Nella Kunsthalle di Vitulano, Giamaart, è stata realizzata una nuova mostra di pittura che promuove la giovane arte italiana. In particolare questa volta viene presentata la giovane arte donna: a rappresentare la categoria Sonia Ceccotti, Elena Monzo, Antonella Cinelli. Tre poetiche differenti che partono da un sentire comune, quello femminile, ammesso che esista un sentire comune legato al sesso, più corretto quindi parlare in questo caso di un sentire comune legato alla solitudine, all'esplorazione di sè, alla riflessione esistenziale. Catologo e titolo della mostra ci informano che le artiste volontariamente desiderano che le opere siano passibili di più interpretazioni, caratteristica che accomuna i grandi maestri e coloro che non hanno nulla da dire... allora di buona lena e con spirito pionerie ci accingiamo alla personale lettura critica di "Ipotesi di senso". Le opere, disposte ordinatamente sulle pareti, abitano bene lo spazio e paiono dialogare tra loro raccontandoci una femminilità turbata qui, annoiata là, frutto di una indagine pittorica attenta al dettaglio.
Ceccotti ritrae donne (o meglio: si autoritrae, considerata la somiglianza evidente tra il proprio volto e quelli dipinti) annoiate da principi ranocchi invadenti, beffardi e conformati nello stile e nell'approccio; come uomini identici tra loro, con tanto di appariscente corona ad indicare il proprio status ma dai sorrisi poco intelligenti. Colori vivaci e una tecnica quasi adolescenziale, ragazze apatiche in bilico tra tedio e solutidine, rappresentate all'interno delle mura domestiche in abiti succinti ma non provocanti, tuttalpiù casalinghi. Neppure le ragazze di Antonella Cinelli risultano tanto serene. Due serie di ritratti eseguiti con tecnica certosina e iper-realista: la prima è un gioco di luci e ombre sul primo piano di una donna che piange, sfatto il trucco e dark la composizione, secondo un gusto quasi gotico; la seconda presenta donne semi-svestite, in biancheria. Anche qui non v'è una componente prettamente sensuale, quanto una profondamente intimistica, onirica.
Infine Elena Monzo presenta una serie di opere su carta a un'installazione scultorea. I disegni, il cui tratto straborda i confini del foglio e colonizza la parete, creando continuità, quasi come se la forza dell'opera non riuscisse a essere contenuta nello spazio cartaceo ed esondasse. Un tratto che ricorda alcuni disegni di tradizione nipponica, nella quale la delicatezza dello stile contrasta con la violenza delle immagini e dei colori. E della tradizione nipponica Monzo preleva anche il feticismo legato agli slip femminili: una sequenza di questi, inamidati con la resina e decorati con figurine umane, capeggiano sulle pareti della galleria. Le tre artiste lavorano quindi sull'intimità, sul sesso, senza per questo essere volgari, con una delicatezza però non leggera, ma che ci appesantisce con questioni sulla figura femminile contemporanea.
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