Si chiama Kandinsky Prize ed è il maggior premio russo dedicato all’arte contemporanea, paragonato per qualità e valore economico al celebre Turner Prize. Lo scopo è promuovere gli artisti locali e le nuove sperimentazioni anticipando, magari, le tendenze contemporanee.Il Premio si suddivide in quattro sezioni: “Artist of the Year”, “Prize for the Best Young Artist”, “Media Art Prize” and the “Audience's Prize” e all’artista vincitore della prima categoria viene anche data la possibilità di organizzare due grandi mostre all’estero: una in Germania e una negli Stati Uniti. I premi in denaro (55mila euro complessivi) e le residenze d’artista rappresentano, soprattutto in un contesto economico sociale come quello dell’ex Unione Sovietica, una vincita da capogiro.
Come si fa a organizzare un premio così prestigioso? Si innescano partnership autorevoli con i media del settore e, soprattutto, con mecenati danarosi. Molto danarosi. Et voilà: media partners Art Chronika, la rivista più importante del settore, e main sponsor, udite udite, Deutsche Bank (ecco spiegate le mostre in Germania e USA).
Giunto alla seconda edizione, il Kandinsky Prize l’anno scorso aveva visto vincitore Anatolij Osmolovskij e, best young artist Vladena Gromova. Quest’anno si aggiudica il titolo di artista dell’anno Alexey Beliayev-Guintovt grazie alla serie pittorica “Motherland-Daughter”; suoi quindi i 40mila euro destinati al vincitore della categoria. All’annuncio del Premio hanno fatto seguito numerose polemiche (il cui primo portavoce è proprio Anatolij Osmolovskij) circa le posizioni ultranazionaliste dell’artista che non sono mistero per nessuno e che, in un Russia coinvolta in scenari politici per nulla sereni, lasciano spazio a riflessioni sui legami tra l’arte e i contesti nei quali si muove.
Secondo Marat Guelman, direttore della M&J Guelman Gallery e rappresentante, guarda caso, di Osmolovskij, “il problema non è semplicemente che l’artista sia di estrema destra, ma il fatto che tenti di fare una carriera artistica basata sulla sua visione politica. Questa decisione potrebbe danneggiare il prestigio e l’influenza del Premio Kandinsky”.
Gli echi della politica di regime sovietica e gli spasmi della dottrina cattolico-ortodossa più rigorosa appartengono da sempre alla “poetica” artistica di Beliayev-Guintovt ed emergono prepotentemente nelle tele della serie vincitrice.
L’artista si è difeso sostenendo di avere a cuore solo un unico tema in grado di ispirare il suo lavoro: Motherland, la madre patria, di cui vuole celebrare “la grandiosità e la bellezza”. E pensare che l’anno passato Osmolovskij aveva vinto con l’opera “T-72”: carrarmati in bronzo senza cannone, formanti un’installazione sbertucciante quasi quanto le sculture di Koons. In quell’occasione si era tanto parlato del testa a testa che aveva visto l’artista pacifista favorito assieme al gruppo AES+F la cui denuncia sociale si palesa in ogni opera.
Ma tanto per complicare la situazione - e far pensare che la giuria internazionale soffra di schizofrenia, o che perlomeno sia attratta da lavori che, in un modo o nell’altro, abbiano a che fare con la politica russa - il premio per il miglior giovane artista è andato a Diana Machulina grazie all’opera “Labour” una pittura ispirata a una fotografia del 1985 raffigurante un incontro tra i leader del partito comunista, tra i quali figura il presidente sovietico Mikhail Gorbachev.
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