desiderosi di apprendere e scoprire. L’obiettivo che il Ministero e le Istituzioni coinvolte si pongono è rafforzare la coscienza condivisa che pone la cultura al centro della crescita territoriale e dell’identità collettiva e personale. Cultura come risorsa per la crescita economica e per lo sviluppo sociale, dunque, ma non solo nei luoghi tradizionalmente deputati: si è parlato in questi giorni di “cultura diffusa”, in particolare nella serata del 27 marzo il cui fine è stato sensibilizzare sull’esigenza di presentare e promuovere più cultura in televisione, considerata la funzione educativa che la tivù pubblica dovrebbe avere e riconoscendole il ruolo di mass media con la maggior influenza sui fruitori.
Annullata la seconda edizione di Duesseldorf Contemporary
La crisi economica affonda l’arte contemporanea in Germania
La seconda edizione di DC - Duesseldorf Contemporary, avrebbe dovuto svolgersi dal 17 al 20 aprile. Invece, a sorpresa, un paio di mesi fa, ne è stata annunciata la sospensione. Nonostante gli stessi organizzatori dichiarino che l’edizione dell’anno passato abbia riscosso un notevole successo, importanti ragioni hanno portato a questa non semplice decisione.
Purtroppo non vengono forniti dati circa il presunto successo dell’anno passato e si sa: i manager di qualunque fiera sostengono che la propria fiera sia diversa, originale e vantano i relativi brillanti esiti. Inoltre non si può dimenticare che nello stesso periodo in Germania si svolge Art Cologne, giunta ormai alla quarantaduesima edizione, capace di convogliare su di sé tutta l’attenzione del settore, rendendo difficile il lavoro di eventuali concorrenti.
A ogni modo, il management di Duesseldorf Contemporary, dichiarano di aver preso questa singolare decisione a causa dell’attuale crisi economica che pare abbia investito, in particolar modo, il settore delle fiere d’arte all’inizio del 2008. Secondo gli organizzatori, una serie di misure giuridiche messa in atto per restringere il mercato, permette di concentrare l’attenzione su un numero limitato di fiere rilevanti dal punto di vista internazionale, penalizzando le fiere minori o più giovani.
Pertanto, Duesseldorf Contemporary lavorerà con altri partners allo scopo di instaurare collaborazioni profique che consolideranno la posizione delle fiere minori. Tali cooperazioni sono però ancora in fase embrionale e ciò ha reso impossibile l’organizzazione della seconda edizione della fiera. I responsabili promettono però un rapido ritorno sulla scena, probabilmente per la prossima primavera.
Noi, fiduciosi aspettiamo, consapevoli che una prima sconfitta di questo tipo non aiuterà di certo la promozione dell’evento, ma solidali verso un piccolo pesce che tenta di farsi strada in un mare popolato da pescecani.
La seconda edizione di DC - Duesseldorf Contemporary, avrebbe dovuto svolgersi dal 17 al 20 aprile. Invece, a sorpresa, un paio di mesi fa, ne è stata annunciata la sospensione. Nonostante gli stessi organizzatori dichiarino che l’edizione dell’anno passato abbia riscosso un notevole successo, importanti ragioni hanno portato a questa non semplice decisione.
Purtroppo non vengono forniti dati circa il presunto successo dell’anno passato e si sa: i manager di qualunque fiera sostengono che la propria fiera sia diversa, originale e vantano i relativi brillanti esiti. Inoltre non si può dimenticare che nello stesso periodo in Germania si svolge Art Cologne, giunta ormai alla quarantaduesima edizione, capace di convogliare su di sé tutta l’attenzione del settore, rendendo difficile il lavoro di eventuali concorrenti.
A ogni modo, il management di Duesseldorf Contemporary, dichiarano di aver preso questa singolare decisione a causa dell’attuale crisi economica che pare abbia investito, in particolar modo, il settore delle fiere d’arte all’inizio del 2008. Secondo gli organizzatori, una serie di misure giuridiche messa in atto per restringere il mercato, permette di concentrare l’attenzione su un numero limitato di fiere rilevanti dal punto di vista internazionale, penalizzando le fiere minori o più giovani.
Pertanto, Duesseldorf Contemporary lavorerà con altri partners allo scopo di instaurare collaborazioni profique che consolideranno la posizione delle fiere minori. Tali cooperazioni sono però ancora in fase embrionale e ciò ha reso impossibile l’organizzazione della seconda edizione della fiera. I responsabili promettono però un rapido ritorno sulla scena, probabilmente per la prossima primavera.
Noi, fiduciosi aspettiamo, consapevoli che una prima sconfitta di questo tipo non aiuterà di certo la promozione dell’evento, ma solidali verso un piccolo pesce che tenta di farsi strada in un mare popolato da pescecani.
Miraggi: l'arte pubblica a Milano diventa realtà
Vacanze pasquali, settimana della cultura e ora MiArt: una serie di eventi successivi che hanno trasformato Milano, portando una primaverile ventata di cultura e arte contemporanea.
E l’amministrazione milanese, forse stanca dell’accusa che la vede distante dai propri cittadini, ha contribuito allo sviluppo di un progetto che porta l’arte contemporanea per le strade e le piazze. In occasione del MiArt, è stata organizzata Miraggi: una proposta/percorso di fruizione partecipata che si sviluppa nel centro cittadino e che lega la fiera al suo territorio, in una relazione nuova e sinergica. I Milanesi hanno già potuto gioire della presenza di opere d’arte sparse qua e là, nei luoghi maggiormente significativi della metropoli.
Abituati a relegare l’arte a contenitori deputati, si è perso il contatto con l’arte pubblica e con i monumenti che hanno caratterizzato tante epoche delle città in cui viviamo. Oggi, grazie a fruttuose collaborazioni tra gli enti pubblici e i privati, si comincia a costruire un vero e proprio network dell’arte, anche in vista di eventi futuri di ampio raggio contenutistico e geografico.
Il progetto Miraggi, ideato dall’Assesorato dell’Arredo Urbano in collaborazione con la fiera di questi giorni, vede l’installazione di dodici sculture appositamente realizzate da artisti italiani e sudamericani (quest’anno il MiArt dedica un particolare focus a Buenos Aires e celebra l’arte proveniente dall’America Latina). Veri e propri “miraggi” nel paesaggio urbano, queste opere dialogheranno con la città e con gli eventi di questo periodo: oltre alla fiera, vi sono mostre notevoli sia nelle istituzioni museali che nelle gallerie milanesi.
Trasformato in un museo all’aperto, il centro cittadino accoglierà visitatori e operatori culturali, dimostrando che la qualità di una fiera si misura anche in base agli eventi collaterali organizzati e alle collaborazioni che sa creare con il contesto di riferimento. Inoltre, piace tanto l’idea di coinvolgere la città per un tempo più lungo della durata della fiera, dimostrando di voler ridestare l’attenzione dei residenti e di voler rendere più famigliare la fiera. E’ forse finalmente finito il tempo dei grandi eventi organizzati per un target di pubblico rigidamente definito? Può darsi che una nuova consapevolezza si stia sviluppando, alla ricerca di nuovi pubblici ma soprattutto di un’illuminata apertura ai temi della fruizione e della didattica artistica.
La città risulta più interessante, dinamica, piacevole da riscoprire (o scoprire), disponibile all’aggregazione e alla circolazione di persone e idee, in una parola: più bella.
E l’amministrazione milanese, forse stanca dell’accusa che la vede distante dai propri cittadini, ha contribuito allo sviluppo di un progetto che porta l’arte contemporanea per le strade e le piazze. In occasione del MiArt, è stata organizzata Miraggi: una proposta/percorso di fruizione partecipata che si sviluppa nel centro cittadino e che lega la fiera al suo territorio, in una relazione nuova e sinergica. I Milanesi hanno già potuto gioire della presenza di opere d’arte sparse qua e là, nei luoghi maggiormente significativi della metropoli.
Abituati a relegare l’arte a contenitori deputati, si è perso il contatto con l’arte pubblica e con i monumenti che hanno caratterizzato tante epoche delle città in cui viviamo. Oggi, grazie a fruttuose collaborazioni tra gli enti pubblici e i privati, si comincia a costruire un vero e proprio network dell’arte, anche in vista di eventi futuri di ampio raggio contenutistico e geografico.
Il progetto Miraggi, ideato dall’Assesorato dell’Arredo Urbano in collaborazione con la fiera di questi giorni, vede l’installazione di dodici sculture appositamente realizzate da artisti italiani e sudamericani (quest’anno il MiArt dedica un particolare focus a Buenos Aires e celebra l’arte proveniente dall’America Latina). Veri e propri “miraggi” nel paesaggio urbano, queste opere dialogheranno con la città e con gli eventi di questo periodo: oltre alla fiera, vi sono mostre notevoli sia nelle istituzioni museali che nelle gallerie milanesi.
Trasformato in un museo all’aperto, il centro cittadino accoglierà visitatori e operatori culturali, dimostrando che la qualità di una fiera si misura anche in base agli eventi collaterali organizzati e alle collaborazioni che sa creare con il contesto di riferimento. Inoltre, piace tanto l’idea di coinvolgere la città per un tempo più lungo della durata della fiera, dimostrando di voler ridestare l’attenzione dei residenti e di voler rendere più famigliare la fiera. E’ forse finalmente finito il tempo dei grandi eventi organizzati per un target di pubblico rigidamente definito? Può darsi che una nuova consapevolezza si stia sviluppando, alla ricerca di nuovi pubblici ma soprattutto di un’illuminata apertura ai temi della fruizione e della didattica artistica.
La città risulta più interessante, dinamica, piacevole da riscoprire (o scoprire), disponibile all’aggregazione e alla circolazione di persone e idee, in una parola: più bella.
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