La Galleria Silvy Bassanese ospita a Biella, fino al 28 febbraio, la mostra di Nicola Renzi, perugino già noto in Italia che vanta nel suo curriculum numerose esposizioni e premi. Il titolo della mostra è Reduce. Reduce… chissà da cosa, o da chi, da quale avventura o esperienza difficoltosa… Non è dato sapere, ma sarebbe curioso, considerato che allo status di reduce, istintivamente si vorrebbero associare lavori sulla memoria, sull’identità, sui luoghi collettivi; si potrebbero immaginare colori scuri, lavori introspettivi.
Al contrario, l’ingresso in galleria ci riporta quasi all’infanzia: è un turbinio di colori e forme elementari, di lavori che - seppur eseguiti con cura certosina - paiono realizzati in un unico istante, seguendo un istinto ludico e improvviso. I lavori di Renzi potrebbero tranquillamente allestire lo spazio di una scuola primaria nella quale l’individuo si forma e inizia a scoprire il mondo con beata meraviglia, ancora non inquinata dalla consapevolezza. I colori sembrano fuoriuscire direttamente dalle pareti, l’allestimento risulta un percorso quasi onirico, all’interno del quale la luce e i colori delle opere possono giocare brutti scherzi e far credere che i vivaci motivi ornamentali siano leggeri e sospesi nel vuoto.
Renzi si muove dall’astrattismo all’arte concettuale, non inventa nulla e non fissa un punto di rottura; però i suoi lavori risultano gradevoli da un punto di vista estetico e interessanti da un punto di vista tecnico.
La ripetizione quasi ossessiva dei particolari minuziosi, la morbosità della precisione, gli accostamenti cromatici contrastanti e raffinati, i formati semplici e privi di fronzoli rendono il lavoro di Renzi decorativo ma senza inutili orpelli barocchi, essenziale e magnetico, dal sapore quasi optical.
È uscito Annual Yong Blood 2007: annuario dei talenti italiani premiati nel mondo
Si chiama Young Blood ed è edito da Iron Production il primo annuario dei premi assegnati ai talenti italiani. Uno strumento di ricerca e informazione completo, chiaro e accattivante, a disposizione di quanti vogliano conoscere la giovane arte italiana. Chi si muove nel panorama dell’arte contemporanea sa quanto sia difficile essere sempre aggiornati, scegliere su quali artisti puntare, seguire le nuove emergenze, investire sulla creatività brand new.
Critici, appassionati e collezionisti hanno ora a disposizione un nuovo alleato: l’annual Young Blood presenterà ogni anno l’esaustiva mappatura dei premi assegnati alla creatività e alla ricerca.
Attraverso semplici schede, in due lingue, il volume presenta gli artisti vincitori, un’immagine dell’opera che è valsa il riconoscimento e una breve descrizione biografica. Diverse le efficaci sezioni tematiche: arte, architettura, design; ma anche moda, pubblicità, fotografia e grafica; e ancora illustrazione e fumetto; cinema, video e web. Chiude una carrellata sui riconoscimenti dati alle migliori attività di gestione culturale, vale a dire Premio Cultura di Gestione, Premi Com-PA e Premio Impresa e Cultura.
Per quanto riguarda l’arte contemporanea, nel 2007 diversi premi, borse di studio, residenze sono stati assegnati a giovani artisti emergenti, in parte già noti, tra i quali: Valerio Berruti, vincitore del Premio Dena Fondation; Ettore Favini, insignito del Premio Artegiovane; Gaia Fugazza rappresentante del Progetto Movin’up; Domenico Mangano, ultimo trionfatore del premio Pagine Bianche d’Autore; Andrea Mastrovito per il Premio New York; Laura Renna, vincitrice del premio Costa Crociere-Fondazione Pomodori, Luca Trevisani, nientepopodimenoche Premio Furla per l’Arte e Nico Vascellari, ultimo Premio Giovane Arte Italiana.Tra i fotografi: Davide Monteleone, Lorenzo Cicconi Massi, Paolo Pellegrin e Massimo Berruti si sono distinti tra i partecipanti del World Press Photo 2007; seguono, tra gli altri, Nicola Bettale per il Concorso Federculture; Michele Borzoni, insignito del Yann Geffroy Award (il premio promosso dall’Agenzia Grazia Neri); Veronica Dell’Agostino e Massimo Mastrorillo rappresentanti italiani all’International Photograpy Award; Maria Giulia Giorgiani per il Premio Pitti Immagine e Giuseppe Rado, vincitore del Premio Fabbri per l’Arte.
Infine, segnaliamo alcuni tra i rappresentanti della categoria WEB: Simone Colombo e Lucio Lapietra si sono aggiudicati l’Enel Digital Contest; mentre Enrico Gaido è il vincitore del Concorso Video.it.
Un premio è andato anche ai giovani critici e storici dell'arte: stanziato dal MiBAC il Premio Nazionale DARC MAXXI è stato assegnato a Lara Conte e Sara Francia.
Tra i riconoscimenti alle aziende ricordiamo il Premio Intesa San Paolo e il Premio Enel andati rispettivamente all’azienda Tramontano e alla ABB. Eni si è invece aggiudicata il premio Hay Group; mentre Furla il riconoscimento Premio RCS Periodici. Il Premio Cultura di Gestione (bandito da Federculture e dal MiBAC) ha riconosciuto la valida attività di diversi enti, tra i quali il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano. Del Premio Speciale Formez è stato insignito il Municipio Roma I per il progetto “Spazio Cremonini al Trevi”.
Critici, appassionati e collezionisti hanno ora a disposizione un nuovo alleato: l’annual Young Blood presenterà ogni anno l’esaustiva mappatura dei premi assegnati alla creatività e alla ricerca.
Attraverso semplici schede, in due lingue, il volume presenta gli artisti vincitori, un’immagine dell’opera che è valsa il riconoscimento e una breve descrizione biografica. Diverse le efficaci sezioni tematiche: arte, architettura, design; ma anche moda, pubblicità, fotografia e grafica; e ancora illustrazione e fumetto; cinema, video e web. Chiude una carrellata sui riconoscimenti dati alle migliori attività di gestione culturale, vale a dire Premio Cultura di Gestione, Premi Com-PA e Premio Impresa e Cultura.
Per quanto riguarda l’arte contemporanea, nel 2007 diversi premi, borse di studio, residenze sono stati assegnati a giovani artisti emergenti, in parte già noti, tra i quali: Valerio Berruti, vincitore del Premio Dena Fondation; Ettore Favini, insignito del Premio Artegiovane; Gaia Fugazza rappresentante del Progetto Movin’up; Domenico Mangano, ultimo trionfatore del premio Pagine Bianche d’Autore; Andrea Mastrovito per il Premio New York; Laura Renna, vincitrice del premio Costa Crociere-Fondazione Pomodori, Luca Trevisani, nientepopodimenoche Premio Furla per l’Arte e Nico Vascellari, ultimo Premio Giovane Arte Italiana.Tra i fotografi: Davide Monteleone, Lorenzo Cicconi Massi, Paolo Pellegrin e Massimo Berruti si sono distinti tra i partecipanti del World Press Photo 2007; seguono, tra gli altri, Nicola Bettale per il Concorso Federculture; Michele Borzoni, insignito del Yann Geffroy Award (il premio promosso dall’Agenzia Grazia Neri); Veronica Dell’Agostino e Massimo Mastrorillo rappresentanti italiani all’International Photograpy Award; Maria Giulia Giorgiani per il Premio Pitti Immagine e Giuseppe Rado, vincitore del Premio Fabbri per l’Arte.
Infine, segnaliamo alcuni tra i rappresentanti della categoria WEB: Simone Colombo e Lucio Lapietra si sono aggiudicati l’Enel Digital Contest; mentre Enrico Gaido è il vincitore del Concorso Video.it.
Un premio è andato anche ai giovani critici e storici dell'arte: stanziato dal MiBAC il Premio Nazionale DARC MAXXI è stato assegnato a Lara Conte e Sara Francia.
Tra i riconoscimenti alle aziende ricordiamo il Premio Intesa San Paolo e il Premio Enel andati rispettivamente all’azienda Tramontano e alla ABB. Eni si è invece aggiudicata il premio Hay Group; mentre Furla il riconoscimento Premio RCS Periodici. Il Premio Cultura di Gestione (bandito da Federculture e dal MiBAC) ha riconosciuto la valida attività di diversi enti, tra i quali il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano. Del Premio Speciale Formez è stato insignito il Municipio Roma I per il progetto “Spazio Cremonini al Trevi”.
Il modern day dandy vince il turner prize 2008
(articolo pubblicato su Artkey n°8 - gennaio/febbraio 2009)
È andata in onda il 1° dicembre, su Channel 4, la diretta della cerimonia di premiazione del Turner Prize 2008, il più importante premio inglese per l’arte contemporanea. Per l’occasione è stato scelto, quale testimonial della serata, il cantante Nick Cave che ha consegnato il premio - 25mila sterline - a Mark Leckey che si divide tra l’Inghilterra e la Germania, video maker oltre Manica e professore di cinema e video presso la Frankfurt's Städelschule.
La cerimonia è stata l’occasione per alcune riflessioni sull’arte contemporanea che non hanno esulato l’argomento delle speculazioni del mercato. Leckey ha accusato la stampa di dare troppa importanza a fenomeni come Hirst (che pure vinse il Turner nel 1995) e Banksy, ciò non significa negarne la bravura, semplicemente l’artista ha sottolineato come i media siano ormai interessati solo al sensazionismo, dimentichi che l’arte contemporanea deve rispecchiare il mondo in cui viviamo. “La stampa viene al Turner Prize e si aspetta di essere scioccata, ma il mondo in cui io vivo non è così” ha dichiarato l’artista. La giuria del Turner 2008 era composta da David Adjaye - architetto e direttore Adjaye Associates, Daniel Birnbaum - critico e direttore Staatliche Hochschule für Bildende Künste di Francoforte, nonché attuale curatore della Triennale di Torino e della prossima Biennale di Venezia - Suzanne Cotter - curatrice e direttrice delegata della Modern Art Oxford - Jennifer Higgie - editrice di Frieze - e, ovviamente, presidente della giuria Stephen Deuchar, direttore della Tate Britain.
La short list degli artisti candidati al premio, la cui mostra alla Tate è stata visitata, negli ultimi due mesi, da circa 60mila appassionati, era composta, oltre che dal vincitore, da Runa Islam, Goshka Macuga e Cathy Wilkes.
Nato a Birkenhead nel 1964, Leckey, si è laureato al Politecnico della cittadina universitaria Newcastle nel 1990. Ha esposto in diversi spazi in Inghilterra, Germania, Francia, USA. Professore di studi cinematografici e musicista in diverse band musicali, è stato inserito nella short list del Turner Prize a seguito delle sue mostre personali “Industrial Light & Magic” allestita a Le Consortium di Digione e “Resident” presso il Kölnischer Kunstverein di Colonia.
È andata in onda il 1° dicembre, su Channel 4, la diretta della cerimonia di premiazione del Turner Prize 2008, il più importante premio inglese per l’arte contemporanea. Per l’occasione è stato scelto, quale testimonial della serata, il cantante Nick Cave che ha consegnato il premio - 25mila sterline - a Mark Leckey che si divide tra l’Inghilterra e la Germania, video maker oltre Manica e professore di cinema e video presso la Frankfurt's Städelschule.
La cerimonia è stata l’occasione per alcune riflessioni sull’arte contemporanea che non hanno esulato l’argomento delle speculazioni del mercato. Leckey ha accusato la stampa di dare troppa importanza a fenomeni come Hirst (che pure vinse il Turner nel 1995) e Banksy, ciò non significa negarne la bravura, semplicemente l’artista ha sottolineato come i media siano ormai interessati solo al sensazionismo, dimentichi che l’arte contemporanea deve rispecchiare il mondo in cui viviamo. “La stampa viene al Turner Prize e si aspetta di essere scioccata, ma il mondo in cui io vivo non è così” ha dichiarato l’artista. La giuria del Turner 2008 era composta da David Adjaye - architetto e direttore Adjaye Associates, Daniel Birnbaum - critico e direttore Staatliche Hochschule für Bildende Künste di Francoforte, nonché attuale curatore della Triennale di Torino e della prossima Biennale di Venezia - Suzanne Cotter - curatrice e direttrice delegata della Modern Art Oxford - Jennifer Higgie - editrice di Frieze - e, ovviamente, presidente della giuria Stephen Deuchar, direttore della Tate Britain.
La short list degli artisti candidati al premio, la cui mostra alla Tate è stata visitata, negli ultimi due mesi, da circa 60mila appassionati, era composta, oltre che dal vincitore, da Runa Islam, Goshka Macuga e Cathy Wilkes.
Nato a Birkenhead nel 1964, Leckey, si è laureato al Politecnico della cittadina universitaria Newcastle nel 1990. Ha esposto in diversi spazi in Inghilterra, Germania, Francia, USA. Professore di studi cinematografici e musicista in diverse band musicali, è stato inserito nella short list del Turner Prize a seguito delle sue mostre personali “Industrial Light & Magic” allestita a Le Consortium di Digione e “Resident” presso il Kölnischer Kunstverein di Colonia.
Maurizio Galimberti a Napoli
La giovane galleria Vulcano Arte ospita uno dei maggiori giovani fotografi italiani: Maurizio Galimberti, con il quale organizza una monografica dal titolo: “Tra ritratti ed architetture”. La galleria partenopea chiude così l’attività del 2008 in grande stile, proponendo una serie di polaroid che sono una vera e propria ricerca on the road. Un Galimberti vagabondo ruba frammenti urbani e, con grande sapienza, li elabora: New York e Venezia e gli inediti scatti napoletani.
Sotto ogni polaroid, come di consueto, il rettangolo bianco è sottoscritto dall’artista: un gesto grafico, una firma, una breve didascalia… cronologicamente ultimo tratto distintivo a sottolineare la paternità dell’opera e a rievocare la presenza del fotografo che si insinua quindi, in punta di piedi, nella relazione tra lo spettatore e l’opera d’arte, come un Pistoletto nello specchio.
E poi… distorsioni, ripetizioni, dettagli certosini che invitano il visitatore alla fascinazione di un’estetica che è tecnica; concretezza chirurgica e astrattezza metafisica si fondono.
Sono continui i rimandi al cubismo e al futurismo: fotografie dinamiche nelle quali i soggetti danzano seguendo il ritmo della metropoli, più chiassosa qua, più meditabonda là.
Il vivere quotidiano si frammenta, l’esistenza si carica di sfaccettature e sovrapposizioni che, pur nella nitidezza dei dettagli, confondono e invitano a non fermarsi, a cercare nuove prospettive, nuove angolazioni; non solo nella fotografia.
Attraverso la scomposizione e la ricomposizione, Galimberti elabora un rapporto con i luoghi fatto di osservazione, confidenza e paziente rielaborazione. Ne scaturisce una passione per la contemporaneità che risulta contagiosa: l’elaborazione fotografica innesca, paradossalmente, un desiderio di conoscenza che - nel caso di Napoli o di altri luoghi famigliari - diviene elaborazione mnemonica alla ricerca degli elementi ri-conosciuti. Architetture irreali, dettagli sovrapposti, giochi di luci si trasformano in involontari percorsi cognitivi tangibili.
Vulcano Arte invita l’artista a proporre i celebri mosaici fotografici e i ritratti che gli valsero, nel 1999, l’elezione a miglior fotoritrattista italiano. Avvezzo ai premi e riconoscimenti prestigiosi - fu fotografo ufficiale alla 60.Biennale di Venezia, insignito del Premio Kodak - Galimberti passa dalla comunicazione aziendale delle campagne pubblicitarie alle sperimentazioni tecniche della fotografia contemporanea che rendono i suoi lavori, per alcuni versi affini a quelli di Bramante, di facile identificazione.
Nei primi anni del 2000, Galimberti lavorò a lungo a Napoli, da quelle esplorazioni scaturì un volume: “Napoli istantanea” (Logos, 2004); ora il fotografo ritorna in Campania ed emoziona di nuovo i suoi abitanti, attraverso una mostra che è un gioiello.
Anzi un diamante. Multisfacettato.
Milano: successo per il Mint
(articolo pubblicato su Artkey n°8 - gennaio/febbraio 2009)
Si è conclusa domenica la terza edizione del Mint, una fiera che, nonostante la contingenza economica, cresce e ritaglia un proprio spazio identitario nel calderone di fiere e mostre-mercato che fungono da sottobosco umido e un po’ ammuffito di questa nostra Italia. Dodicimila visitatori hanno scelto di recarsi al Mint superando di circa il 20% la cifra raggiunta lo scorso anno, segno di un interesse crescente per la giovane Fiera milanese. Il Mint è davvero un bijou: niente periferie urbane abbandonate e poco accessibili, niente bar da autostrada con panini congelati, niente folle di pubblico e spintoni alla biglietteria.
Situato nei giardini del Castello Sforzesco, ha offerto a pubblico ed espositori un’accoglienza delicata e attenta alle esigenze di tutti.
Per la nostra redazione si è trattato di una Fiera sui generis: non solo arte contemporanea, come d’abitudine, ma anche antica, moderna e design. Sguardo trasversale quindi sul mondo dell’arte, per un pubblico che, anche nei momenti di punta, si è rivelato curioso e raffinato, attento a ciò che conosce e ma interessato anche a nuove proposte.
Le gallerie di arte contemporanea hanno preferito non osare troppo, forse per non turbare eccessivamente i neofiti e hanno scelto di proporre opere di artisti consolidati (Luigi Ontani per la romana Oredaria Arti Contemporanea) o tenui e romantici (Jacob Hashimoto e Hiroyuki Masuyama per Studio La Città, Verona). Eccezion fatta per Zonca & Zonca (Milano) che ha portato in Fiera alcune fotografie erotiche di Nobuyoshi Araki.
Di sicuro interesse anche il lavoro di quelle gallerie che hanno saputo rivolgersi a più target di pubblico simultaneamente, attraverso l’esposizione di lavori molto differenti tra loro, per stile e periodo. Un buon esempio risulta a questo proposito la Galleria Antiquaria Diego Gomiero (Padova) che ha proposto al pubblico del Mint una serie di fotografie esteticamente squisite e di qualità innegabile dell’italiano Marzio De Santis.
Tra gli altri artisti presenti in fiera anche David La Chapelle, Burri, Sironi e Fontana, nonché Pistoletto, De Chirico, De Pisis e Manzoni.
Tra le opere di contemporanea vendute, Navigation drawing (2008) di Julian Schnabel (galleria Robilant + Voena, Londra e Milano) e Natura Morta di Tamara De Lempicka (Claudia Gian Ferrari - Studio di Consulenza per il ‘900 Italiano, Milano).
Oltre agli stand per gli espositori, il Mint ha messo a disposizione un foyer nel quale si è tenuto un incontro organizzato in collaborazione con MF - Milano Finanza per approfondire il tema Arte-Mercato e un’asta per la vendita di dieci lavori fotografici i cui proventi verranno destinati al recupero storico di alcune opere di proprietà del Comune di Milano.
Si è conclusa domenica la terza edizione del Mint, una fiera che, nonostante la contingenza economica, cresce e ritaglia un proprio spazio identitario nel calderone di fiere e mostre-mercato che fungono da sottobosco umido e un po’ ammuffito di questa nostra Italia. Dodicimila visitatori hanno scelto di recarsi al Mint superando di circa il 20% la cifra raggiunta lo scorso anno, segno di un interesse crescente per la giovane Fiera milanese. Il Mint è davvero un bijou: niente periferie urbane abbandonate e poco accessibili, niente bar da autostrada con panini congelati, niente folle di pubblico e spintoni alla biglietteria.
Situato nei giardini del Castello Sforzesco, ha offerto a pubblico ed espositori un’accoglienza delicata e attenta alle esigenze di tutti.
Per la nostra redazione si è trattato di una Fiera sui generis: non solo arte contemporanea, come d’abitudine, ma anche antica, moderna e design. Sguardo trasversale quindi sul mondo dell’arte, per un pubblico che, anche nei momenti di punta, si è rivelato curioso e raffinato, attento a ciò che conosce e ma interessato anche a nuove proposte.
Le gallerie di arte contemporanea hanno preferito non osare troppo, forse per non turbare eccessivamente i neofiti e hanno scelto di proporre opere di artisti consolidati (Luigi Ontani per la romana Oredaria Arti Contemporanea) o tenui e romantici (Jacob Hashimoto e Hiroyuki Masuyama per Studio La Città, Verona). Eccezion fatta per Zonca & Zonca (Milano) che ha portato in Fiera alcune fotografie erotiche di Nobuyoshi Araki.
Di sicuro interesse anche il lavoro di quelle gallerie che hanno saputo rivolgersi a più target di pubblico simultaneamente, attraverso l’esposizione di lavori molto differenti tra loro, per stile e periodo. Un buon esempio risulta a questo proposito la Galleria Antiquaria Diego Gomiero (Padova) che ha proposto al pubblico del Mint una serie di fotografie esteticamente squisite e di qualità innegabile dell’italiano Marzio De Santis.
Tra gli altri artisti presenti in fiera anche David La Chapelle, Burri, Sironi e Fontana, nonché Pistoletto, De Chirico, De Pisis e Manzoni.
Tra le opere di contemporanea vendute, Navigation drawing (2008) di Julian Schnabel (galleria Robilant + Voena, Londra e Milano) e Natura Morta di Tamara De Lempicka (Claudia Gian Ferrari - Studio di Consulenza per il ‘900 Italiano, Milano).
Oltre agli stand per gli espositori, il Mint ha messo a disposizione un foyer nel quale si è tenuto un incontro organizzato in collaborazione con MF - Milano Finanza per approfondire il tema Arte-Mercato e un’asta per la vendita di dieci lavori fotografici i cui proventi verranno destinati al recupero storico di alcune opere di proprietà del Comune di Milano.
Dal fast food alla fast culture: i'm loving it!
È di venerdì la notizia che a gestire la futura Direzione Ministeriale dedicata ai "musei, gallerie e valorizzazione" non sarà Antonio Paolucci, come sostenuto dai rumors e auspicato da molti: Paolucci ha rinunciato e l'on.Sandro Bondi ha proposto la nomina di una persona più giovane, dinamica, che vanta spiccate competenze manageriali. Ebbene, dal cilindro è saltato fuori il nome di Mario Resca.
Mario Resca... Mario Resca ... "chi era costui"? Se ancora non ci siete arrivati è probabilmente perché siete sulla strada sbagliata e cercate, tra i mille nomi presenti nell'hard disk della vostra mente, un Resca direttore museale o manager culturale, piuttosto che storico dell'arte o sovrintendente, oppure docente.
Aiutino dal pubblico a casa: a Mario Resca furono affidate le sorti del gruppo Cirio-Del Monte dopo il crack, membro del CdA di diverse società tra le quali Eni e Mondadori, presidente della Casinò Municipale di Campione d'Italia S.p.A., ha ricoperto diversi incarichi manageriali tra i quali il mandato - ancora in corso - che lo ha visto per dodici anni presidente del gruppo McDonald's Italia. Succede solo da McDonalds. E in Italia.
La nota ministeriale diffusa alle agenzie di Stampa recita che "il dott. Mario Resca ha dato la sua disponibilità, una volta entrato in vigore il regolamento attuativo della riforma del Ministero per i beni e le Attività Culturali, ad assumere l'incarico di direttore della nuova struttura che si occuperà della gestione e dello sviluppo dei musei e delle aree di cultura aperte al pubblico". La new entry lavorerà gomito a gomito con il Ministro, assumendo il ruolo di consigliere "al fine di avviare la sua attività per il rilancio del settore museale nazionale".
Nel fine settimana si sono susseguite le polemiche di coloro che, sbigottiti, si domandano come, al di là delle sicure competenze manageriali, possa una persona del tutto estranea a un settore tanto delicato e complesso, divenirne d'un tratto direttore. Il fatto poi che Mario Resca, come già Bondi, sia persona vicina e cara al Presidente del Consiglio e al sottosegretario Gianni Letta, ha fugato ogni sospetto sulle dinamiche di selezione. Si era parlato, tempo fa, di un eventuale concorso pubblico ed evidentemente il concorso non c'è stato e viene ora reclamato a gran voce. Fiato al vento: qualora ci fosse stata una selezione avrebbe probabilmente sortito lo stesso risultato, come d'abitudine nella terra dei clientelarismi e dei nepotismi, dove non solo i manager delle direzioni ministeriali, ma i ministri stessi provengono da ambienti insoliti.
Cosa ne sarà della tutela e della valorizzazione (compiti ai quali la nuova direzione dovrebbe essere preposta, stando al testo della riforma del MiBAC) non è dato per ora sapere, certo le preoccupazioni non mancano. È giunto quindi il tempo della cultura mordi e fuggi?
Per ora si sa che Resca promette di far uscire sotto forma di prestito un numero maggiore di opere italiane, incrementando la partecipazione nostrana a eventi e mostre internazionali e superando le lungaggini e le barriere tipiche dell'attuale sistema. Il che potrebbe anche andare bene, come potrebbero andare bene nuovi approcci manageriali, restano però forti dubbi sul metodo: si teme l'introduzione di pratiche d'alienazione che da tempo incontrano i favoritismi di una certa politica poco attenta alle peculiarità del territorio e attratta dall'idea di importare modelli del tutto estranei alla nostra tradizione. Altra paura fondata è che, inseguendo i grandi numeri e i profitti, ci si ritrovi a sostenere - data la scarsità di risorse - solo i "grandi" musei e gli eventi di richiamo, a scapito della qualità e dimenticando che l'Italia presenta un patrimonio capillarmente diffuso, caratterizzato anche da piccole e medie realtà che sono veri e propri gioielli patrimoniali, nonché modelli di gestione.
Alla figura del grande manager, ci pare il caso di suggerire - senza voler peccare di superbia -, potrebbe forse essere affiancata una figura dalle competenze più tradizionali. Due consiglieri, due sguardi diversi, due approcci metodologici differenti potrebbero - è vero - finire a discutere su ogni minuzia; ma potrebbero - perchè no? - anche arricchirsi l'un l'altro di nuove prospettive, rendersi complementari fornendo al collega nuovi punti di vista e mettendo a disposizione del Paese uno sguardo trasversale, a trecentosessanta gradi, basato su competenze precise che si intersecano, si completano e fungono una da limite per l'altra.
In attesa della nomina vera e propria e della riforma del Ministero, forse risulta inutile avvelenarsi il sangue con ipotetici allarmismi, in fondo non facciamo altro che ripetere quanto sia urgente l'introduzione di nuove prospettive per far fronte alla situazione odierna.
Ci piacerebbe quindi auspicare in un cambiamento lungimirante, raffinato, utile, umanista ma anche gestionale, colto, illuminato, slegato dai burocratismi. Vorremmo davvero non doverci fasciare la testa prima di essercela rotta, smettere di passare per divulgatori di panico collettivo, disfattisti ansiogeni; ma non possiamo fare a meno di segnalare che il futuro tecnico del Ministero ha già dichiarato di guardare affascinato al modello di Abu Dubai e di considerare il patrimonio italiano "una miniera di petrolio a costo zero".
È necessario aggiungere altro? .
Mario Resca... Mario Resca ... "chi era costui"? Se ancora non ci siete arrivati è probabilmente perché siete sulla strada sbagliata e cercate, tra i mille nomi presenti nell'hard disk della vostra mente, un Resca direttore museale o manager culturale, piuttosto che storico dell'arte o sovrintendente, oppure docente.
Aiutino dal pubblico a casa: a Mario Resca furono affidate le sorti del gruppo Cirio-Del Monte dopo il crack, membro del CdA di diverse società tra le quali Eni e Mondadori, presidente della Casinò Municipale di Campione d'Italia S.p.A., ha ricoperto diversi incarichi manageriali tra i quali il mandato - ancora in corso - che lo ha visto per dodici anni presidente del gruppo McDonald's Italia. Succede solo da McDonalds. E in Italia.
La nota ministeriale diffusa alle agenzie di Stampa recita che "il dott. Mario Resca ha dato la sua disponibilità, una volta entrato in vigore il regolamento attuativo della riforma del Ministero per i beni e le Attività Culturali, ad assumere l'incarico di direttore della nuova struttura che si occuperà della gestione e dello sviluppo dei musei e delle aree di cultura aperte al pubblico". La new entry lavorerà gomito a gomito con il Ministro, assumendo il ruolo di consigliere "al fine di avviare la sua attività per il rilancio del settore museale nazionale".
Nel fine settimana si sono susseguite le polemiche di coloro che, sbigottiti, si domandano come, al di là delle sicure competenze manageriali, possa una persona del tutto estranea a un settore tanto delicato e complesso, divenirne d'un tratto direttore. Il fatto poi che Mario Resca, come già Bondi, sia persona vicina e cara al Presidente del Consiglio e al sottosegretario Gianni Letta, ha fugato ogni sospetto sulle dinamiche di selezione. Si era parlato, tempo fa, di un eventuale concorso pubblico ed evidentemente il concorso non c'è stato e viene ora reclamato a gran voce. Fiato al vento: qualora ci fosse stata una selezione avrebbe probabilmente sortito lo stesso risultato, come d'abitudine nella terra dei clientelarismi e dei nepotismi, dove non solo i manager delle direzioni ministeriali, ma i ministri stessi provengono da ambienti insoliti.
Cosa ne sarà della tutela e della valorizzazione (compiti ai quali la nuova direzione dovrebbe essere preposta, stando al testo della riforma del MiBAC) non è dato per ora sapere, certo le preoccupazioni non mancano. È giunto quindi il tempo della cultura mordi e fuggi?
Per ora si sa che Resca promette di far uscire sotto forma di prestito un numero maggiore di opere italiane, incrementando la partecipazione nostrana a eventi e mostre internazionali e superando le lungaggini e le barriere tipiche dell'attuale sistema. Il che potrebbe anche andare bene, come potrebbero andare bene nuovi approcci manageriali, restano però forti dubbi sul metodo: si teme l'introduzione di pratiche d'alienazione che da tempo incontrano i favoritismi di una certa politica poco attenta alle peculiarità del territorio e attratta dall'idea di importare modelli del tutto estranei alla nostra tradizione. Altra paura fondata è che, inseguendo i grandi numeri e i profitti, ci si ritrovi a sostenere - data la scarsità di risorse - solo i "grandi" musei e gli eventi di richiamo, a scapito della qualità e dimenticando che l'Italia presenta un patrimonio capillarmente diffuso, caratterizzato anche da piccole e medie realtà che sono veri e propri gioielli patrimoniali, nonché modelli di gestione.
Alla figura del grande manager, ci pare il caso di suggerire - senza voler peccare di superbia -, potrebbe forse essere affiancata una figura dalle competenze più tradizionali. Due consiglieri, due sguardi diversi, due approcci metodologici differenti potrebbero - è vero - finire a discutere su ogni minuzia; ma potrebbero - perchè no? - anche arricchirsi l'un l'altro di nuove prospettive, rendersi complementari fornendo al collega nuovi punti di vista e mettendo a disposizione del Paese uno sguardo trasversale, a trecentosessanta gradi, basato su competenze precise che si intersecano, si completano e fungono una da limite per l'altra.
In attesa della nomina vera e propria e della riforma del Ministero, forse risulta inutile avvelenarsi il sangue con ipotetici allarmismi, in fondo non facciamo altro che ripetere quanto sia urgente l'introduzione di nuove prospettive per far fronte alla situazione odierna.
Ci piacerebbe quindi auspicare in un cambiamento lungimirante, raffinato, utile, umanista ma anche gestionale, colto, illuminato, slegato dai burocratismi. Vorremmo davvero non doverci fasciare la testa prima di essercela rotta, smettere di passare per divulgatori di panico collettivo, disfattisti ansiogeni; ma non possiamo fare a meno di segnalare che il futuro tecnico del Ministero ha già dichiarato di guardare affascinato al modello di Abu Dubai e di considerare il patrimonio italiano "una miniera di petrolio a costo zero".
È necessario aggiungere altro? .
Gianluca e Massimiliano De Serio. LOVE, Trilogia dell'amore
Scrive Amélie Nothomb in Sabotaggio d'amore: "Ma la vera bellezza deve lasciare insoddisfatti: deve lasciare all'anima una parte del suo desiderio". Ecco tradotto in una frase quel sentimento agrodolce che invischia quando ci si trova di fronte all'ultimo lavoro dei fratelli De Serio. La sensazione viscerale persiste e ritorna - soprattutto una volta usciti dalla galleria - accompagna il visitatore in una sorta di riflessione su temi astratti e pur concreti tanto cari ai filosofi quanto agli individui più comuni. L'ultimo lavoro dei gemelli si intitola "Love. Trilogia dell'amore" e si sviluppa in tre tappe costituite da tre coppie di video che narrano una storia d'amore ciascuna.
La prima opera, la storia di Salvatore, è stata presentata a Manifesta 7 nella sede di Trento, dove, ancora fino al 2 novembre, supera di gran lunga il livello qualitativo di tanti video insipidi. Assieme al secondo episodio, quello di Rosario, il lavoro è ora presentato alla galleria Guido Costa Project di Torino. Manca il terzo e ultimo capitolo, dedicato a Gianluca, che sarà presentato a primavera.
La poetica dei De Serio indaga da anni - nel cinema e nella videoarte - i confini, i margini, le trasformazioni delle periferie urbane e le storie di personaggi borderline. Dal lavoro sulla tragedia della Thyssenkrupp di Torino, prodotto con il contributo della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, ai cortometraggi sui migranti, i De Serio ci hanno abituato a non desiderare certezze. La verità risulta plurisfaccettata e spesso non piacevole; la fruizione, personale per definizione, si altera in esperienza quasi collettiva attraverso la trattazione di argomenti universali.
Con Love i De Serio si muovono verso le periferie dell'anima, nelle quali l'amore diventa sentimento estremo; attraverso video in piani sequenza e inquadrature macro, dettagli ravvicinati, contorni sfumati e colori nitidi e, soprattutto, una fotografia superba gli artisti ci lasciano soli, abbandonati a noi stessi, in un'esperienza voyeristica obbligata. Una sorta di violenza indotta con una delicatezza quasi commovente: una dura levità che è leggera bambagia sulla quale adagiarsi, facendo però attenzione agli spigoli, in un ossimoro estetico ed emotivo continuo.
I De Serio hanno incontrato Salvatore, Rosario e Gianluca nella comunità alloggio nella quale vivono e hanno chiesto loro di parlare dell'amore. Ne scaturiscono storie a metà tra memoria e fantasia nelle quali Amore è un’idea filosofica, una sensazione pura, ideale, estrema; svincolati dalle costrizioni sociali collettive, i protagonisti di questi video idealizzano un sentimento che diventa radicale.
I titoli dei primi due capitoli sono Star Love e Dark Love, evidentemente più positivo e romantico il primo, distruttivo e aggressivo il secondo. Dove finisca il ricordo e dove cominci l'immaginazione non è dato sapere: ciò che viene narrato assume oggettività e non è passibile di analisi. Per Salvatore Maria Teresa è l'universo e il racconto è fantascientifico, surreale; Rosario al contrario ci racconta di un'Angelica creatura che continua a turbarlo e dal quale scaturisce quasi un senso di colpa ancora reale, nonostante la distanza temporale.
In monitor paralleli Salvatore e Maria Teresa si baciano a lungo mentre Rosario – costantemente votato all'alcolismo – beve un bicchiere d'acqua come se fosse la prima volta. Due prove fisiche che, seppur differenti, tolgono il respiro ai protagonisti e allo spettatore: i video contengono una sorta di tenera amarezza che soffoca, disturba, induce uno stato ansiogeno di attrazione e repulsione. Un'umanità che fa bene e che fa male, che disgusta e seduce è l'arte dei De Serio che si riconfermano banditi dei sentimenti, capaci di condurre lo spettatore in una spirale emotiva conturbante.
È tempo che l’arte ritorni ad uno dei suoi ruoli: creare un punto di rottura non solo con il passato estetico, ma anche - e soprattutto - con il percorso cognitivo del fruitore. Nel “consumo” d’arte il sentimento ritorna protagonista, quale che sia la sua natura; lo scaturire di una riflessione, l’apparire di un punto interrogativo mentale, la stupita meraviglia trovano spazio nelle menti di spettatori annoiati ma ancora pronti alla ricezione.
L’estasi estetica deve sostituirsi a quel sonno dogmatico nel quale ultimamente tanta “arte” ci conduce; in questo senso i De Serio si fanno realmente pionieri di un inedito concetto di social art.
Immagini: Star Love, frame da video - Visione dell'installazione. Courtesy gli artisti.
La prima opera, la storia di Salvatore, è stata presentata a Manifesta 7 nella sede di Trento, dove, ancora fino al 2 novembre, supera di gran lunga il livello qualitativo di tanti video insipidi. Assieme al secondo episodio, quello di Rosario, il lavoro è ora presentato alla galleria Guido Costa Project di Torino. Manca il terzo e ultimo capitolo, dedicato a Gianluca, che sarà presentato a primavera.
La poetica dei De Serio indaga da anni - nel cinema e nella videoarte - i confini, i margini, le trasformazioni delle periferie urbane e le storie di personaggi borderline. Dal lavoro sulla tragedia della Thyssenkrupp di Torino, prodotto con il contributo della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, ai cortometraggi sui migranti, i De Serio ci hanno abituato a non desiderare certezze. La verità risulta plurisfaccettata e spesso non piacevole; la fruizione, personale per definizione, si altera in esperienza quasi collettiva attraverso la trattazione di argomenti universali.
Con Love i De Serio si muovono verso le periferie dell'anima, nelle quali l'amore diventa sentimento estremo; attraverso video in piani sequenza e inquadrature macro, dettagli ravvicinati, contorni sfumati e colori nitidi e, soprattutto, una fotografia superba gli artisti ci lasciano soli, abbandonati a noi stessi, in un'esperienza voyeristica obbligata. Una sorta di violenza indotta con una delicatezza quasi commovente: una dura levità che è leggera bambagia sulla quale adagiarsi, facendo però attenzione agli spigoli, in un ossimoro estetico ed emotivo continuo.
I De Serio hanno incontrato Salvatore, Rosario e Gianluca nella comunità alloggio nella quale vivono e hanno chiesto loro di parlare dell'amore. Ne scaturiscono storie a metà tra memoria e fantasia nelle quali Amore è un’idea filosofica, una sensazione pura, ideale, estrema; svincolati dalle costrizioni sociali collettive, i protagonisti di questi video idealizzano un sentimento che diventa radicale.
I titoli dei primi due capitoli sono Star Love e Dark Love, evidentemente più positivo e romantico il primo, distruttivo e aggressivo il secondo. Dove finisca il ricordo e dove cominci l'immaginazione non è dato sapere: ciò che viene narrato assume oggettività e non è passibile di analisi. Per Salvatore Maria Teresa è l'universo e il racconto è fantascientifico, surreale; Rosario al contrario ci racconta di un'Angelica creatura che continua a turbarlo e dal quale scaturisce quasi un senso di colpa ancora reale, nonostante la distanza temporale.
In monitor paralleli Salvatore e Maria Teresa si baciano a lungo mentre Rosario – costantemente votato all'alcolismo – beve un bicchiere d'acqua come se fosse la prima volta. Due prove fisiche che, seppur differenti, tolgono il respiro ai protagonisti e allo spettatore: i video contengono una sorta di tenera amarezza che soffoca, disturba, induce uno stato ansiogeno di attrazione e repulsione. Un'umanità che fa bene e che fa male, che disgusta e seduce è l'arte dei De Serio che si riconfermano banditi dei sentimenti, capaci di condurre lo spettatore in una spirale emotiva conturbante.
È tempo che l’arte ritorni ad uno dei suoi ruoli: creare un punto di rottura non solo con il passato estetico, ma anche - e soprattutto - con il percorso cognitivo del fruitore. Nel “consumo” d’arte il sentimento ritorna protagonista, quale che sia la sua natura; lo scaturire di una riflessione, l’apparire di un punto interrogativo mentale, la stupita meraviglia trovano spazio nelle menti di spettatori annoiati ma ancora pronti alla ricezione.
L’estasi estetica deve sostituirsi a quel sonno dogmatico nel quale ultimamente tanta “arte” ci conduce; in questo senso i De Serio si fanno realmente pionieri di un inedito concetto di social art.
Immagini: Star Love, frame da video - Visione dell'installazione. Courtesy gli artisti.
Milano capitale della Museologia
(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°6 - settembre/ottobre 2008)
Museitalia: I forum di Museografia e Museotecnica
Negli ultimi anni anche in Italia si è cominciato a comprendere che i campanilismi e le divisioni sono una delle malattie che affligge il nostro sistema culturale e lo rende provinciale; affinché tale sistema si sviluppi al meglio e sappia sfruttare le proprie potenzialità sono necessari scambio reciproco di idee e conoscenze, mobilità delle competenze, cura delle relazioni all’interno delle organizzazioni e fra le stesse, confronti continui, feedback… Soltanto attraverso l’interscambio di idee e la multidisciplinarietà si possono innescare nuove sinergie propulsive in grado di far decollare il delicato settore della cultura che, inevitabilmente, risente della crisi economica generale.
Per quanto riguarda i musei, diversi sono gli enti che si occupano di coordinare i lavori delle tante istituzioni, fissandone obiettivi, offrendo consulenze e stabilendo standard e parametri minimi di qualità. Prima fra tutte l’ICOM – International Council of Museums, organizzazione internazionale “di musei e dei professionisti museali impegnata a preservare, ad assicurare la continuità e a comunicare il valore del patrimonio culturale e naturale mondiale, attuale e futuro, materiale e immateriale.” Inoltre diverse altre associazioni si impegnano a favore del sistema museale nazionale, ad esempio AMACI è l’Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani.
Dal 2004 poi, in un incontro a Torino, è stata creata la Conferenza Permanente delle Associazioni museali che, tra le varie attività, promuove diversi incontri, il più importante dei quali, a cadenza annuale, è la Conferenza Nazionale dei Musei d’Italia, la cui quarta edizione avrà luogo i prossimi 10 e 11 novembre a Milano, nella sede del Palazzo delle Stelline. Argomento principale sarà quello della formazione di personale competente; si tratta un topos critico a causa della scarsità di risorse, dell’immobilità dei nostri professionisti e della lentezza cronica nell’assorbire nuove metodologie professionali. Sovente, purtroppo, i nostri musei sono costretti ad avvalersi di personale su base volontaria o scarsamente retribuito, al quale non è facile offrire gli aggiornamenti professionali necessari e adeguati ai tempi. Amputando la formazione e le risorse destinate ai professionisti, non si fa altro che alimentare le criticità del sistema.
Per completare ed ampliare i lavori della Conferenza Nazionale a Milano, negli stessi giorni, si svolgerà Museitalia, il primo Forum Nazionale di Museografia e Museotecnica, presso il Centro Congressi delle Stelline, organizzato da ICOM Italia. Il convegno si prefigge di essere un “momento di incontro tra le aziende e i professionisti [della cultura], per un reciproco scambio di esperienze ed informazioni”, rappresentando quindi una decisiva e necessaria apertura professionale.
Milano quindi offrirà una maratona di due giornate fondamentali per gli operatori del settore, ma anche per gli studiosi, gli osservatori esterni, i politici e gli imprenditori che rivestono un’importanza sempre crescente per la sopravvivenza stessa delle istituzioni museali. In collaborazione con la Fondazione Stelline, che metterà a disposizione i propri spazi, il doppio evento diverrà appuntamento annuale nel quale, oltre alle conferenze, i partecipanti potranno assistere a seminari formativi, convegni, assemblee nonché visitare una sezione fieristica. I due forum diventano così un’occasione d’incontro tra i più competenti e vivaci protagonisti del sistema, ma anche il primo e decisivo momento di riflessione e formazione professionale.
10|11 novembre 2008
Forum Nazionale
Palazzo Stelline- Milano
Museitalia: I forum di Museografia e Museotecnica
Negli ultimi anni anche in Italia si è cominciato a comprendere che i campanilismi e le divisioni sono una delle malattie che affligge il nostro sistema culturale e lo rende provinciale; affinché tale sistema si sviluppi al meglio e sappia sfruttare le proprie potenzialità sono necessari scambio reciproco di idee e conoscenze, mobilità delle competenze, cura delle relazioni all’interno delle organizzazioni e fra le stesse, confronti continui, feedback… Soltanto attraverso l’interscambio di idee e la multidisciplinarietà si possono innescare nuove sinergie propulsive in grado di far decollare il delicato settore della cultura che, inevitabilmente, risente della crisi economica generale.
Per quanto riguarda i musei, diversi sono gli enti che si occupano di coordinare i lavori delle tante istituzioni, fissandone obiettivi, offrendo consulenze e stabilendo standard e parametri minimi di qualità. Prima fra tutte l’ICOM – International Council of Museums, organizzazione internazionale “di musei e dei professionisti museali impegnata a preservare, ad assicurare la continuità e a comunicare il valore del patrimonio culturale e naturale mondiale, attuale e futuro, materiale e immateriale.” Inoltre diverse altre associazioni si impegnano a favore del sistema museale nazionale, ad esempio AMACI è l’Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani.
Dal 2004 poi, in un incontro a Torino, è stata creata la Conferenza Permanente delle Associazioni museali che, tra le varie attività, promuove diversi incontri, il più importante dei quali, a cadenza annuale, è la Conferenza Nazionale dei Musei d’Italia, la cui quarta edizione avrà luogo i prossimi 10 e 11 novembre a Milano, nella sede del Palazzo delle Stelline. Argomento principale sarà quello della formazione di personale competente; si tratta un topos critico a causa della scarsità di risorse, dell’immobilità dei nostri professionisti e della lentezza cronica nell’assorbire nuove metodologie professionali. Sovente, purtroppo, i nostri musei sono costretti ad avvalersi di personale su base volontaria o scarsamente retribuito, al quale non è facile offrire gli aggiornamenti professionali necessari e adeguati ai tempi. Amputando la formazione e le risorse destinate ai professionisti, non si fa altro che alimentare le criticità del sistema.
Per completare ed ampliare i lavori della Conferenza Nazionale a Milano, negli stessi giorni, si svolgerà Museitalia, il primo Forum Nazionale di Museografia e Museotecnica, presso il Centro Congressi delle Stelline, organizzato da ICOM Italia. Il convegno si prefigge di essere un “momento di incontro tra le aziende e i professionisti [della cultura], per un reciproco scambio di esperienze ed informazioni”, rappresentando quindi una decisiva e necessaria apertura professionale.
Milano quindi offrirà una maratona di due giornate fondamentali per gli operatori del settore, ma anche per gli studiosi, gli osservatori esterni, i politici e gli imprenditori che rivestono un’importanza sempre crescente per la sopravvivenza stessa delle istituzioni museali. In collaborazione con la Fondazione Stelline, che metterà a disposizione i propri spazi, il doppio evento diverrà appuntamento annuale nel quale, oltre alle conferenze, i partecipanti potranno assistere a seminari formativi, convegni, assemblee nonché visitare una sezione fieristica. I due forum diventano così un’occasione d’incontro tra i più competenti e vivaci protagonisti del sistema, ma anche il primo e decisivo momento di riflessione e formazione professionale.
10|11 novembre 2008
Forum Nazionale
Palazzo Stelline- Milano
Art Verona 2008
(articolo pubblicato su Artkey n°7 - novembre/dicembre 2008)
Si è svolta dal 16 al 20 ottobre 2008 la quarta edizione di ArtVerona, ennesima fiera di arte moderna e contemporanea realizzata sul territorio italiano. Eppure, nonostante il numero crescente delle fiere mercato, ArtVerona dimostra di aver consolidato la propria identità in maniera distintiva. Indubbiamente la qualità delle opere esposte e delle gallerie presenti è cresciuta di edizione in edizione, giungendo a proporre quest’anno un evento di buon livello. Se poi si considera che alcuni tra i maggiori galleristi italiani erano a Frieze o incastrati nel circuito delle fiere londinesi che si svolgevano nello stesso periodo, il risultato di ArtVerona risulta più che apprezzabile dal punto di vista analitico di un sistema in evoluzione continua.
Sotto la supervisione artistica di Massimo Simonetti, la Fiera ha occupato due dei padiglioni dello spazio fieristico della città scaligera nella quale hanno trovato posto gli stand di 170 espositori, contenti di sentirsi accolti e coccolati: bisogna infatti lodare il lavoro degli organizzatori e degli addetti alla logistica che hanno saputo inserire la Fiera all’interno del vivace circuito artistico veneto, che negli ultimi anni si sta sviluppando oltre la Laguna. Numerose sono le connessioni con le gallerie del territorio, con gli artisti locali e con gli enti culturali. Un esempio didascalico: l’artista Enrico Iuliano, già presente in fiera, esporrà a partire dal 20 novembre negli spazi della vicentina Yvonne Arte Contemporanea.
Inoltre ArtVerona ha ospitato la mostra interna “Slam”, che proponeva installazioni in grande formato; la sezione “PhotoArtVerona”, cioè una mostra sulla fotografia astratta allestita contemporaneamente in Fiera e al Centro di Fotografia Contemporanea Scavi Scaligeri, nel quale fotografie astratte del secolo scorso dialogavano con le archeologie medievali; una retrospettiva sulla giovane video arte intitolata “VideoArtVerona”; un’inedita retrospettiva sugli artisti sloveni, “D’EST”; una rassegna sulla sound art e, infine, un evento collaterale costituito da installazioni site specific negli spazi aperti del Museo di Castelvecchio.
Eppure, nonostante gli sforzi profusi, la Fiera non ha ottenuto il successo sperato. Le vendite non hanno soddisfatto e da più parti è giunta la lamentela circa la preparazione del pubblico. Si aggiravano per gli stand pochi visitatori (anche nelle ore di punta e alla domenica) più che altro curiosi ma poco avvezzi all’arte contemporanea. Ben venga un nuovo pubblico bisognoso di stimoli e formazione, però il fine delle fiere resta quello di vendere, non di educare. Sarà colpa delle congiunture economiche degli ultimi mesi o piuttosto della sovrapposizione con la settimana londinese e la vicinanza con la Fiac di Parigi? Sicuramente, da un punto di vista strategico il periodo della Fiera non era favorevole e, non a caso, già alla conferenza stampa inaugurale gli organizzatori hanno fatto sapere che la prossima edizione di ArtVerona si terrà nella seconda metà di settembre. La scelta si basa su alcune valide considerazioni: in questo modo la Fiera scaligera aprirà la stagione del mercato italiano e non subirà l’intralcio di altre fiere (se non quella di Berlino, che non è un competitor paragonabile a Fiac, Frieze o Scope). Inoltre - nessuno lo ha detto, ma basta seguire la programmazione artistica per capirlo - potrà avvantaggiarsi del turismo culturale legato alla 53.Biennale di Venezia e agli eventi ad essa collegati, molti dei quali concentrati nel mese di settembre.
ArtVerona si terrà in concomitanza con Abitate il Tempo: la Fiera del design che si svolge a Verona e che già autonomamente crea un buon indotto economico. Secondo gli organizzatori, i pubblici delle due fiere potrebbero nutrire le stesse passioni ed essere in qualche modo interessati alle stesse “forme contemporanee”. Chi lo sa? A nostro parere il pubblico dell’arte non è una bandiera al vento che, qualora non trovi l’oggetto di suo interesse, ripiega su un bene succedaneo, né le diverse forme artistiche possono considerarsi interscambiabili: per quanto i confini tra le diverse espressioni della creatività tendano sempre più a confondersi, si tratta di mondi differenti con precise caratteristiche e precisi pubblici.
Resta il fatto che, facendo una sommaria panoramica delle fiere italiane, ArtVerona ha numerose possibilità di trasformarsi in uno dei poli più frequentati e interessanti: escludendo Roma - ancora troppo giovane per poter essere giudicata - e il MiArt - che anno dopo anno perde credibilità, almeno per la sezione riservata al contemporaneo -, ArtVerona si incastra perfettamente con quelle che restano le due maggiori fiere italiane: Arte Fiera Art First di Bologna per i grandi nomi e Artissima di Torino per la giovane arte. Tutto il resto è superfluo!
Si è svolta dal 16 al 20 ottobre 2008 la quarta edizione di ArtVerona, ennesima fiera di arte moderna e contemporanea realizzata sul territorio italiano. Eppure, nonostante il numero crescente delle fiere mercato, ArtVerona dimostra di aver consolidato la propria identità in maniera distintiva. Indubbiamente la qualità delle opere esposte e delle gallerie presenti è cresciuta di edizione in edizione, giungendo a proporre quest’anno un evento di buon livello. Se poi si considera che alcuni tra i maggiori galleristi italiani erano a Frieze o incastrati nel circuito delle fiere londinesi che si svolgevano nello stesso periodo, il risultato di ArtVerona risulta più che apprezzabile dal punto di vista analitico di un sistema in evoluzione continua.
Sotto la supervisione artistica di Massimo Simonetti, la Fiera ha occupato due dei padiglioni dello spazio fieristico della città scaligera nella quale hanno trovato posto gli stand di 170 espositori, contenti di sentirsi accolti e coccolati: bisogna infatti lodare il lavoro degli organizzatori e degli addetti alla logistica che hanno saputo inserire la Fiera all’interno del vivace circuito artistico veneto, che negli ultimi anni si sta sviluppando oltre la Laguna. Numerose sono le connessioni con le gallerie del territorio, con gli artisti locali e con gli enti culturali. Un esempio didascalico: l’artista Enrico Iuliano, già presente in fiera, esporrà a partire dal 20 novembre negli spazi della vicentina Yvonne Arte Contemporanea.
Inoltre ArtVerona ha ospitato la mostra interna “Slam”, che proponeva installazioni in grande formato; la sezione “PhotoArtVerona”, cioè una mostra sulla fotografia astratta allestita contemporaneamente in Fiera e al Centro di Fotografia Contemporanea Scavi Scaligeri, nel quale fotografie astratte del secolo scorso dialogavano con le archeologie medievali; una retrospettiva sulla giovane video arte intitolata “VideoArtVerona”; un’inedita retrospettiva sugli artisti sloveni, “D’EST”; una rassegna sulla sound art e, infine, un evento collaterale costituito da installazioni site specific negli spazi aperti del Museo di Castelvecchio.
Eppure, nonostante gli sforzi profusi, la Fiera non ha ottenuto il successo sperato. Le vendite non hanno soddisfatto e da più parti è giunta la lamentela circa la preparazione del pubblico. Si aggiravano per gli stand pochi visitatori (anche nelle ore di punta e alla domenica) più che altro curiosi ma poco avvezzi all’arte contemporanea. Ben venga un nuovo pubblico bisognoso di stimoli e formazione, però il fine delle fiere resta quello di vendere, non di educare. Sarà colpa delle congiunture economiche degli ultimi mesi o piuttosto della sovrapposizione con la settimana londinese e la vicinanza con la Fiac di Parigi? Sicuramente, da un punto di vista strategico il periodo della Fiera non era favorevole e, non a caso, già alla conferenza stampa inaugurale gli organizzatori hanno fatto sapere che la prossima edizione di ArtVerona si terrà nella seconda metà di settembre. La scelta si basa su alcune valide considerazioni: in questo modo la Fiera scaligera aprirà la stagione del mercato italiano e non subirà l’intralcio di altre fiere (se non quella di Berlino, che non è un competitor paragonabile a Fiac, Frieze o Scope). Inoltre - nessuno lo ha detto, ma basta seguire la programmazione artistica per capirlo - potrà avvantaggiarsi del turismo culturale legato alla 53.Biennale di Venezia e agli eventi ad essa collegati, molti dei quali concentrati nel mese di settembre.
ArtVerona si terrà in concomitanza con Abitate il Tempo: la Fiera del design che si svolge a Verona e che già autonomamente crea un buon indotto economico. Secondo gli organizzatori, i pubblici delle due fiere potrebbero nutrire le stesse passioni ed essere in qualche modo interessati alle stesse “forme contemporanee”. Chi lo sa? A nostro parere il pubblico dell’arte non è una bandiera al vento che, qualora non trovi l’oggetto di suo interesse, ripiega su un bene succedaneo, né le diverse forme artistiche possono considerarsi interscambiabili: per quanto i confini tra le diverse espressioni della creatività tendano sempre più a confondersi, si tratta di mondi differenti con precise caratteristiche e precisi pubblici.
Resta il fatto che, facendo una sommaria panoramica delle fiere italiane, ArtVerona ha numerose possibilità di trasformarsi in uno dei poli più frequentati e interessanti: escludendo Roma - ancora troppo giovane per poter essere giudicata - e il MiArt - che anno dopo anno perde credibilità, almeno per la sezione riservata al contemporaneo -, ArtVerona si incastra perfettamente con quelle che restano le due maggiori fiere italiane: Arte Fiera Art First di Bologna per i grandi nomi e Artissima di Torino per la giovane arte. Tutto il resto è superfluo!
Carrarmati di sinistra e proletari di destra: al Premio Kandisky la politica la fa da padrona
Si chiama Kandinsky Prize ed è il maggior premio russo dedicato all’arte contemporanea, paragonato per qualità e valore economico al celebre Turner Prize. Lo scopo è promuovere gli artisti locali e le nuove sperimentazioni anticipando, magari, le tendenze contemporanee.Il Premio si suddivide in quattro sezioni: “Artist of the Year”, “Prize for the Best Young Artist”, “Media Art Prize” and the “Audience's Prize” e all’artista vincitore della prima categoria viene anche data la possibilità di organizzare due grandi mostre all’estero: una in Germania e una negli Stati Uniti. I premi in denaro (55mila euro complessivi) e le residenze d’artista rappresentano, soprattutto in un contesto economico sociale come quello dell’ex Unione Sovietica, una vincita da capogiro.
Come si fa a organizzare un premio così prestigioso? Si innescano partnership autorevoli con i media del settore e, soprattutto, con mecenati danarosi. Molto danarosi. Et voilà: media partners Art Chronika, la rivista più importante del settore, e main sponsor, udite udite, Deutsche Bank (ecco spiegate le mostre in Germania e USA).
Giunto alla seconda edizione, il Kandinsky Prize l’anno scorso aveva visto vincitore Anatolij Osmolovskij e, best young artist Vladena Gromova. Quest’anno si aggiudica il titolo di artista dell’anno Alexey Beliayev-Guintovt grazie alla serie pittorica “Motherland-Daughter”; suoi quindi i 40mila euro destinati al vincitore della categoria. All’annuncio del Premio hanno fatto seguito numerose polemiche (il cui primo portavoce è proprio Anatolij Osmolovskij) circa le posizioni ultranazionaliste dell’artista che non sono mistero per nessuno e che, in un Russia coinvolta in scenari politici per nulla sereni, lasciano spazio a riflessioni sui legami tra l’arte e i contesti nei quali si muove.
Secondo Marat Guelman, direttore della M&J Guelman Gallery e rappresentante, guarda caso, di Osmolovskij, “il problema non è semplicemente che l’artista sia di estrema destra, ma il fatto che tenti di fare una carriera artistica basata sulla sua visione politica. Questa decisione potrebbe danneggiare il prestigio e l’influenza del Premio Kandinsky”.
Gli echi della politica di regime sovietica e gli spasmi della dottrina cattolico-ortodossa più rigorosa appartengono da sempre alla “poetica” artistica di Beliayev-Guintovt ed emergono prepotentemente nelle tele della serie vincitrice.
L’artista si è difeso sostenendo di avere a cuore solo un unico tema in grado di ispirare il suo lavoro: Motherland, la madre patria, di cui vuole celebrare “la grandiosità e la bellezza”. E pensare che l’anno passato Osmolovskij aveva vinto con l’opera “T-72”: carrarmati in bronzo senza cannone, formanti un’installazione sbertucciante quasi quanto le sculture di Koons. In quell’occasione si era tanto parlato del testa a testa che aveva visto l’artista pacifista favorito assieme al gruppo AES+F la cui denuncia sociale si palesa in ogni opera.
Ma tanto per complicare la situazione - e far pensare che la giuria internazionale soffra di schizofrenia, o che perlomeno sia attratta da lavori che, in un modo o nell’altro, abbiano a che fare con la politica russa - il premio per il miglior giovane artista è andato a Diana Machulina grazie all’opera “Labour” una pittura ispirata a una fotografia del 1985 raffigurante un incontro tra i leader del partito comunista, tra i quali figura il presidente sovietico Mikhail Gorbachev.
Come si fa a organizzare un premio così prestigioso? Si innescano partnership autorevoli con i media del settore e, soprattutto, con mecenati danarosi. Molto danarosi. Et voilà: media partners Art Chronika, la rivista più importante del settore, e main sponsor, udite udite, Deutsche Bank (ecco spiegate le mostre in Germania e USA).
Giunto alla seconda edizione, il Kandinsky Prize l’anno scorso aveva visto vincitore Anatolij Osmolovskij e, best young artist Vladena Gromova. Quest’anno si aggiudica il titolo di artista dell’anno Alexey Beliayev-Guintovt grazie alla serie pittorica “Motherland-Daughter”; suoi quindi i 40mila euro destinati al vincitore della categoria. All’annuncio del Premio hanno fatto seguito numerose polemiche (il cui primo portavoce è proprio Anatolij Osmolovskij) circa le posizioni ultranazionaliste dell’artista che non sono mistero per nessuno e che, in un Russia coinvolta in scenari politici per nulla sereni, lasciano spazio a riflessioni sui legami tra l’arte e i contesti nei quali si muove.
Secondo Marat Guelman, direttore della M&J Guelman Gallery e rappresentante, guarda caso, di Osmolovskij, “il problema non è semplicemente che l’artista sia di estrema destra, ma il fatto che tenti di fare una carriera artistica basata sulla sua visione politica. Questa decisione potrebbe danneggiare il prestigio e l’influenza del Premio Kandinsky”.
Gli echi della politica di regime sovietica e gli spasmi della dottrina cattolico-ortodossa più rigorosa appartengono da sempre alla “poetica” artistica di Beliayev-Guintovt ed emergono prepotentemente nelle tele della serie vincitrice.
L’artista si è difeso sostenendo di avere a cuore solo un unico tema in grado di ispirare il suo lavoro: Motherland, la madre patria, di cui vuole celebrare “la grandiosità e la bellezza”. E pensare che l’anno passato Osmolovskij aveva vinto con l’opera “T-72”: carrarmati in bronzo senza cannone, formanti un’installazione sbertucciante quasi quanto le sculture di Koons. In quell’occasione si era tanto parlato del testa a testa che aveva visto l’artista pacifista favorito assieme al gruppo AES+F la cui denuncia sociale si palesa in ogni opera.
Ma tanto per complicare la situazione - e far pensare che la giuria internazionale soffra di schizofrenia, o che perlomeno sia attratta da lavori che, in un modo o nell’altro, abbiano a che fare con la politica russa - il premio per il miglior giovane artista è andato a Diana Machulina grazie all’opera “Labour” una pittura ispirata a una fotografia del 1985 raffigurante un incontro tra i leader del partito comunista, tra i quali figura il presidente sovietico Mikhail Gorbachev.
Premio Terna: arte che trasmette energia
(articolo pubblicato su Artkey n°6 - settembre/ottobre 2008)
Francesco Arena, "Pannello spaccato con testa di nietzsche" (primo premio, categoria Gigawatt)
Terna è una delle aziende che operano nel settore dell’energia, proprietaria in Italia di gran parte della Rete di Trasmissione Nazionale di energia elettrica ad alta tensione, è presente anche all’estero ed è una società quotata in borsa. Non si accontenta di operare nel proprio settore, decide infatti di distinguersi per impegno etico e responsabilità sociale, divenendo un modello di imprenditoria consapevole: di recente è stata inserita nel Ftse4Good, il programma del Financial Times Stock Exchange che riunisce le migliori imprese europee attive in materia di sviluppo sostenibile e capitalizzazione socialmente responsabile. Inoltre Terna utilizza un sistema integrato e certificato a sostegno della qualità, dell’ambiente, della sicurezza dei lavoratori e della tutela della salute. Da un’azienda del genere è quasi ovvio aspettarsi interventi a favore dell’arte e dell’innovazione creativa, che difatti non mancano e che vengono sviluppati tramite il progetto “TernArt” per la cultura e l’arte. Da queste premesse nasce il Premio Terna per l’arte contemporanea, a cura di Gianluca Marziani e Francesco Cascino. Energia come motore propulsivo, legame tra il mondo dell’arte e i soggetti privati, sostegno ai giovani artisti e al sistema contemporaneo, promozione di un circuito di emersione di talenti: sono le linee guida che il Premio si è dato. Si riscopre quindi il significato dell’arte contemporanea ossia di quella tensione che si sviluppa esteticamente come “ricerca sulle tematiche dell'uomo del presente, attraverso linguaggi e media innovativi”. L’artista diviene punto d’arrivo e punto di partenza, motore di sviluppo economico e sociale, ponte tra il sistema dell’arte e quello dell’impresa. Il termine “energia” viene assunto come tema e metafora di una risorsa multiforme, incontenibile, necessaria. Il Premio Terna si rivolge ad artisti che operano sul territorio italiano, sia ai nomi già affermati, sia alle giovani matricole che potranno incanalare la propria energia in diverse discipline: pittura, fotografia, elaborazioni, light-box... Tre le categorie previste: Terawatt, Gigawatt per gli artisti over 35, Magawatt per gli under 35, più un premio online. Il premio Terawatt (100.000 euro) sarà destinato al sostegno un progetto di valorizzazione dell’arte e della cultura italiana, mentre le altre sezioni prevedono l’erogazione di due premi-acquisto, il primo da 10.000 euro e il secondo da 2.000 euro; inoltre verrà organizzata una mostra con le opere partecipanti che appariranno anche sul catalogo del premio. La mostra si svolgerà presumibilmente a dicembre 2008 a Roma. Il Comitato d’Onore del Premio Terna, presieduto dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Sandro Bondi, è costituito da Domenico De Masi (Docente Universitario e Presidente della Fondazione Ravello), Massimiliano Fuksas (architetto), Emma Marcegaglia (Presidente di Confindustria) e Fernanda Pivano (scrittrice e saggista). A proposito del Premio, il Ministro ha dichiarato: “Il Premio Terna per l'Arte Contemporanea è un esempio significativo per tutti gli imprenditori e le imprese private italiane che in parte già investono risorse per la cultura, ma che possono fare ancora di più per sostenere l'arte contemporanea”. Per valutare le opere in concorso è stata nominata un’apposita giuria di grandi personalità provenienti dal mondo della cultura e da quello dell’economia: Alberto Alessi (imprenditore nel mondo del design), Davide Blei (Consigliere di Contemporanea - Associazione Collezionisti Milano), Silvia Evangelisti (Direttore Artistico di ArteFiera di Bologna), Giovanni Giuliani (Presidente di Amici del Macro), Gianfranco Maraniello (Direttore MAMBO Museo d’Arte Moderna di Bologna), Cristiana Perrella (Curatrice del Contemporary Arts Programme della British School di Roma), Thaddaeus Ropac (titolare di gallerie a Parigi e Salisburgo); Paolo Sorrentino (regista della nuova generazione cinematografica), Beatrice Trussardi (Presidente Fondazione Nicola Trussardi); Julian Zugazagoitia (Direttore del Museo del Barrio di New York). Gli artisti che intendono partecipare dovranno inviare la propria domanda d’iscrizione entro il 30 ottobre 2008, ma già nei primi giorni del mese di agosto, a un mese dalla pubblicazione del bando, le domande di partecipazione avevano superato le 200 unità, stabilendo un vero e proprio record di interesse. Attenendoci ai dati diffusi in quel momento, e quindi ancora non definitivi, possiamo segnalare la presenza di artisti di età compresa tra i 23 e i 72 anni, in prevalenza uomini (circa il 70%) e provenienti dalle regioni del Centro Italia.
Francesco Arena, "Pannello spaccato con testa di nietzsche" (primo premio, categoria Gigawatt)
Terna è una delle aziende che operano nel settore dell’energia, proprietaria in Italia di gran parte della Rete di Trasmissione Nazionale di energia elettrica ad alta tensione, è presente anche all’estero ed è una società quotata in borsa. Non si accontenta di operare nel proprio settore, decide infatti di distinguersi per impegno etico e responsabilità sociale, divenendo un modello di imprenditoria consapevole: di recente è stata inserita nel Ftse4Good, il programma del Financial Times Stock Exchange che riunisce le migliori imprese europee attive in materia di sviluppo sostenibile e capitalizzazione socialmente responsabile. Inoltre Terna utilizza un sistema integrato e certificato a sostegno della qualità, dell’ambiente, della sicurezza dei lavoratori e della tutela della salute. Da un’azienda del genere è quasi ovvio aspettarsi interventi a favore dell’arte e dell’innovazione creativa, che difatti non mancano e che vengono sviluppati tramite il progetto “TernArt” per la cultura e l’arte. Da queste premesse nasce il Premio Terna per l’arte contemporanea, a cura di Gianluca Marziani e Francesco Cascino. Energia come motore propulsivo, legame tra il mondo dell’arte e i soggetti privati, sostegno ai giovani artisti e al sistema contemporaneo, promozione di un circuito di emersione di talenti: sono le linee guida che il Premio si è dato. Si riscopre quindi il significato dell’arte contemporanea ossia di quella tensione che si sviluppa esteticamente come “ricerca sulle tematiche dell'uomo del presente, attraverso linguaggi e media innovativi”. L’artista diviene punto d’arrivo e punto di partenza, motore di sviluppo economico e sociale, ponte tra il sistema dell’arte e quello dell’impresa. Il termine “energia” viene assunto come tema e metafora di una risorsa multiforme, incontenibile, necessaria. Il Premio Terna si rivolge ad artisti che operano sul territorio italiano, sia ai nomi già affermati, sia alle giovani matricole che potranno incanalare la propria energia in diverse discipline: pittura, fotografia, elaborazioni, light-box... Tre le categorie previste: Terawatt, Gigawatt per gli artisti over 35, Magawatt per gli under 35, più un premio online. Il premio Terawatt (100.000 euro) sarà destinato al sostegno un progetto di valorizzazione dell’arte e della cultura italiana, mentre le altre sezioni prevedono l’erogazione di due premi-acquisto, il primo da 10.000 euro e il secondo da 2.000 euro; inoltre verrà organizzata una mostra con le opere partecipanti che appariranno anche sul catalogo del premio. La mostra si svolgerà presumibilmente a dicembre 2008 a Roma. Il Comitato d’Onore del Premio Terna, presieduto dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Sandro Bondi, è costituito da Domenico De Masi (Docente Universitario e Presidente della Fondazione Ravello), Massimiliano Fuksas (architetto), Emma Marcegaglia (Presidente di Confindustria) e Fernanda Pivano (scrittrice e saggista). A proposito del Premio, il Ministro ha dichiarato: “Il Premio Terna per l'Arte Contemporanea è un esempio significativo per tutti gli imprenditori e le imprese private italiane che in parte già investono risorse per la cultura, ma che possono fare ancora di più per sostenere l'arte contemporanea”. Per valutare le opere in concorso è stata nominata un’apposita giuria di grandi personalità provenienti dal mondo della cultura e da quello dell’economia: Alberto Alessi (imprenditore nel mondo del design), Davide Blei (Consigliere di Contemporanea - Associazione Collezionisti Milano), Silvia Evangelisti (Direttore Artistico di ArteFiera di Bologna), Giovanni Giuliani (Presidente di Amici del Macro), Gianfranco Maraniello (Direttore MAMBO Museo d’Arte Moderna di Bologna), Cristiana Perrella (Curatrice del Contemporary Arts Programme della British School di Roma), Thaddaeus Ropac (titolare di gallerie a Parigi e Salisburgo); Paolo Sorrentino (regista della nuova generazione cinematografica), Beatrice Trussardi (Presidente Fondazione Nicola Trussardi); Julian Zugazagoitia (Direttore del Museo del Barrio di New York). Gli artisti che intendono partecipare dovranno inviare la propria domanda d’iscrizione entro il 30 ottobre 2008, ma già nei primi giorni del mese di agosto, a un mese dalla pubblicazione del bando, le domande di partecipazione avevano superato le 200 unità, stabilendo un vero e proprio record di interesse. Attenendoci ai dati diffusi in quel momento, e quindi ancora non definitivi, possiamo segnalare la presenza di artisti di età compresa tra i 23 e i 72 anni, in prevalenza uomini (circa il 70%) e provenienti dalle regioni del Centro Italia.
L’arte premia l’eccellenza imprenditoriale: Premio Odisseo 2008
(articolo pubblicato su Artkey n°8 - gennaio/febbraio 2009)
Per il quarto anno consecutivo viene bandito il premio Odisseo, destinato ai manager d’azienda che si siano distinti per originalità, competenza e creatività della visione strategica e della gestione. Il premio si propone di lodare le aziende e i singoli che in esse operano riuscendo a essere esempi di eccellenza e innovazione, proponendo sistemi gestionali interdisciplinari e soluzioni trasversali in funzione di contesti sistemici sempre più complessi nel quale solo le organizzazioni migliori riescono a operare. In particolare, verranno premiati sette manager che operano sul territorio Piemonte-Val d’Aosta: sei sono le categorie-aree professionali individuate (marketing e vendite, comunicazione, amministrazione e finanza, informatica, tecnica, acquisti), più un super premio transidisciplinare.
La giuria del Premio Odisseo è composta da personalità di spicco provenienti dal mondo aziendale e accademico: innovazione e ricerca dialogano quindi in un connubio sinergico generativo di originalità.
Ogni anno il premio si avvale della complicità estetica di alcuni artisti, scelti per il proprio apporto originale e innovativo, in linea con il tema del premio. I vincitori, infatti, verranno premiati con un’opera d’arte. La creatività imprenditoriale viene quindi celebrata con un prodotto scaturito dalla creatività artistica in una relazione che premia e valorizza entrambe: linguaggi diversi, ma profondamente integrati, si incontrano e magnificano la connessione arte-impresa di cui tanto si parla e che sempre più caratterizza, tramite la complementarità dei talenti, le due sfere d’azione. Normalmente sono le aziende a premiare gli artisti, il Premio Odisseo, al contrario, rovescia le consuetudini e introduce nuove prospettive. Qui l’arte non viene premiata attraverso la generosità dell’impresa (seppur tanto cara a necessaria); il Premio si rivolge direttamente agli artisti, affinché siano erogatori di valore e trascendano i contenuti economici, capisaldi del sistema contemporaneo. Un’iniziativa di questo tipo sponsorizza e sostiene, in maniera sotterranea, il collezionismo d’impresa e soprattutto quello privato, sancendo pubblicamente - se ancora ce ne fosse la necessità - il valore economico dell’opera d’arte contemporanea, che non deve oscurarne la qualità, ma che comunque risulta imprescindibile.
Gli artisti convocati per il Premio Odisseo 2008 sono stati selezionati dalla Non Permanent Gallery di Torino che ha proposto i nomi di: Mariella Bogliacino, Nicola Boursier, Nëri Ceccarelli, Osvaldo Moi, Valentina Testa, Anna Terriero, Ugo Venturini.
Le cerimonia di premiazione avrà luogo, dopo la seconda wave comunicativa, il 30 gennaio prossimo, presso l’Unione Industriale di Torino.
Info:
http://www.premiodisseo.com/italiano2008/index.php
Per il quarto anno consecutivo viene bandito il premio Odisseo, destinato ai manager d’azienda che si siano distinti per originalità, competenza e creatività della visione strategica e della gestione. Il premio si propone di lodare le aziende e i singoli che in esse operano riuscendo a essere esempi di eccellenza e innovazione, proponendo sistemi gestionali interdisciplinari e soluzioni trasversali in funzione di contesti sistemici sempre più complessi nel quale solo le organizzazioni migliori riescono a operare. In particolare, verranno premiati sette manager che operano sul territorio Piemonte-Val d’Aosta: sei sono le categorie-aree professionali individuate (marketing e vendite, comunicazione, amministrazione e finanza, informatica, tecnica, acquisti), più un super premio transidisciplinare.
La giuria del Premio Odisseo è composta da personalità di spicco provenienti dal mondo aziendale e accademico: innovazione e ricerca dialogano quindi in un connubio sinergico generativo di originalità.
Ogni anno il premio si avvale della complicità estetica di alcuni artisti, scelti per il proprio apporto originale e innovativo, in linea con il tema del premio. I vincitori, infatti, verranno premiati con un’opera d’arte. La creatività imprenditoriale viene quindi celebrata con un prodotto scaturito dalla creatività artistica in una relazione che premia e valorizza entrambe: linguaggi diversi, ma profondamente integrati, si incontrano e magnificano la connessione arte-impresa di cui tanto si parla e che sempre più caratterizza, tramite la complementarità dei talenti, le due sfere d’azione. Normalmente sono le aziende a premiare gli artisti, il Premio Odisseo, al contrario, rovescia le consuetudini e introduce nuove prospettive. Qui l’arte non viene premiata attraverso la generosità dell’impresa (seppur tanto cara a necessaria); il Premio si rivolge direttamente agli artisti, affinché siano erogatori di valore e trascendano i contenuti economici, capisaldi del sistema contemporaneo. Un’iniziativa di questo tipo sponsorizza e sostiene, in maniera sotterranea, il collezionismo d’impresa e soprattutto quello privato, sancendo pubblicamente - se ancora ce ne fosse la necessità - il valore economico dell’opera d’arte contemporanea, che non deve oscurarne la qualità, ma che comunque risulta imprescindibile.
Gli artisti convocati per il Premio Odisseo 2008 sono stati selezionati dalla Non Permanent Gallery di Torino che ha proposto i nomi di: Mariella Bogliacino, Nicola Boursier, Nëri Ceccarelli, Osvaldo Moi, Valentina Testa, Anna Terriero, Ugo Venturini.
Le cerimonia di premiazione avrà luogo, dopo la seconda wave comunicativa, il 30 gennaio prossimo, presso l’Unione Industriale di Torino.
Info:
http://www.premiodisseo.com/italiano2008/index.php
Movin’ up: artisti italiani all'estero
(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°7 - novembre/dicembre 2008)
Ha quasi dieci anni Movin’up il programma di sostegno alla mobilità dei giovani artisti che finora ha permesso a oltre 500 italiani di partecipare a progetti di formazione all’estero. Il progetto si rivolge ai ragazzi di età compresa tra i 18 e i 35 anni che operino con ambizioni professionali nei settori arti visive, architettura, design, musica, cinema, video, teatro, danza, performance, scrittura.
Durante il soggiorno all’estero i nostri creativi hanno la possibilità di formarsi in maniera dinamica venendo a contatto con realtà diverse che garantiscono un’acuta crescita professionale e personale. I progetti educativi in terra straniera - così poco frequenti in Italia, paese costantemente in ritardo sui metodi formativi più all’avanguardia - permettono agli artisti di promuovere il proprio lavoro, di entrare in una rete di contatti unica e indispensabile e, seppur indirettamente, di donare visibilità all’arte e alle istituzioni nazionali. La creatività ha bisogno di interscambi culturali e contatti interdisciplinari basati sulle relazioni sinergiche dei soggetti coinvolti.
È fondamentale che progetti di questo tipo vengano supportati da enti che sappiano però rispettare i limiti imposti dal proprio ruolo, in questo caso significa quindi non interferire con il lavoro, non porre dei paletti alla creatività e ai rapporti umani. Movin’up è promosso da GAI - Associazione per il Circuito dei Giovani Artisti Italiani che eroga un fondo annuale per finanziare due sessioni di viaggi all’estero, fornendo un sostegno che copra parte delle spese sostenute dagli artisti. Sono questi ultimi a scegliere presso quale ente o istituzione straniera svolgere il proprio lavoro; autonomamente devono contattare l’istituzione partner, presentare il progetto e ottenere un invito o un’iscrizione ad attività formative. Questa documentazione andrà poi presentata a Gai, la cui commissione esaminatrice valuterà la consistenza del progetto e l’eventuale copertura di parte delle spese.
Gli studenti dimostrano quindi di possedere già un buon livello di preparazione, la capacità di muoversi in un settore nuovo, di valutare e selezionare un’organizzazione straniera che possa fornire nuova linfa creativa, di scegliere un paese ospite per le caratteristiche peculiari che presenta; oltre che un buon curriculum, elemento essenziale per la partecipazione a Movin’up. In questi anni sono stati presentati circa 800 progetti, ma meno della metà ha trovato accoglimento, segno quindi di attente valutazioni basate su parametri di serietà e qualità.
Il bando per i prossimi viaggi scadrà a breve: gli aspiranti hanno tempo fino al 14 novembre 2008 per presentare la propria candidatura.
Nel frattempo i colleghi della prima sessione del 2008 stanno vivendo la propria esperienza di residenza: da Cuba all’Australia, dall’Europa all’Asia; artisti, attori, ballerini e registi si confrontano con nuove dinamiche, facendo dell’interculturalità il proprio bagaglio.
E a leggerli questi progetti si trova un comune filo rosso che supera l’estetica e diventa cultura: quasi tutti i progetti si concretizza antropologicamente; c’è un’attenzione al sociale, alle diversità, alle oppressioni, ai sapori diversi che spinge questi artisti emergenti a ricercare la propria formazione nell’alterità, bypassando in parte le grandi istituzioni e scegliendo di lavorare nei campi per i rifugiati, nei non-spazi urbani delle grandi metropoli, nei paesi segnati dalla storia. Certo, c’è anche chi decide di andare a Parigi a curare l’allestimento della propria grande mostra, ma non è questo il luogo nel quale inscenare un processo alle intenzioni. Di intenzioni ci bastino quelle del Gai e delle istituzioni partners del progetto Movin’up: la Presidenza del Consiglio dei Ministri; il Dipartimento della Gioventù e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali; la PARC Direzione Generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanee.
Ha quasi dieci anni Movin’up il programma di sostegno alla mobilità dei giovani artisti che finora ha permesso a oltre 500 italiani di partecipare a progetti di formazione all’estero. Il progetto si rivolge ai ragazzi di età compresa tra i 18 e i 35 anni che operino con ambizioni professionali nei settori arti visive, architettura, design, musica, cinema, video, teatro, danza, performance, scrittura.
Durante il soggiorno all’estero i nostri creativi hanno la possibilità di formarsi in maniera dinamica venendo a contatto con realtà diverse che garantiscono un’acuta crescita professionale e personale. I progetti educativi in terra straniera - così poco frequenti in Italia, paese costantemente in ritardo sui metodi formativi più all’avanguardia - permettono agli artisti di promuovere il proprio lavoro, di entrare in una rete di contatti unica e indispensabile e, seppur indirettamente, di donare visibilità all’arte e alle istituzioni nazionali. La creatività ha bisogno di interscambi culturali e contatti interdisciplinari basati sulle relazioni sinergiche dei soggetti coinvolti.
È fondamentale che progetti di questo tipo vengano supportati da enti che sappiano però rispettare i limiti imposti dal proprio ruolo, in questo caso significa quindi non interferire con il lavoro, non porre dei paletti alla creatività e ai rapporti umani. Movin’up è promosso da GAI - Associazione per il Circuito dei Giovani Artisti Italiani che eroga un fondo annuale per finanziare due sessioni di viaggi all’estero, fornendo un sostegno che copra parte delle spese sostenute dagli artisti. Sono questi ultimi a scegliere presso quale ente o istituzione straniera svolgere il proprio lavoro; autonomamente devono contattare l’istituzione partner, presentare il progetto e ottenere un invito o un’iscrizione ad attività formative. Questa documentazione andrà poi presentata a Gai, la cui commissione esaminatrice valuterà la consistenza del progetto e l’eventuale copertura di parte delle spese.
Gli studenti dimostrano quindi di possedere già un buon livello di preparazione, la capacità di muoversi in un settore nuovo, di valutare e selezionare un’organizzazione straniera che possa fornire nuova linfa creativa, di scegliere un paese ospite per le caratteristiche peculiari che presenta; oltre che un buon curriculum, elemento essenziale per la partecipazione a Movin’up. In questi anni sono stati presentati circa 800 progetti, ma meno della metà ha trovato accoglimento, segno quindi di attente valutazioni basate su parametri di serietà e qualità.
Il bando per i prossimi viaggi scadrà a breve: gli aspiranti hanno tempo fino al 14 novembre 2008 per presentare la propria candidatura.
Nel frattempo i colleghi della prima sessione del 2008 stanno vivendo la propria esperienza di residenza: da Cuba all’Australia, dall’Europa all’Asia; artisti, attori, ballerini e registi si confrontano con nuove dinamiche, facendo dell’interculturalità il proprio bagaglio.
E a leggerli questi progetti si trova un comune filo rosso che supera l’estetica e diventa cultura: quasi tutti i progetti si concretizza antropologicamente; c’è un’attenzione al sociale, alle diversità, alle oppressioni, ai sapori diversi che spinge questi artisti emergenti a ricercare la propria formazione nell’alterità, bypassando in parte le grandi istituzioni e scegliendo di lavorare nei campi per i rifugiati, nei non-spazi urbani delle grandi metropoli, nei paesi segnati dalla storia. Certo, c’è anche chi decide di andare a Parigi a curare l’allestimento della propria grande mostra, ma non è questo il luogo nel quale inscenare un processo alle intenzioni. Di intenzioni ci bastino quelle del Gai e delle istituzioni partners del progetto Movin’up: la Presidenza del Consiglio dei Ministri; il Dipartimento della Gioventù e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali; la PARC Direzione Generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e l’arte contemporanee.
Unidee in Progress 2008
Ha inaugurato il 5 ottobre “Unidee in progress 2008” la mostra che, fino al 31 dicembre, presenta le idee scaturite dall’ultima residenza per artisti di Città dell’Arte. Per quanto meraviglioso, ciò che ci è dato di vedere non è che la punta di un iceberg. L’esposizione è infatti la parte finale di mesi di pensieri, riflessioni, dottrine, rappresentazioni mentali che, scaturite in un clima di confronto continuo, hanno preso forma e si sono concretizzate per esserci donate. E sì, perché alla Fondazione Pistoletto, come di consueto, l’ingresso è gratuito e lo scopo è entrare in contatto con il maggior numero di persone possibile per dar modo all’arte di parlare con il pubblico educandolo e preparandolo a vivere in un mondo diverso e più consapevole.
Se vi pare un’utopia, provate a dare un’occhiata al sito di Città dell’Arte o, ancora meglio, fate un salto a Biella per scrutare da vicino i risultati concreti di queste ideologie visionarie. Attenzione però: i sogni sono contagiosi e potrebbe venirvi voglia di fermarvi a Città dell’Arte per qualche mese, per mangiare biologico alla caffet… ops che dico? al glocal restaurant; per cercare di capire come la creatività può influenzare la politica, come gli artisti possono consigliare gli economisti e come nuovi pensieri si possono sviluppare nell’ufficio spiritualità, tempio della riflessione laica.
Questa stessa voglia di ri-scoperta delle diverse forme di conoscenza rappresenta il fondamento concettuale per il soggiorno dei sedici giovani che hanno partecipato con entusiasmo al laboratorio Unidee 2008. Quattro mesi di residenza destinati a chi professionalmente ha a che fare con la creatività: artisti, curatori e manager di progetti socioculturali coinvolti in workshop, seminari, dibattiti e collaborazioni progettuali. Il programma mira a rendere questi individui “attivatori di progetti per una Trasformazione Sociale Responsabile”. Quasi tutti i lavori hanno concretizzato la propria idea partendo dall’esperienza biellese, segno indiscusso di quanto questa abbia contrassegnato la produzione dei giovani creativi. Diversi sono i progetti che si rivolgono al territorio, all’industria tessile - tradizionale della zona - ai cittadini e agli abitanti di Cttà dell’Arte; molti i lavori concettuali con particolare attenzione alle dinamiche sociali; il tutto condito con un minimo di esaltazione collettiva e costruttiva di cui ultimamente si sente la necessità. Interessanti i suggerimenti per le imprese, oggi più che mai centro nevralgico della società, il cui coinvolgimento diviene perciò indispensabile.
Info: http://unidee2008.files.wordpress.com/2008/10/undee-2008-catalogo.pdf http://unidee.cittadellarte.it/index.php
Se vi pare un’utopia, provate a dare un’occhiata al sito di Città dell’Arte o, ancora meglio, fate un salto a Biella per scrutare da vicino i risultati concreti di queste ideologie visionarie. Attenzione però: i sogni sono contagiosi e potrebbe venirvi voglia di fermarvi a Città dell’Arte per qualche mese, per mangiare biologico alla caffet… ops che dico? al glocal restaurant; per cercare di capire come la creatività può influenzare la politica, come gli artisti possono consigliare gli economisti e come nuovi pensieri si possono sviluppare nell’ufficio spiritualità, tempio della riflessione laica.
Questa stessa voglia di ri-scoperta delle diverse forme di conoscenza rappresenta il fondamento concettuale per il soggiorno dei sedici giovani che hanno partecipato con entusiasmo al laboratorio Unidee 2008. Quattro mesi di residenza destinati a chi professionalmente ha a che fare con la creatività: artisti, curatori e manager di progetti socioculturali coinvolti in workshop, seminari, dibattiti e collaborazioni progettuali. Il programma mira a rendere questi individui “attivatori di progetti per una Trasformazione Sociale Responsabile”. Quasi tutti i lavori hanno concretizzato la propria idea partendo dall’esperienza biellese, segno indiscusso di quanto questa abbia contrassegnato la produzione dei giovani creativi. Diversi sono i progetti che si rivolgono al territorio, all’industria tessile - tradizionale della zona - ai cittadini e agli abitanti di Cttà dell’Arte; molti i lavori concettuali con particolare attenzione alle dinamiche sociali; il tutto condito con un minimo di esaltazione collettiva e costruttiva di cui ultimamente si sente la necessità. Interessanti i suggerimenti per le imprese, oggi più che mai centro nevralgico della società, il cui coinvolgimento diviene perciò indispensabile.
Info: http://unidee2008.files.wordpress.com/2008/10/undee-2008-catalogo.pdf http://unidee.cittadellarte.it/index.php
La Biennale di San Paolo, una metabiennale?
(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°6 - settembre/ottobre 2008)
“Em vivo contato” ossia contatto vivo. È il titolo della prossima biennale di San Paolo, la ventottesima, che si svolgerà dal 26 ottobre al 6 dicembre 2008. I curatori – Ivo Mesquita e Ana Paula Cohen – hanno selezionato 40 artisti provenienti da 20 paesi, in prevalenza dall’America Latina, tra i quali spiccano Marina Abramovic, assume vivid astro focus, Mircea Cantor, Sophie Calle e l’italiano Armin Linke. Oltre la metà degli artisti presenti sta partecipando personalmente anche ai lavori di sviluppo della Biennale, si va dalla scelta degli allestimenti alla curatela. Inoltre all’artista Wagner Morales è stata affidata la curatela di Video Lounge, la sezione di video e film.
Ma il grande tema di discussione sarà la scelta di lasciare un intero padiglione vuoto. I rumors sostengono che la scelta sia stata dettata dalla scarsità di risorse economiche di cui dispone la Fondazione per la Biennale di San Paolo, sommersa di debiti e con difficoltà a trovare sponsor per la manifestazione.
Eppure Ivo Mesquita sostiene di avere quest’idea in cantiere già da tempo e di voler modificare i paradigmi stessi sui quali le biennali si basano, ancora troppo legate, a suo avviso, a modelli da XIX secolo.
Il secondo piano dell’edificio che da sempre ospita la Biennale, costruito da Niemeyer, resterà quindi vuoto e ospiterà una serie di conferenze e dibattiti sul ruolo delle biennali in questo nuovo secolo.
La Biennale sanpaolista, quindi, vuole essere un luogo di incontro e riflessione e metterà a disposizione dei visitatori una biblioteca e un archivio per sviluppare il tema delle biennali. Nelle intenzioni si vuole che il pubblico provi a criticare le biennali e proponga nuovi modelli per la divulgazione dell’arte.
La presentazione di uno spazio vuoto si prefigge di essere un gesto radicale che affermi un atto di sospensione, elaborando un’analisi sul modello delle biennali e sul loro ruolo nel mondo contemporaneo.
"Questo gesto simbolico rende il vuoto un luogo nel quale le cose sono in potenza, pieno e attivo, al contrario di una manifestazione nella quale le cose cessano di essere e perdono il proprio senso.”
“Em vivo contato” ossia contatto vivo. È il titolo della prossima biennale di San Paolo, la ventottesima, che si svolgerà dal 26 ottobre al 6 dicembre 2008. I curatori – Ivo Mesquita e Ana Paula Cohen – hanno selezionato 40 artisti provenienti da 20 paesi, in prevalenza dall’America Latina, tra i quali spiccano Marina Abramovic, assume vivid astro focus, Mircea Cantor, Sophie Calle e l’italiano Armin Linke. Oltre la metà degli artisti presenti sta partecipando personalmente anche ai lavori di sviluppo della Biennale, si va dalla scelta degli allestimenti alla curatela. Inoltre all’artista Wagner Morales è stata affidata la curatela di Video Lounge, la sezione di video e film.
Ma il grande tema di discussione sarà la scelta di lasciare un intero padiglione vuoto. I rumors sostengono che la scelta sia stata dettata dalla scarsità di risorse economiche di cui dispone la Fondazione per la Biennale di San Paolo, sommersa di debiti e con difficoltà a trovare sponsor per la manifestazione.
Eppure Ivo Mesquita sostiene di avere quest’idea in cantiere già da tempo e di voler modificare i paradigmi stessi sui quali le biennali si basano, ancora troppo legate, a suo avviso, a modelli da XIX secolo.
Il secondo piano dell’edificio che da sempre ospita la Biennale, costruito da Niemeyer, resterà quindi vuoto e ospiterà una serie di conferenze e dibattiti sul ruolo delle biennali in questo nuovo secolo.
La Biennale sanpaolista, quindi, vuole essere un luogo di incontro e riflessione e metterà a disposizione dei visitatori una biblioteca e un archivio per sviluppare il tema delle biennali. Nelle intenzioni si vuole che il pubblico provi a criticare le biennali e proponga nuovi modelli per la divulgazione dell’arte.
La presentazione di uno spazio vuoto si prefigge di essere un gesto radicale che affermi un atto di sospensione, elaborando un’analisi sul modello delle biennali e sul loro ruolo nel mondo contemporaneo.
"Questo gesto simbolico rende il vuoto un luogo nel quale le cose sono in potenza, pieno e attivo, al contrario di una manifestazione nella quale le cose cessano di essere e perdono il proprio senso.”
Intervista a Michela Cocchi
(articolo pubblicato su Artkey n°6 - settembre/ottobre 2008)
Lo Studio Legale Michela Cocchi partecipa a numerose commissioni internazionali tra cui l’American Bar Association (ABA) di Chicago e l’Union Internationale des Avocats (UIA) di Paris. In particolare, Michela Cocchi è stata Presidente della Commissione UIA sul Diritto dei Mezzi di Informazione ed è ora Presidente del Gruppo di Lavoro UIA Business & Human Rights. L’Avvocato ha inoltre una profonda conoscenza del mercato dell’arte e del Diritto dei Beni e delle Attività Culturali.
Susanna Sara Mandice: Avvocato, tra le tante attività, lei si occupa di Diritto dei Beni e delle Attività Culturali, branca giuridica fondamentale nel panorama italiano ed internazionale e che a Bologna annovera diverse eccellenze. Nel 2007 realizza il format Art & Money: vuole presentarcene brevemente l’attività e il campo d’azione? Michela Cocchi: L’esperienza del sistema dell’arte e del suo mercato, la tradizione internazionale e la coscienza del valore dell’italianità hanno da sempre contraddistinto la nostra attività di Studio e hanno portato, nel 2007, alla realizzazione di “Art & Money - Arte e Denaro”, da cui è scaturito un format che, dopo avere visto la sua prima edizione a Bologna, è oggi esportato anche all’estero. Lo scorso giugno Art & Money è arrivato a New York, nell’ambito del programma annuale di incontri della Commissione di Diritto dell’Arte dell’Ordine degli Avvocati di New York e nel 2009 è previsto un incontro a Berlino. A New York sono intervenuti il prof. Dario Giorgetti, archeologo del Dipartimento di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna, Virginia Rutledge, Presidente della Commissione di Diritto dell’Arte dell’Ordine forense di New York e Howard Spiegler, uno dei maggiori esperti statunitensi in tema di recupero di opere d’arte rubate. La nostra attività è guidata dalla volontà di proteggere il nostro valore culturale e di favorire una più stretta, efficace e concreta cooperazione tra istituzioni, collezionisti e operatori del mondo dell’arte. Nel 2007, Art & Money ha sviluppato un’analisi del mercato dell’arte, resa possibile grazie alla collaborazione e al sostegno di operatori culturali, istituzioni, esperti di finanza e di informazione. Tale lavoro si è rivelato indispensabile alla nostra attività e ha permesso quest’anno di concentrarsi sul concetto di “proprietà culturale”, su qual è il suo valore e quale la sua funzione. Nel 2009, esploreremo modelli, strategie e possibili schemi di intervento nel rapporto tra istituzioni pubbliche e soggetti privati nel sistema dell’arte. Produzione, collezione, scambio, divulgazione, preservazione… tutto ciò che si inserisce nel processo artistico-culturale.
S.S.M. La giurisprudenza crea norme che sono lo specchio della realtà e che allo stesso tempo ne determinano il funzionamento. Risponde a istanze sociali e stabilisce valori condivisi e necessari alla collettività. Lei ha parlato del concetto di proprietà culturale, mi piace quindi chiederle di fornircene una definizione giuridica. Quando e come possiamo tutelare questa proprietà e promuoverla? Quali caratteristiche deve avere un Bene Culturale per meritare attenzione da parte del Legislatore? M.C. L’argomento toccato si rivela un tema estremamente coinvolgente nell’attuale contesto globale e internazionale. Più che fornire una definizione che tenga conto di un rigido punto di vista, preferisco porre l’accento sul come si è giunti ad assodare le convinzioni di oggi. Circa 20 anni fa, in diversi paesi e più o meno contemporaneamente, l’attenzione ha iniziato a focalizzarsi sugli oggetti d’arte e sul loro ruolo di fonte di potere, non solo in ambito culturale. Le antichità hanno iniziato ad essere considerate proprietà culturali dal forte valore identitario, legate cioè a un tempo e un luogo dati, pertanto si è diffusa l’opinione che queste debbano ritornare al proprio paese d’origine. Giornali, riviste, media in generale e soprattutto musei hanno contribuito a divulgare questo concetto a collegarlo a quello di eredità culturale. Cruciale è oggi il riconoscimento del ruolo che non solo gli oggetti, ma anche i siti storici, hanno nella creazione dell’identità culturale di un luogo. È giunto il momento di percorrere un nuovo sentiero, che riconosca l’esistenza di un contesto internazionale, nell’imprescindibile rispetto delle realtà nazionali. Cosa fa di un oggetto una proprietà culturale? Cosa lo rende degno di essere conservato e preservato per le prossime generazioni? Sono questioni che occorre affrontare da varie prospettive: contesto temporale e spaziale, identità culturale, coesione culturale, simbolismo, diritti umani, legalità e legittimità.
S.S.M. L’Italia ha prodotto probabilmente il corpus legislativo più attento alla protezione del patrimonio nazionale. Le nostre leggi vengono prese ad esempio all’estero e hanno portato alla situazione odierna. Eppure, in un’evoluzione legislativa che presta attenzione non solo più alla tutela e alla protezione, ma introduce - a partire dagli anni Novanta e nel Codice Urbani - concetti di promozione, valorizzazione e fruizione, alcune restrizioni risultano limitanti. In tanti lamentano che l’Italia non concede prestiti se non dopo lungaggini burocratiche che paiono spesso freni mentali. Qual è la sua opinione in merito? M.C. L’Italia notoriamente ha uno dei più vasti patrimoni d’arte del mondo. È un dato della realtà che non va mai dimenticato nel leggere le regole nazionali di tutela che ci hanno, peraltro, fatto conquistare il ruolo di leader nella protezione delle eredità culturali, avendo una delle migliori legislazioni del mondo in tema di tutela delle antichità. La competenza e l’efficacia dell’operato del reparto dei Carabinieri dedicato alla tutela del patrimonio culturale sono note e riconosciute non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo. A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, numerose convenzioni internazionali sono state introdotte per combattere il traffico illegale di beni culturali, da un lato, e per promuovere la restituzione di oggetti ai loro paesi d’origine, dall’altro. Alle convenzioni internazionali multiparti si sono affiancati, con il tempo, accordi bilaterali che si sono dimostrati particolarmente efficaci ai fini del consolidamento della legalità negli scambi. Anche in questo ambito, l’Italia si è rivelata protagonista. L’accordo siglato nel 2001 e confermato nel 2006 tra Italia e Stati Uniti costituisce, nell’intero panorama internazionale, un modello di e per lo scambio culturale, grazie al quale non solo si sono potuti operare importanti recuperi di beni archeologici clandestinamente sottratti, ma si potranno anche compiere altrettanti importanti collaborazioni per incoraggiare il comportamento legale ed etico di collezionisti, mercanti e musei.
S.S.M. I repentini cambiamenti di Governo non fanno certo bene a un ministero delicato come il MiBAC, che necessita di continuità e coerenza. Al di là delle posizioni politiche, la gestione di Rutelli si era caratterizzata per un ottimo operato in tema di diplomazia culturale. Ci auspichiamo che tale indirizzo venga perseguito anche dal nuovo Ministro. Quali sono i progetti in cantiere? M.C. Ne cito uno per tutti, perché si inserisce nel solco che si va tracciando ed è un’ulteriore recentissima dimostrazione del valore della cultura e dell’arte quale strumento diplomatico. Il 4 giugno scorso si è svolto a Villa Madama, a Roma, il primo Vertice intergovernativo Italia-Egitto, a cui hanno partecipato il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed il Presidente egiziano Hosni Mubarak. Incontri collaterali hanno visto la presenza del ministro degli Esteri Franco Frattini, dello Sviluppo economico Claudio Scajola, delle Politiche agricole Luca Zaia, della Cultura Sandro Bondi e dei Trasporti Altiero Matteoli. I Ministri degli esteri dei due Paesi, Franco Frattini e Ahmed Abul Gheit, hanno firmato un Memorandum d’Intesa per l’istituzione di quello che è stato chiamato “Partenariato strategico rafforzato”: il Memorandum prevede che si tengano vertici bilaterali a cadenza annuale, mantenendo le consultazioni annuali a livello di Ministri degli Esteri e di Direttori Generali. I ministri Frattini e Gheit hanno inoltre firmato una dichiarazione congiunta sull’istituzione di una università italo-egiziana. Dichiarazione congiunta anche sulla proclamazione del 2009 quale Anno italo-egiziano della scienza e della tecnologia. Nel corso del Vertice, sono stati inoltre firmati un memorandum sulla cooperazione nell’industria della pesca e del settore marittimo e un accordo sul restauro del museo Midan Tahri del Cairo, che affida all’Italia l’esecuzione del progetto per la realizzazione del masterplan. Inoltre è stato siglato un altro memorandum sulla protezione e la restituzione dei beni culturali, che avvia una cooperazione bilaterale volta ad applicare misure preventive, repressive e di contrasto alle illecite importazioni, esportazioni e agli illegittimi trasferimenti di proprietà di beni culturali. La portata di interventi di questo tipo è evidente. Basti aggiungere che un altro tema affrontato nel corso dell’incontro è stata la dichiarazione della comune volontà dei due paesi di contribuire efficacemente alla distensione della situazione in Medio Oriente.
S.S.M. Quando si parla di scambi culturali tra paesi, si fa riferimento a reperti archeologici o produzioni artistiche di enorme valore storico. Qual è la situazione dell’arte contemporanea in questa prospettiva? Si tratta di un settore abbandonato a se stesso e alle regole del mercato o, essendo maggiormente legato ai privati, sottostà a regole differenti? M.C. L’arte contemporanea evidentemente solleva questioni differenti in termini di sicurezza degli scambi, che resta la ragione e l’obiettivo primario di ogni intervento volto a regolamentare. Regolamentare, voglio sottolineare, non significa impedire. Regolamentare significa fornire la chiave di accesso. La regola di diritto va letta come un manuale di istruzioni per l’uso, non come un elenco di divieti. Detto questo, va pure sottolineato che la creatività artistica si sviluppa quando e dove l’ambiente lo permette e per ambiente si intendono non solo i luoghi istituzionalmente dedicati alla produzione di cultura, ma anche e soprattutto i luoghi di ritrovo della comunità, i bar, i locali notturni, la strada. La storia dell’arte è fortemente caratterizzata dall’associazione tra luogo e prodotto d’arte in una sorta di agglomerato. Si tratta di veri e propri clusters. Sotto questo profilo, gli elementi caratterizzanti il sistema dell’arte contemporanea si rivelano profondamente differenti nell’ambito nazionale rispetto a quello internazionale. Gli accordi bilaterali, pur specificamente rivolti alla protezione del materiale archeologico, possono rivelarsi utili come motore propulsore dello sviluppo di buone pratiche, anche al di fuori della loro sfera di applicabilità, per incoraggiare etica e legalità nel comportamento di e tra collezionisti, galleristi e musei. La prassi che gli accordi hanno introdotto si traduce, infatti, in una manifestazione generale di buona volontà degli operatori del sistema dell’arte, per una più stretta e trasparente cooperazione e collaborazione tra istituzioni pubbliche e soggetti privati. Si tratta di un principio fondamentale che si trova espresso oggi in riferimento al materiale archeologico, ma che può e deve trovare concreto accoglimento in ogni settore culturale, senza alcuna giustificata possibilità di distinzione fondata sull’epoca di concezione e produzione del bene o dell’oggetto. Da questo punto di vista, il concetto-chiave in qualche modo introdotto con gli accordi internazionali è quello di “scambio”, sull’aggiornamento e attualizzazione della cui concreta definizione sono chiamati a giocare anche e soprattutto gli operatori dell’arte contemporanea, pubblici e privati, nazionali e internazionali, musei, gallerie, collezionisti e artisti.
S.S.M. E a proposito dei privati, qual è il loro ruolo? Come possono inserirsi e favorire gli scambi culturali e la diplomazia tra paesi? M.C. Anche nell’arte, come in ogni altro settore, facendo soldi, facendoli eticamente e facendo la differenza. Comprendere, accettare e fare proprio che c’è virtù in questa stringata e, all’apparenza, cruda affermazione, significa in realtà spostare l’attenzione dal concetto di fare soldi a quello di fare la differenza: dal mero perseguimento del proprio benessere economico a una filosofia di comportamento che rende la vita veramente degna di essere vissuta e che certamente include la possibilità della fruizione di un momento d’arte.
Lo Studio Legale Michela Cocchi partecipa a numerose commissioni internazionali tra cui l’American Bar Association (ABA) di Chicago e l’Union Internationale des Avocats (UIA) di Paris. In particolare, Michela Cocchi è stata Presidente della Commissione UIA sul Diritto dei Mezzi di Informazione ed è ora Presidente del Gruppo di Lavoro UIA Business & Human Rights. L’Avvocato ha inoltre una profonda conoscenza del mercato dell’arte e del Diritto dei Beni e delle Attività Culturali.
Susanna Sara Mandice: Avvocato, tra le tante attività, lei si occupa di Diritto dei Beni e delle Attività Culturali, branca giuridica fondamentale nel panorama italiano ed internazionale e che a Bologna annovera diverse eccellenze. Nel 2007 realizza il format Art & Money: vuole presentarcene brevemente l’attività e il campo d’azione? Michela Cocchi: L’esperienza del sistema dell’arte e del suo mercato, la tradizione internazionale e la coscienza del valore dell’italianità hanno da sempre contraddistinto la nostra attività di Studio e hanno portato, nel 2007, alla realizzazione di “Art & Money - Arte e Denaro”, da cui è scaturito un format che, dopo avere visto la sua prima edizione a Bologna, è oggi esportato anche all’estero. Lo scorso giugno Art & Money è arrivato a New York, nell’ambito del programma annuale di incontri della Commissione di Diritto dell’Arte dell’Ordine degli Avvocati di New York e nel 2009 è previsto un incontro a Berlino. A New York sono intervenuti il prof. Dario Giorgetti, archeologo del Dipartimento di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna, Virginia Rutledge, Presidente della Commissione di Diritto dell’Arte dell’Ordine forense di New York e Howard Spiegler, uno dei maggiori esperti statunitensi in tema di recupero di opere d’arte rubate. La nostra attività è guidata dalla volontà di proteggere il nostro valore culturale e di favorire una più stretta, efficace e concreta cooperazione tra istituzioni, collezionisti e operatori del mondo dell’arte. Nel 2007, Art & Money ha sviluppato un’analisi del mercato dell’arte, resa possibile grazie alla collaborazione e al sostegno di operatori culturali, istituzioni, esperti di finanza e di informazione. Tale lavoro si è rivelato indispensabile alla nostra attività e ha permesso quest’anno di concentrarsi sul concetto di “proprietà culturale”, su qual è il suo valore e quale la sua funzione. Nel 2009, esploreremo modelli, strategie e possibili schemi di intervento nel rapporto tra istituzioni pubbliche e soggetti privati nel sistema dell’arte. Produzione, collezione, scambio, divulgazione, preservazione… tutto ciò che si inserisce nel processo artistico-culturale.
S.S.M. La giurisprudenza crea norme che sono lo specchio della realtà e che allo stesso tempo ne determinano il funzionamento. Risponde a istanze sociali e stabilisce valori condivisi e necessari alla collettività. Lei ha parlato del concetto di proprietà culturale, mi piace quindi chiederle di fornircene una definizione giuridica. Quando e come possiamo tutelare questa proprietà e promuoverla? Quali caratteristiche deve avere un Bene Culturale per meritare attenzione da parte del Legislatore? M.C. L’argomento toccato si rivela un tema estremamente coinvolgente nell’attuale contesto globale e internazionale. Più che fornire una definizione che tenga conto di un rigido punto di vista, preferisco porre l’accento sul come si è giunti ad assodare le convinzioni di oggi. Circa 20 anni fa, in diversi paesi e più o meno contemporaneamente, l’attenzione ha iniziato a focalizzarsi sugli oggetti d’arte e sul loro ruolo di fonte di potere, non solo in ambito culturale. Le antichità hanno iniziato ad essere considerate proprietà culturali dal forte valore identitario, legate cioè a un tempo e un luogo dati, pertanto si è diffusa l’opinione che queste debbano ritornare al proprio paese d’origine. Giornali, riviste, media in generale e soprattutto musei hanno contribuito a divulgare questo concetto a collegarlo a quello di eredità culturale. Cruciale è oggi il riconoscimento del ruolo che non solo gli oggetti, ma anche i siti storici, hanno nella creazione dell’identità culturale di un luogo. È giunto il momento di percorrere un nuovo sentiero, che riconosca l’esistenza di un contesto internazionale, nell’imprescindibile rispetto delle realtà nazionali. Cosa fa di un oggetto una proprietà culturale? Cosa lo rende degno di essere conservato e preservato per le prossime generazioni? Sono questioni che occorre affrontare da varie prospettive: contesto temporale e spaziale, identità culturale, coesione culturale, simbolismo, diritti umani, legalità e legittimità.
S.S.M. L’Italia ha prodotto probabilmente il corpus legislativo più attento alla protezione del patrimonio nazionale. Le nostre leggi vengono prese ad esempio all’estero e hanno portato alla situazione odierna. Eppure, in un’evoluzione legislativa che presta attenzione non solo più alla tutela e alla protezione, ma introduce - a partire dagli anni Novanta e nel Codice Urbani - concetti di promozione, valorizzazione e fruizione, alcune restrizioni risultano limitanti. In tanti lamentano che l’Italia non concede prestiti se non dopo lungaggini burocratiche che paiono spesso freni mentali. Qual è la sua opinione in merito? M.C. L’Italia notoriamente ha uno dei più vasti patrimoni d’arte del mondo. È un dato della realtà che non va mai dimenticato nel leggere le regole nazionali di tutela che ci hanno, peraltro, fatto conquistare il ruolo di leader nella protezione delle eredità culturali, avendo una delle migliori legislazioni del mondo in tema di tutela delle antichità. La competenza e l’efficacia dell’operato del reparto dei Carabinieri dedicato alla tutela del patrimonio culturale sono note e riconosciute non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo. A partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, numerose convenzioni internazionali sono state introdotte per combattere il traffico illegale di beni culturali, da un lato, e per promuovere la restituzione di oggetti ai loro paesi d’origine, dall’altro. Alle convenzioni internazionali multiparti si sono affiancati, con il tempo, accordi bilaterali che si sono dimostrati particolarmente efficaci ai fini del consolidamento della legalità negli scambi. Anche in questo ambito, l’Italia si è rivelata protagonista. L’accordo siglato nel 2001 e confermato nel 2006 tra Italia e Stati Uniti costituisce, nell’intero panorama internazionale, un modello di e per lo scambio culturale, grazie al quale non solo si sono potuti operare importanti recuperi di beni archeologici clandestinamente sottratti, ma si potranno anche compiere altrettanti importanti collaborazioni per incoraggiare il comportamento legale ed etico di collezionisti, mercanti e musei.
S.S.M. I repentini cambiamenti di Governo non fanno certo bene a un ministero delicato come il MiBAC, che necessita di continuità e coerenza. Al di là delle posizioni politiche, la gestione di Rutelli si era caratterizzata per un ottimo operato in tema di diplomazia culturale. Ci auspichiamo che tale indirizzo venga perseguito anche dal nuovo Ministro. Quali sono i progetti in cantiere? M.C. Ne cito uno per tutti, perché si inserisce nel solco che si va tracciando ed è un’ulteriore recentissima dimostrazione del valore della cultura e dell’arte quale strumento diplomatico. Il 4 giugno scorso si è svolto a Villa Madama, a Roma, il primo Vertice intergovernativo Italia-Egitto, a cui hanno partecipato il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed il Presidente egiziano Hosni Mubarak. Incontri collaterali hanno visto la presenza del ministro degli Esteri Franco Frattini, dello Sviluppo economico Claudio Scajola, delle Politiche agricole Luca Zaia, della Cultura Sandro Bondi e dei Trasporti Altiero Matteoli. I Ministri degli esteri dei due Paesi, Franco Frattini e Ahmed Abul Gheit, hanno firmato un Memorandum d’Intesa per l’istituzione di quello che è stato chiamato “Partenariato strategico rafforzato”: il Memorandum prevede che si tengano vertici bilaterali a cadenza annuale, mantenendo le consultazioni annuali a livello di Ministri degli Esteri e di Direttori Generali. I ministri Frattini e Gheit hanno inoltre firmato una dichiarazione congiunta sull’istituzione di una università italo-egiziana. Dichiarazione congiunta anche sulla proclamazione del 2009 quale Anno italo-egiziano della scienza e della tecnologia. Nel corso del Vertice, sono stati inoltre firmati un memorandum sulla cooperazione nell’industria della pesca e del settore marittimo e un accordo sul restauro del museo Midan Tahri del Cairo, che affida all’Italia l’esecuzione del progetto per la realizzazione del masterplan. Inoltre è stato siglato un altro memorandum sulla protezione e la restituzione dei beni culturali, che avvia una cooperazione bilaterale volta ad applicare misure preventive, repressive e di contrasto alle illecite importazioni, esportazioni e agli illegittimi trasferimenti di proprietà di beni culturali. La portata di interventi di questo tipo è evidente. Basti aggiungere che un altro tema affrontato nel corso dell’incontro è stata la dichiarazione della comune volontà dei due paesi di contribuire efficacemente alla distensione della situazione in Medio Oriente.
S.S.M. Quando si parla di scambi culturali tra paesi, si fa riferimento a reperti archeologici o produzioni artistiche di enorme valore storico. Qual è la situazione dell’arte contemporanea in questa prospettiva? Si tratta di un settore abbandonato a se stesso e alle regole del mercato o, essendo maggiormente legato ai privati, sottostà a regole differenti? M.C. L’arte contemporanea evidentemente solleva questioni differenti in termini di sicurezza degli scambi, che resta la ragione e l’obiettivo primario di ogni intervento volto a regolamentare. Regolamentare, voglio sottolineare, non significa impedire. Regolamentare significa fornire la chiave di accesso. La regola di diritto va letta come un manuale di istruzioni per l’uso, non come un elenco di divieti. Detto questo, va pure sottolineato che la creatività artistica si sviluppa quando e dove l’ambiente lo permette e per ambiente si intendono non solo i luoghi istituzionalmente dedicati alla produzione di cultura, ma anche e soprattutto i luoghi di ritrovo della comunità, i bar, i locali notturni, la strada. La storia dell’arte è fortemente caratterizzata dall’associazione tra luogo e prodotto d’arte in una sorta di agglomerato. Si tratta di veri e propri clusters. Sotto questo profilo, gli elementi caratterizzanti il sistema dell’arte contemporanea si rivelano profondamente differenti nell’ambito nazionale rispetto a quello internazionale. Gli accordi bilaterali, pur specificamente rivolti alla protezione del materiale archeologico, possono rivelarsi utili come motore propulsore dello sviluppo di buone pratiche, anche al di fuori della loro sfera di applicabilità, per incoraggiare etica e legalità nel comportamento di e tra collezionisti, galleristi e musei. La prassi che gli accordi hanno introdotto si traduce, infatti, in una manifestazione generale di buona volontà degli operatori del sistema dell’arte, per una più stretta e trasparente cooperazione e collaborazione tra istituzioni pubbliche e soggetti privati. Si tratta di un principio fondamentale che si trova espresso oggi in riferimento al materiale archeologico, ma che può e deve trovare concreto accoglimento in ogni settore culturale, senza alcuna giustificata possibilità di distinzione fondata sull’epoca di concezione e produzione del bene o dell’oggetto. Da questo punto di vista, il concetto-chiave in qualche modo introdotto con gli accordi internazionali è quello di “scambio”, sull’aggiornamento e attualizzazione della cui concreta definizione sono chiamati a giocare anche e soprattutto gli operatori dell’arte contemporanea, pubblici e privati, nazionali e internazionali, musei, gallerie, collezionisti e artisti.
S.S.M. E a proposito dei privati, qual è il loro ruolo? Come possono inserirsi e favorire gli scambi culturali e la diplomazia tra paesi? M.C. Anche nell’arte, come in ogni altro settore, facendo soldi, facendoli eticamente e facendo la differenza. Comprendere, accettare e fare proprio che c’è virtù in questa stringata e, all’apparenza, cruda affermazione, significa in realtà spostare l’attenzione dal concetto di fare soldi a quello di fare la differenza: dal mero perseguimento del proprio benessere economico a una filosofia di comportamento che rende la vita veramente degna di essere vissuta e che certamente include la possibilità della fruizione di un momento d’arte.
Intervista a Gianfranco Imperatori, Segretario generale Associazione Civita
(articolo pubblicato su Artkey n°7 - novembre/dicembre 2008)
Dottor Imperatori, in un momento di riconosciuta crisi economica e di sfiducia collettiva, vorrei provare a fare con il suo aiuto un percorso che ci aiuti a comprendere qual è la direzione da intraprendere per evitare il rischio di involuzione di settore. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, all’art. 6 comma 1 - non a caso inserito tra i principi fondamentali - recita: “La valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso”.
Susanna Sara Mandice: In Italia la valorizzazione viene spesso misurata attraverso rigidi schemi numerici, gli standard museali (laddove utilizzati) si basano più sul numero dei biglietti staccati che sulla reale produzione di conoscenza. Quali sono i parametri per valutare un’attività culturale dal punto di vista qualitativo? Le faccio un esempio: la Cappella degli Scrovegni propone, a corollario di una visita breve, un nutrito percorso didattico di preparazione alla visita stessa, ma non se ne sente mai parlare. La Galleria degli Uffizi è probabilmente il museo italiano a detenere il record di visite e se ne parla sempre. In cosa si differenzia una visita agli Uffizi da una alla Cappella degli Scrovegni?
Gianfranco Imperatori: Nell’ultimo secolo i musei hanno conosciuto una crescita esponenziale del numero di visitatori. Le basti pensare che gli Uffizi che lei cita sono passati, dal 1937 ad oggi, da 50mila visitatori a più di 1milione e mezzo l’anno (dato del 2007). Il Presidente del Comitato Scientifico dell’Associazione Civita, di cui sono Segretario Generale, sostiene spesso, e sono d’accordo con lui, che difficilmente il numero di persone che escono dalla visita museale arricchiti culturalmente sia aumentato con l’aumentare degli ingressi. Questo non dipende dalla capacità didattica del museo (se così fosse, dovrebbe essere il contrario di quanto sosteniamo, dal momento che l’attenzione alla didattica da parte dei musei è cresciuta con la crescita dei servizi al pubblico offerti al loro interno); dipende piuttosto da un modo di intendere la visita museale, oggi spesso associata a un turismo dei grandi numeri, a un momento di svago, di evasione che poco ha a che fare con l’accrescimento delle conoscenze. Da questo punto di vista, non credo che la visita agli Uffizi sia tanto diversa da quella alla Cappella degli Scrovegni: la differenza, oggi come nel passato, la fa la motivazione che spinge il visitatore, che, agli Scrovegni come agli Uffizi, se mosso da amore per la conoscenza, oggi più di ieri trova nei musei gli strumenti adatti, ulteriori agli oggetti esposti, per soddisfarlo.
S.S.M. Nel suo ultimo editoriale su “Il Giornale di Civita” ha toccato il tema del turismo culturale. Premesso che la cultura non è turismo, ma che il turismo può essere cultura, quali sono i limiti che un turismo di massa può portare al sistema culturale? Visitare una mostra sovraffollata, dedicarsi a visite spot rappresenta davvero un’esperienza formativa? Dovendo evitare che i musei di forte richiamo e le mostre blockbuster, sulle quali tanto si punta, abbassino il livello della ricerca rendendo dozzinale la produzione nazionale di cultura, su cosa puntare? Come si può massimizzare la fruizione? Basta esporre per “produrre cultura”? G.I. La cultura è una forte motivazione turistica: lo dimostrano i dati che, in un momento di recesso nella movimentazione dei flussi verso il nostro Paese, rivelano ancora piuttosto stabili le destinazioni delle città d’arte. Da tempo sosteniamo che il Governo dovrebbe intervenire nel coordinare politiche turistiche e politiche culturali, in modo da non disperdere le grandi opportunità che ci vengono dall’appeal e dalla ampia e omogenea diffusione del nostro patrimonio culturale in termini di richiamo turistico, considerando che il settore turistico rappresenta, nel suo complesso, il 14% circa del nostro PIL; senza incidere ulteriormente su quelle mete già tanto interessate dai flussi turistici e che, con l’andare del tempo, rischiano di perdere la propria fisionomia, ma creando un vero e proprio sistema dell’offerta che distribuisca il turista su tutto il territorio italiano. I problemi da porsi sono, quindi, di due ordini: strutturale e metodologico. Da una parte bisogna intervenire sulle infrastrutture del territorio nazionale per rendere agevole e piacevole per il turista spostarsi nel nostro Paese e raggiungere e soggiornare in località meno conosciute. Dal canto nostro, abbiamo realizzato, insieme con ANCE e ARCUS, il progetto “Alberghi della Cultura”, che presenteremo a breve, e che intende coniugare il recupero di edifici storici con finalità ricettiva e promozione del territorio in chiave culturale. Dall’altra, è importante riflettere sulle politiche degli eventi culturali, perché perdano il carattere, acquisito soprattutto negli ultimi anni, del grande effetto dai forti costi e dagli impatti positivi effimeri; ma, piuttosto, possano diventare volani di arricchimento culturale e di ricchezza per l’intero territorio, impostandosi su progetti a lungo termine e ritrovando il valore dei contenuti e lo stretto legame con la cultura locale. Lo stesso vale per le mostre, che, a nostro avviso, devono avere un costante richiamo alla tradizione culturale del territorio circostante, e valorizzare, dove possibile, le collezioni dei musei che le ospitano, in modo da avvicinare, e chissà, magari fidelizzare, il visitatore a quel territorio e a quel museo.
S.S.M. Civita è tra i grandi protagonisti della gestione servizi integrati, ma allo stesso tempo è associazione non profit. Perché questo sdoppiamento? Quali obiettivi si possono raggiungere in maniera più agile attraverso questa duplice natura? G.I. Civita nasce come associazione non-profit (Associazione Civita), come laboratorio di idee e progetti. Dall’entrata in vigore della legge Ronchey abbiamo cominciato a sperimentare la fornitura di servizi al pubblico nei musei. L’avvio di attività commerciali ha richiesto di necessità la nascita di una società, Civita Servizi, che oggi gestisce i servizi in circa 50 musei e siti archeologici nazionali. Abbiamo infatti verificato che la complementarietà delle attività aggiunge concretezza alla produzione di ricerche e di riflessioni dell’Associazione, e attribuisce carattere innovativo alle iniziative di Civita Servizi.
S.S.M. Recentemente, in vista delle prossime gare per l’assegnazione dei servizi aggiuntivi, si è riparlato del ruolo dei privati nel sistema culturale italiano. A suo parere quali sono i servizi che possono essere concessi in appalto e quali invece devono afferire alla competenza pubblica? O piuttosto ritiene che le competenze non debbano essere suddivise in base alla natura giuridica dell’ente? G.I. In base alla nostra esperienza, il privato può dare un importante supporto al
la gestione dei servizi museali, creando le condizioni per la crescita del numero di visitatori e per la fidelizzazione di molti di loro. Se siamo convinti che il ruolo dei concessionari possa essere utile rispetto non solo alle attività commerciali (biglietteria, libreria, caffetteria), ma anche all’individuazione e alla progettazione di attività promozionali (mostre, concerti, rassegne, ecc., cui oggi collabora solo per le fasi organizzative), siamo anche fermamente convinti che la proprietà delle istituzioni culturali e le attività di tutela debbano rimanere in mano al settore pubblico.
S.S.M. Nel sistema culturale italiano il ruolo dei privati è quello di “salvadanaio” al quale rivolgersi per ottenere nuove risorse. L’azione degli investitori, in particolar modo dei maggiori, pare non volersi più limitare ai meri scopi filantropici o al solo ritorno reputazionale. Da più parti si lancia l’allarme di una presunta caduta dell’indipendenza culturale a favore dei gusti di fondazioni e sponsor. Si teme anche che i privati vogliano investire solo laddove sia possibile massimizzare i profitti, condizione più unica che rara nel mondo delle istituzioni culturali. Qual è il suo parere in merito? I privati possono “fare” cultura e svolgere un ruolo di formazione sociale, affiancandosi ai soggetti pubblici? G.I. Noi siamo l’esempio di un rapporto virtuoso tra privati e cultura e tra soggetti privati e istituzioni pubbliche. Al di là della nostra attività che ci vede partner delle istituzioni pubbliche in veste di concessionari, l’Associazione è costituita da più di 170 imprese che, a vario titolo, dimostrano il proprio interesse nella cultura e nel nostro patrimonio culturale, considerato come punto di partenza per la creazione di un nuovo modello di sviluppo del Paese. Molte di queste aziende, che hanno cominciato a collaborare con le nostre attività semplicemente in veste di sponsor, oggi sono direttamente ideatrici e organizzatrici di eventi e manifestazioni culturali. Certo, i privati hanno individuato nella cultura un volano per la comunicazione della loro immagine, ma non mi pare che questo abbia mai messo in discussione la proprietà del patrimonio. Anzi, sempre più spesso aziende come Enel, Telecom Italia, ultimamente Terna e molte altre, tra cui vanno ricordate anche le fondazioni bancarie, hanno dimostrato di essere in grado di fare cultura, spesso promuovendo nuove creazioni artistiche e intervenendo al fianco delle Pubbliche Amministrazioni.
S.S.M. Diverse voci si sono sollevate a favore di una defiscalizzazione dei contributi a sostegno delle attività culturali. Ciò nonostante questa proposta resta ignorata. Come mai? Qual è il motivo che spinge la politica a tagliare i finanziamenti pubblici e, allo stesso tempo, a non agevolare le partecipazioni dei privati? G.I. In realtà esiste già una legge che prevede la detrazione totale dalle tasse degli investimenti in cultura dei privati. Spesso se ne è lamentata una certa complessità, e forse più volte la non totale idoneità con le reali necessità dei privati. Questo tema è per un’associazione di imprese come la nostra assolutamente rilevante. Da un lato, infatti, possiamo testimoniare come le aziende mostrino una sensibilità crescente nei confronti del mondo della cultura; dall’altro, siamo consapevoli che, soprattutto in un’epoca di riduzione della spesa pubblica, occorre progettare un sistema di incentivazione assai più efficace e agile. In questo senso, non ci limitiamo a riscontrare l’attuale deficit, ma intendiamo offrire il nostro contributo, in termini di esperienza e conoscenza delle esigenze dei privati, nei confronti dei soggetti istituzionali che saranno chiamati a revisionare il sistema delle incentivazioni. Un primo passo è rappresentato dalla recente collaborazione di Civita con il Comitato per l’economia della cultura del Mibac nello svolgimento di un’indagine sugli incentivi pro-sociali alla donazione privata per l’arte e la cultura.
S.S.M. Preso atto della crisi che interessa l’economia italiana, urge definire le possibili ricette destinate al settore della cultura. Oltre alla già citata defiscalizzazione, vuole suggerirci altre potenziali soluzioni? A suo parere questa crisi è destinata a perdurare o intravede dei segnali di ripresa? G.I. Credo che ci siano due ambiti nei quali la cultura potrebbe intervenire in maniera importante, anche per le ricadute economiche che ne deriverebbero. Uno è quello delle nuove tecnologie che trova applicazione in quasi tutti i settori culturali: dalla comunicazione, alla didattica, dal restauro alla sicurezza, dalla gestione dei servizi fino all’industria cinematografica e turistica. È un settore che aspetta ancora di essere sviluppato e che è ancora piuttosto “vergine”, soprattutto in termini di individuazione di contenuti validi, dal momento che le tecnologie sono ampiamente sviluppate e in costante aggiornamento. C’è poi il settore del turismo culturale che ha già dimostrato di avere un peso significativo rispetto all’intero mercato italiano e che può costituire il vero tratto distintivo e competitivo della destinazione Italia rispetto a tutte le altre. È però urgente, in questo senso, individuare politiche di coordinamento tra il Ministero dei Beni Culturali, il Dipartimento del Turismo e le Regioni. La crisi che stiamo vivendo richiede la realizzazione di nuovi modelli: l’Italia potrà crearne di validi se non vivrà il proprio patrimonio come occasione effimera, ma come vero e proprio investimento a lungo termine.
S.S.M. Francesco Bonami, nel presentare la mostra “Italics” in corso a Palazzo Grassi, ha descritto la società italiana come “un’antica civiltà contemporanea”, segnata dalla “tradizione dei grandi maestri del passato”. Ancora troppo legata agli status quo esistenti, intenta in una quasi immobile autocelebrazione, l’Italia investe nel settore tessile e metalmeccanico anziché su innovazione e ricerca e produce mostre di arte antica, medievale e moderna ignorando quasi completamente l’arte contemporanea. Economicamente siamo un popolo avverso al rischio, eppure i dati per valutare il valore dell’utilità attesa sono disponibili sul mercato. Perché allora il nostro passato diventa un fardello luccicante? G.I. Quello italiano è un popolo che ama i paradossi: nella nostra storia non abbiamo fatto altro che dimostrare di essere ugualmente grandi conservatori e profondi innovatori. Ancora oggi, alcune delle tecnologie più innovative sono pensate e prodotte in Italia e alcuni dei maggiori artisti sulla scena contemporanea internazionale sono italiani. Senza contare il fatto che in molti settori (pensiamo alla moda, al design, all’agroalimentare) continuiamo a fare tendenza. Non credo che in questo il nostro passato non c’entri. Anzi, non vedrei il nostro passato come un fardello luccicante: piuttosto come quel gigante sulle cui spalle noi, piccoli nani del presente, riusciamo a guardare verso il nostro futuro.
Dottor Imperatori, in un momento di riconosciuta crisi economica e di sfiducia collettiva, vorrei provare a fare con il suo aiuto un percorso che ci aiuti a comprendere qual è la direzione da intraprendere per evitare il rischio di involuzione di settore. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, all’art. 6 comma 1 - non a caso inserito tra i principi fondamentali - recita: “La valorizzazione consiste nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso”.
Susanna Sara Mandice: In Italia la valorizzazione viene spesso misurata attraverso rigidi schemi numerici, gli standard museali (laddove utilizzati) si basano più sul numero dei biglietti staccati che sulla reale produzione di conoscenza. Quali sono i parametri per valutare un’attività culturale dal punto di vista qualitativo? Le faccio un esempio: la Cappella degli Scrovegni propone, a corollario di una visita breve, un nutrito percorso didattico di preparazione alla visita stessa, ma non se ne sente mai parlare. La Galleria degli Uffizi è probabilmente il museo italiano a detenere il record di visite e se ne parla sempre. In cosa si differenzia una visita agli Uffizi da una alla Cappella degli Scrovegni?
Gianfranco Imperatori: Nell’ultimo secolo i musei hanno conosciuto una crescita esponenziale del numero di visitatori. Le basti pensare che gli Uffizi che lei cita sono passati, dal 1937 ad oggi, da 50mila visitatori a più di 1milione e mezzo l’anno (dato del 2007). Il Presidente del Comitato Scientifico dell’Associazione Civita, di cui sono Segretario Generale, sostiene spesso, e sono d’accordo con lui, che difficilmente il numero di persone che escono dalla visita museale arricchiti culturalmente sia aumentato con l’aumentare degli ingressi. Questo non dipende dalla capacità didattica del museo (se così fosse, dovrebbe essere il contrario di quanto sosteniamo, dal momento che l’attenzione alla didattica da parte dei musei è cresciuta con la crescita dei servizi al pubblico offerti al loro interno); dipende piuttosto da un modo di intendere la visita museale, oggi spesso associata a un turismo dei grandi numeri, a un momento di svago, di evasione che poco ha a che fare con l’accrescimento delle conoscenze. Da questo punto di vista, non credo che la visita agli Uffizi sia tanto diversa da quella alla Cappella degli Scrovegni: la differenza, oggi come nel passato, la fa la motivazione che spinge il visitatore, che, agli Scrovegni come agli Uffizi, se mosso da amore per la conoscenza, oggi più di ieri trova nei musei gli strumenti adatti, ulteriori agli oggetti esposti, per soddisfarlo.
S.S.M. Nel suo ultimo editoriale su “Il Giornale di Civita” ha toccato il tema del turismo culturale. Premesso che la cultura non è turismo, ma che il turismo può essere cultura, quali sono i limiti che un turismo di massa può portare al sistema culturale? Visitare una mostra sovraffollata, dedicarsi a visite spot rappresenta davvero un’esperienza formativa? Dovendo evitare che i musei di forte richiamo e le mostre blockbuster, sulle quali tanto si punta, abbassino il livello della ricerca rendendo dozzinale la produzione nazionale di cultura, su cosa puntare? Come si può massimizzare la fruizione? Basta esporre per “produrre cultura”? G.I. La cultura è una forte motivazione turistica: lo dimostrano i dati che, in un momento di recesso nella movimentazione dei flussi verso il nostro Paese, rivelano ancora piuttosto stabili le destinazioni delle città d’arte. Da tempo sosteniamo che il Governo dovrebbe intervenire nel coordinare politiche turistiche e politiche culturali, in modo da non disperdere le grandi opportunità che ci vengono dall’appeal e dalla ampia e omogenea diffusione del nostro patrimonio culturale in termini di richiamo turistico, considerando che il settore turistico rappresenta, nel suo complesso, il 14% circa del nostro PIL; senza incidere ulteriormente su quelle mete già tanto interessate dai flussi turistici e che, con l’andare del tempo, rischiano di perdere la propria fisionomia, ma creando un vero e proprio sistema dell’offerta che distribuisca il turista su tutto il territorio italiano. I problemi da porsi sono, quindi, di due ordini: strutturale e metodologico. Da una parte bisogna intervenire sulle infrastrutture del territorio nazionale per rendere agevole e piacevole per il turista spostarsi nel nostro Paese e raggiungere e soggiornare in località meno conosciute. Dal canto nostro, abbiamo realizzato, insieme con ANCE e ARCUS, il progetto “Alberghi della Cultura”, che presenteremo a breve, e che intende coniugare il recupero di edifici storici con finalità ricettiva e promozione del territorio in chiave culturale. Dall’altra, è importante riflettere sulle politiche degli eventi culturali, perché perdano il carattere, acquisito soprattutto negli ultimi anni, del grande effetto dai forti costi e dagli impatti positivi effimeri; ma, piuttosto, possano diventare volani di arricchimento culturale e di ricchezza per l’intero territorio, impostandosi su progetti a lungo termine e ritrovando il valore dei contenuti e lo stretto legame con la cultura locale. Lo stesso vale per le mostre, che, a nostro avviso, devono avere un costante richiamo alla tradizione culturale del territorio circostante, e valorizzare, dove possibile, le collezioni dei musei che le ospitano, in modo da avvicinare, e chissà, magari fidelizzare, il visitatore a quel territorio e a quel museo.
S.S.M. Civita è tra i grandi protagonisti della gestione servizi integrati, ma allo stesso tempo è associazione non profit. Perché questo sdoppiamento? Quali obiettivi si possono raggiungere in maniera più agile attraverso questa duplice natura? G.I. Civita nasce come associazione non-profit (Associazione Civita), come laboratorio di idee e progetti. Dall’entrata in vigore della legge Ronchey abbiamo cominciato a sperimentare la fornitura di servizi al pubblico nei musei. L’avvio di attività commerciali ha richiesto di necessità la nascita di una società, Civita Servizi, che oggi gestisce i servizi in circa 50 musei e siti archeologici nazionali. Abbiamo infatti verificato che la complementarietà delle attività aggiunge concretezza alla produzione di ricerche e di riflessioni dell’Associazione, e attribuisce carattere innovativo alle iniziative di Civita Servizi.
S.S.M. Recentemente, in vista delle prossime gare per l’assegnazione dei servizi aggiuntivi, si è riparlato del ruolo dei privati nel sistema culturale italiano. A suo parere quali sono i servizi che possono essere concessi in appalto e quali invece devono afferire alla competenza pubblica? O piuttosto ritiene che le competenze non debbano essere suddivise in base alla natura giuridica dell’ente? G.I. In base alla nostra esperienza, il privato può dare un importante supporto al
la gestione dei servizi museali, creando le condizioni per la crescita del numero di visitatori e per la fidelizzazione di molti di loro. Se siamo convinti che il ruolo dei concessionari possa essere utile rispetto non solo alle attività commerciali (biglietteria, libreria, caffetteria), ma anche all’individuazione e alla progettazione di attività promozionali (mostre, concerti, rassegne, ecc., cui oggi collabora solo per le fasi organizzative), siamo anche fermamente convinti che la proprietà delle istituzioni culturali e le attività di tutela debbano rimanere in mano al settore pubblico.
S.S.M. Nel sistema culturale italiano il ruolo dei privati è quello di “salvadanaio” al quale rivolgersi per ottenere nuove risorse. L’azione degli investitori, in particolar modo dei maggiori, pare non volersi più limitare ai meri scopi filantropici o al solo ritorno reputazionale. Da più parti si lancia l’allarme di una presunta caduta dell’indipendenza culturale a favore dei gusti di fondazioni e sponsor. Si teme anche che i privati vogliano investire solo laddove sia possibile massimizzare i profitti, condizione più unica che rara nel mondo delle istituzioni culturali. Qual è il suo parere in merito? I privati possono “fare” cultura e svolgere un ruolo di formazione sociale, affiancandosi ai soggetti pubblici? G.I. Noi siamo l’esempio di un rapporto virtuoso tra privati e cultura e tra soggetti privati e istituzioni pubbliche. Al di là della nostra attività che ci vede partner delle istituzioni pubbliche in veste di concessionari, l’Associazione è costituita da più di 170 imprese che, a vario titolo, dimostrano il proprio interesse nella cultura e nel nostro patrimonio culturale, considerato come punto di partenza per la creazione di un nuovo modello di sviluppo del Paese. Molte di queste aziende, che hanno cominciato a collaborare con le nostre attività semplicemente in veste di sponsor, oggi sono direttamente ideatrici e organizzatrici di eventi e manifestazioni culturali. Certo, i privati hanno individuato nella cultura un volano per la comunicazione della loro immagine, ma non mi pare che questo abbia mai messo in discussione la proprietà del patrimonio. Anzi, sempre più spesso aziende come Enel, Telecom Italia, ultimamente Terna e molte altre, tra cui vanno ricordate anche le fondazioni bancarie, hanno dimostrato di essere in grado di fare cultura, spesso promuovendo nuove creazioni artistiche e intervenendo al fianco delle Pubbliche Amministrazioni.
S.S.M. Diverse voci si sono sollevate a favore di una defiscalizzazione dei contributi a sostegno delle attività culturali. Ciò nonostante questa proposta resta ignorata. Come mai? Qual è il motivo che spinge la politica a tagliare i finanziamenti pubblici e, allo stesso tempo, a non agevolare le partecipazioni dei privati? G.I. In realtà esiste già una legge che prevede la detrazione totale dalle tasse degli investimenti in cultura dei privati. Spesso se ne è lamentata una certa complessità, e forse più volte la non totale idoneità con le reali necessità dei privati. Questo tema è per un’associazione di imprese come la nostra assolutamente rilevante. Da un lato, infatti, possiamo testimoniare come le aziende mostrino una sensibilità crescente nei confronti del mondo della cultura; dall’altro, siamo consapevoli che, soprattutto in un’epoca di riduzione della spesa pubblica, occorre progettare un sistema di incentivazione assai più efficace e agile. In questo senso, non ci limitiamo a riscontrare l’attuale deficit, ma intendiamo offrire il nostro contributo, in termini di esperienza e conoscenza delle esigenze dei privati, nei confronti dei soggetti istituzionali che saranno chiamati a revisionare il sistema delle incentivazioni. Un primo passo è rappresentato dalla recente collaborazione di Civita con il Comitato per l’economia della cultura del Mibac nello svolgimento di un’indagine sugli incentivi pro-sociali alla donazione privata per l’arte e la cultura.
S.S.M. Preso atto della crisi che interessa l’economia italiana, urge definire le possibili ricette destinate al settore della cultura. Oltre alla già citata defiscalizzazione, vuole suggerirci altre potenziali soluzioni? A suo parere questa crisi è destinata a perdurare o intravede dei segnali di ripresa? G.I. Credo che ci siano due ambiti nei quali la cultura potrebbe intervenire in maniera importante, anche per le ricadute economiche che ne deriverebbero. Uno è quello delle nuove tecnologie che trova applicazione in quasi tutti i settori culturali: dalla comunicazione, alla didattica, dal restauro alla sicurezza, dalla gestione dei servizi fino all’industria cinematografica e turistica. È un settore che aspetta ancora di essere sviluppato e che è ancora piuttosto “vergine”, soprattutto in termini di individuazione di contenuti validi, dal momento che le tecnologie sono ampiamente sviluppate e in costante aggiornamento. C’è poi il settore del turismo culturale che ha già dimostrato di avere un peso significativo rispetto all’intero mercato italiano e che può costituire il vero tratto distintivo e competitivo della destinazione Italia rispetto a tutte le altre. È però urgente, in questo senso, individuare politiche di coordinamento tra il Ministero dei Beni Culturali, il Dipartimento del Turismo e le Regioni. La crisi che stiamo vivendo richiede la realizzazione di nuovi modelli: l’Italia potrà crearne di validi se non vivrà il proprio patrimonio come occasione effimera, ma come vero e proprio investimento a lungo termine.
S.S.M. Francesco Bonami, nel presentare la mostra “Italics” in corso a Palazzo Grassi, ha descritto la società italiana come “un’antica civiltà contemporanea”, segnata dalla “tradizione dei grandi maestri del passato”. Ancora troppo legata agli status quo esistenti, intenta in una quasi immobile autocelebrazione, l’Italia investe nel settore tessile e metalmeccanico anziché su innovazione e ricerca e produce mostre di arte antica, medievale e moderna ignorando quasi completamente l’arte contemporanea. Economicamente siamo un popolo avverso al rischio, eppure i dati per valutare il valore dell’utilità attesa sono disponibili sul mercato. Perché allora il nostro passato diventa un fardello luccicante? G.I. Quello italiano è un popolo che ama i paradossi: nella nostra storia non abbiamo fatto altro che dimostrare di essere ugualmente grandi conservatori e profondi innovatori. Ancora oggi, alcune delle tecnologie più innovative sono pensate e prodotte in Italia e alcuni dei maggiori artisti sulla scena contemporanea internazionale sono italiani. Senza contare il fatto che in molti settori (pensiamo alla moda, al design, all’agroalimentare) continuiamo a fare tendenza. Non credo che in questo il nostro passato non c’entri. Anzi, non vedrei il nostro passato come un fardello luccicante: piuttosto come quel gigante sulle cui spalle noi, piccoli nani del presente, riusciamo a guardare verso il nostro futuro.
Specchio riflesso: Artlab 08
(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°7 - novembre/dicembre 2008)
Artlab: dialoghi intorno al management culturale
Il 26 e 27 settembre si è svolta la terza edizione di Artlab, momento di incontro per operatori, manager e politici che, con fatica e passione, operano nel settore culturale.
L’evento, organizzato dalla Fondazione Fitzcarraldo di Torino con il sostegno della Regione Piemonte, quest’anno ha superato se stesso: oltre 400 partecipanti, di cui circa 250 iscritti e un centinaio di relatori, hanno preso parte alla “due giorni torinese”, ospitati nella Casa del Teatro Ragazzi e Giovani. Tema dell’edizione 2008: l’innovazione, sviluppato in una prima giornata di sessioni plenarie alternate a sedute parallele e in una seconda giornata organizzata in seminari. Una vera e propria maratona di racconti, punti di vista, dibattiti.
Personalmente, durante la seconda giornata ho saltellato da un seminario all’altro per cogliere l’aspetto collettivo e le dinamiche di gruppo, estrapolare suggestioni, ascoltare frasi, riflessioni e proposte spontanee scaturite in seno ai diversi discussant groups. Mi sono anche permessa di girare tra i tavoli del buffet allestito durante la pausa pranzo per cogliere i commenti dei partecipanti e domandarne l’opinione. Ebbene, l’entusiasmo che ho rilevato mi ha colpito: nessun deluso, poche critiche e tanta soddisfazione caratterizzavano gli umori dei miei “intervistati”. I relatori, dal canto loro, sciorinavano lodi - durante i propri interventi e nei momenti meno istituzionali - sottolineando come Artlab rappresenti un caso unico in Italia e come sappia radunare eccellenze diverse. Meno male, finalmente un po’ di ottimismo, considerato che buona parte degli interventi in aula sono stati caratterizzati da piagnistei e lamentele.
Il paradosso di Artlab è stato proprio questo: una serie di relatori presentati come esempi di buona gestione e modelli di riferimento che hanno trascorso buona parte del tempo a fare l’elenco di ciò che non funziona. Se i grandi si lamentano chissà quale atteggiamento dovrebbe caratterizzare i piccoli… ma forse i piccoli non hanno tempo per compiangersi, impegnati come sono a tirarsi su le maniche!
Ad Artlab si sono incontrati i primati del settore culturale italiano, colonne portarti di un sistema sbilenco, che però non hanno saputo essere realmente innovativi. L’innovazione promessa dal convegno è stata la grande assente: somministrare una serie di buoni esempi non significa fornire le risposte alle numerose domande che caratterizzano il nostro settore. Inoltre una sorta di narcisismo competitivo ha aleggiato un po’ ovunque: diversi gli “sbrodoloni” bravi a intessere le lodi del vicino a ad autocelebrarsi; in molti hanno invitato gli astanti a far proprio il motto “sbagliando si impara” ma nessuno ha raccontato i propri errori. Le difficoltà paiono sempre cadere dall’alto, conseguenza di catastrofi imprevedibili o di politiche che si accaniscono sullo sventurato operatore culturale. Ma chi sbaglia, dove sbaglia? E come si può imparare dagli errori?
Sicuramente, a colpi di lodi e piagnistei, sono venute fuori le caratteristiche del sistema italiano: i punti di forza (rari) e le criticità.
Argomento preferito: i tagli alla cultura. Come negarlo? Artkey e altri magazine di settore, nonché i mass media, ne hanno parlato ampiamente; mi permetto quindi di esaurire l’argomento riportando una frase che Roberto Grossi ha condiviso con gli intervenuti ad Artlab: per lavorare “mancano le condizioni materiali: risorse e luoghi prima di tutto. Il taglio è l’assenza totale di un disegno. La cultura fa bene, [senza risorse] i luoghi inesorabilmente diventano avulsi e si arriva al degrado”.
Intanto pare finalmente chiaro ai più che i modelli di management non possono essere importati e che la gestione delle IAC (istituzioni che si occupano di arte e cultura) non si può appiattire sul modello amministrativo delle aziende. In controtendenza con quanto detto a più voce fino un decennio fa, finalmente anche in Italia i modelli di Kotler e Kotler paiono superati, perlomeno nella teoria. Rimangono però attivi da più parti gli approcci alla Florida, con meccanismi paranoici che Luca Zan definisce “sindrome da auditel”; risulta qui necessario precisare che tutti gli intervenuti ad Artlab si sono dichiarati distanti da tali orientamenti che paiono aver attecchito in particolar modo in singole istituzioni, prima nel trevigiano, poi nel bresciano e a macchia sul resto della penisola. In Italia un certo snobbismo intellettuale, per quanto per alcuni aspetti controproducente, ha perlomeno preservato una mentalità che pare essere più orientata alla qualità che alla volgarizzazione numerica. Muovendo da qui, bisognerebbe però comprendere che anche le regole del diritto amministrativo non possono essere calate dall’alto in maniera univoca. Il contesto nel quale ogni IAC si muove è un contesto esclusivo, con caratteristiche che non possono continuare a essere ignorate: l’epoca delle ricette uniche deve volgere al termine, il management culturale non può permettersi il lusso di semplificare e attenersi ad approcci generalizzanti. Non è un’evoluzione semplice, considerato che le caratteristiche stesse sul quale le legislazioni si fondano sono l’uguaglianza e l’univocità della fattispecie. Il manager culturale si trova oggi costretto a entrare nella testa del legislatore, deve trasformarsi in giurista e raccapezzarsi tra commissariamenti, codici frammentati e norme cavillose. Si rendono quindi necessari nuovi strumenti legislativi, caratterizzati da una maggior flessibilità e differenziazione e passibili di interpretazione. Una certa autonomia è quindi auspicabile, ma ciò non significa che il settore pubblico possa essere un nuovo, ignavo, Ponzio Pilato. Da più parti è stata criticata la voracità dello Stato che, se da un lato propone deleghe e autonomie nella gestione delle (scarse) risorse dall’altro tende a fagocitare il sistema attraverso una serie infinita di paletti e vincoli che limitano il lavoro dei professionisti.
Altro argomento di discussione è stata la constatazione del persistere di determinati provincialismi e commistioni con la politica che altro non producono se non la replica di un modello clientelare basato, ancora troppo spesso, sulle preferenze e non sulle competenze. Inoltre le politiche culturali sono in ritardo rispetto alla società: ne è prova il fatto che ancora non si siano rese conto che, per una buona fetta dei cittadini, l’arte contemporanea è diventata una passione e che pertanto andrebbe sostenuta e seguita con particolare attenzione. L’azione politica è caratterizzata da cicli brevi che si contraddistinguono attraverso sensazionaliste sequenze spot; diversamente la gestione culturale, per ottenere risultati validi, sia dal punto di vista produttivo sia da quello - sacrosanto - educativo, deve essere lungimirante e protesa alla programmazione sul lungo periodo. Durante il convegno qualcuno ha parlato del bisogno di avere “pensieri lunghi” e personalmente credo che si tratti di uno dei concetti più importanti tra quelli emersi, pur nella disarmante semplicità.
All’unanimità è stato condiviso anche lo spauracchio per altre due bestie nere che affligono il sistema nazionale e che riguardano i settori della formazione del personale e della valorizzazione delle risorse umane; anche se, a ben vedere, si tratta di due facce della stessa medaglia.
Tra le carenze dell’italianità spiccano la scarsa mobilità e la quasi totale assenza di formazione continua: senza il confronto e la crescita professionale il sistema tende al suicidio organizzativo. È necessario investire sul lungo periodo permettendo al personale di formarsi al di fuori delle istituzioni nelle quali opera. Soprattutto è indispensabile far spazio alle nuove competenze, rappresentate in prima istanza dai giovani che sono tanti, preparati e volonterosi. Il cambiamento e l’innovazione non possono generarsi nella staticità. La turnazione del personale e il rinnovo generazionale non sono un lusso: senza questi presupposti l’universo delle possibilità è ridotto e viene osservato costantemente attraverso lenti che distorcono. La rigidità degli schemi reiterati deve lasciar posto alle variabili dipendenti e il lavoro deve essere considerato una di queste. Emiliano Paoletti e Valter Vergnano si sono anche permessi di andare oltre e di parlare di condivisione della mission e coinvolgimento del capitale umano: prima di pensare a valorizzare le risorse umane bisognerebbe imparare a conoscere e rispettare gli individui con i quali si lavora.
A proposito di gestione del personale è capillarmente diffuso il problema del sott’organico, ma non si può pensare di fronteggiarlo senza una rivoluzione dei ruoli; “pochi ma buoni” dovrebbe essere il motto da adottare, preso atto che in questo momento storico la carenza di personale continua a caratterizzare il sistema.
Tutti questi argomenti - e molti altri - sono venuti alla luce durante le sessioni di Artlab - non che prima fossero sconosciuti - ma nella realtà dei fatti la rosa dei relatori altro non è stata che lo specchio di quanto affermato. Non c’è illuminismo in un convegno di maschi, bianchi, sessantenni, statici, nella maggior parte figli di scelte politiche che sproloquiano lodando la mobilità e gli investimenti in risorse umane: c’è ipocrisia! Che Michele Trimarchi sostenga che gli studenti che collezionano titoli di studio post universitari trovino lavoro qualora siano “bravi e volenterosi” è una banalità tale che sorge spontaneo domandarci se negli atenei bolognesi non si leggano i giornali.
Tra i relatori: pochi i giovani (per lo più brillanti), rari gli stranieri e vergognoso il numero delle donne (circa un terzo degli intervenuti). Ancora non è chiaro il motivo per cui le donne nel settore culturale siano relegate in maggioranza al lavoro negli uffici stampa e promozione che, per quanto fulcri dell’attività strategica, non possono rappresentare un’univoca possibilità.
Artlab si è quindi confermato specchio del sistema, senza ipocrisie si è rivelato un arcipelago attorno al quale far ruotare una serie di temi attuali. Sicuramente è l’occasione di incontro e di dialogo tra diversi settori; innescare livelli di ascolto può comunque portare conseguenze positive nonché contribuire alla formazione di un network oggi indispensabile.
Il target di riferimento è sicuramente stato centrato: operatori del settore culturale che già lavorano e che del management culturale non hanno quasi nozioni.
Per tutto coloro che - probabilmente giovani e donne - hanno già investito in una formazione d’eccellenza, Artlab si rivela superfluo presentando modelli che dovrebbero già essere assodati, ma che purtroppo in Italia risultano ancora all’avanguardia.
Mi piace concludere con un’amara citazione di Andrea Bellini, riferita all’arte contemporanea, ma che credo si possa ben estendere al resto del settore: “Siamo seduti su una miniera e non sappiamo che farcene”.
Artlab: dialoghi intorno al management culturale
Il 26 e 27 settembre si è svolta la terza edizione di Artlab, momento di incontro per operatori, manager e politici che, con fatica e passione, operano nel settore culturale.
L’evento, organizzato dalla Fondazione Fitzcarraldo di Torino con il sostegno della Regione Piemonte, quest’anno ha superato se stesso: oltre 400 partecipanti, di cui circa 250 iscritti e un centinaio di relatori, hanno preso parte alla “due giorni torinese”, ospitati nella Casa del Teatro Ragazzi e Giovani. Tema dell’edizione 2008: l’innovazione, sviluppato in una prima giornata di sessioni plenarie alternate a sedute parallele e in una seconda giornata organizzata in seminari. Una vera e propria maratona di racconti, punti di vista, dibattiti.
Personalmente, durante la seconda giornata ho saltellato da un seminario all’altro per cogliere l’aspetto collettivo e le dinamiche di gruppo, estrapolare suggestioni, ascoltare frasi, riflessioni e proposte spontanee scaturite in seno ai diversi discussant groups. Mi sono anche permessa di girare tra i tavoli del buffet allestito durante la pausa pranzo per cogliere i commenti dei partecipanti e domandarne l’opinione. Ebbene, l’entusiasmo che ho rilevato mi ha colpito: nessun deluso, poche critiche e tanta soddisfazione caratterizzavano gli umori dei miei “intervistati”. I relatori, dal canto loro, sciorinavano lodi - durante i propri interventi e nei momenti meno istituzionali - sottolineando come Artlab rappresenti un caso unico in Italia e come sappia radunare eccellenze diverse. Meno male, finalmente un po’ di ottimismo, considerato che buona parte degli interventi in aula sono stati caratterizzati da piagnistei e lamentele.
Il paradosso di Artlab è stato proprio questo: una serie di relatori presentati come esempi di buona gestione e modelli di riferimento che hanno trascorso buona parte del tempo a fare l’elenco di ciò che non funziona. Se i grandi si lamentano chissà quale atteggiamento dovrebbe caratterizzare i piccoli… ma forse i piccoli non hanno tempo per compiangersi, impegnati come sono a tirarsi su le maniche!
Ad Artlab si sono incontrati i primati del settore culturale italiano, colonne portarti di un sistema sbilenco, che però non hanno saputo essere realmente innovativi. L’innovazione promessa dal convegno è stata la grande assente: somministrare una serie di buoni esempi non significa fornire le risposte alle numerose domande che caratterizzano il nostro settore. Inoltre una sorta di narcisismo competitivo ha aleggiato un po’ ovunque: diversi gli “sbrodoloni” bravi a intessere le lodi del vicino a ad autocelebrarsi; in molti hanno invitato gli astanti a far proprio il motto “sbagliando si impara” ma nessuno ha raccontato i propri errori. Le difficoltà paiono sempre cadere dall’alto, conseguenza di catastrofi imprevedibili o di politiche che si accaniscono sullo sventurato operatore culturale. Ma chi sbaglia, dove sbaglia? E come si può imparare dagli errori?
Sicuramente, a colpi di lodi e piagnistei, sono venute fuori le caratteristiche del sistema italiano: i punti di forza (rari) e le criticità.
Argomento preferito: i tagli alla cultura. Come negarlo? Artkey e altri magazine di settore, nonché i mass media, ne hanno parlato ampiamente; mi permetto quindi di esaurire l’argomento riportando una frase che Roberto Grossi ha condiviso con gli intervenuti ad Artlab: per lavorare “mancano le condizioni materiali: risorse e luoghi prima di tutto. Il taglio è l’assenza totale di un disegno. La cultura fa bene, [senza risorse] i luoghi inesorabilmente diventano avulsi e si arriva al degrado”.
Intanto pare finalmente chiaro ai più che i modelli di management non possono essere importati e che la gestione delle IAC (istituzioni che si occupano di arte e cultura) non si può appiattire sul modello amministrativo delle aziende. In controtendenza con quanto detto a più voce fino un decennio fa, finalmente anche in Italia i modelli di Kotler e Kotler paiono superati, perlomeno nella teoria. Rimangono però attivi da più parti gli approcci alla Florida, con meccanismi paranoici che Luca Zan definisce “sindrome da auditel”; risulta qui necessario precisare che tutti gli intervenuti ad Artlab si sono dichiarati distanti da tali orientamenti che paiono aver attecchito in particolar modo in singole istituzioni, prima nel trevigiano, poi nel bresciano e a macchia sul resto della penisola. In Italia un certo snobbismo intellettuale, per quanto per alcuni aspetti controproducente, ha perlomeno preservato una mentalità che pare essere più orientata alla qualità che alla volgarizzazione numerica. Muovendo da qui, bisognerebbe però comprendere che anche le regole del diritto amministrativo non possono essere calate dall’alto in maniera univoca. Il contesto nel quale ogni IAC si muove è un contesto esclusivo, con caratteristiche che non possono continuare a essere ignorate: l’epoca delle ricette uniche deve volgere al termine, il management culturale non può permettersi il lusso di semplificare e attenersi ad approcci generalizzanti. Non è un’evoluzione semplice, considerato che le caratteristiche stesse sul quale le legislazioni si fondano sono l’uguaglianza e l’univocità della fattispecie. Il manager culturale si trova oggi costretto a entrare nella testa del legislatore, deve trasformarsi in giurista e raccapezzarsi tra commissariamenti, codici frammentati e norme cavillose. Si rendono quindi necessari nuovi strumenti legislativi, caratterizzati da una maggior flessibilità e differenziazione e passibili di interpretazione. Una certa autonomia è quindi auspicabile, ma ciò non significa che il settore pubblico possa essere un nuovo, ignavo, Ponzio Pilato. Da più parti è stata criticata la voracità dello Stato che, se da un lato propone deleghe e autonomie nella gestione delle (scarse) risorse dall’altro tende a fagocitare il sistema attraverso una serie infinita di paletti e vincoli che limitano il lavoro dei professionisti.
Altro argomento di discussione è stata la constatazione del persistere di determinati provincialismi e commistioni con la politica che altro non producono se non la replica di un modello clientelare basato, ancora troppo spesso, sulle preferenze e non sulle competenze. Inoltre le politiche culturali sono in ritardo rispetto alla società: ne è prova il fatto che ancora non si siano rese conto che, per una buona fetta dei cittadini, l’arte contemporanea è diventata una passione e che pertanto andrebbe sostenuta e seguita con particolare attenzione. L’azione politica è caratterizzata da cicli brevi che si contraddistinguono attraverso sensazionaliste sequenze spot; diversamente la gestione culturale, per ottenere risultati validi, sia dal punto di vista produttivo sia da quello - sacrosanto - educativo, deve essere lungimirante e protesa alla programmazione sul lungo periodo. Durante il convegno qualcuno ha parlato del bisogno di avere “pensieri lunghi” e personalmente credo che si tratti di uno dei concetti più importanti tra quelli emersi, pur nella disarmante semplicità.
All’unanimità è stato condiviso anche lo spauracchio per altre due bestie nere che affligono il sistema nazionale e che riguardano i settori della formazione del personale e della valorizzazione delle risorse umane; anche se, a ben vedere, si tratta di due facce della stessa medaglia.
Tra le carenze dell’italianità spiccano la scarsa mobilità e la quasi totale assenza di formazione continua: senza il confronto e la crescita professionale il sistema tende al suicidio organizzativo. È necessario investire sul lungo periodo permettendo al personale di formarsi al di fuori delle istituzioni nelle quali opera. Soprattutto è indispensabile far spazio alle nuove competenze, rappresentate in prima istanza dai giovani che sono tanti, preparati e volonterosi. Il cambiamento e l’innovazione non possono generarsi nella staticità. La turnazione del personale e il rinnovo generazionale non sono un lusso: senza questi presupposti l’universo delle possibilità è ridotto e viene osservato costantemente attraverso lenti che distorcono. La rigidità degli schemi reiterati deve lasciar posto alle variabili dipendenti e il lavoro deve essere considerato una di queste. Emiliano Paoletti e Valter Vergnano si sono anche permessi di andare oltre e di parlare di condivisione della mission e coinvolgimento del capitale umano: prima di pensare a valorizzare le risorse umane bisognerebbe imparare a conoscere e rispettare gli individui con i quali si lavora.
A proposito di gestione del personale è capillarmente diffuso il problema del sott’organico, ma non si può pensare di fronteggiarlo senza una rivoluzione dei ruoli; “pochi ma buoni” dovrebbe essere il motto da adottare, preso atto che in questo momento storico la carenza di personale continua a caratterizzare il sistema.
Tutti questi argomenti - e molti altri - sono venuti alla luce durante le sessioni di Artlab - non che prima fossero sconosciuti - ma nella realtà dei fatti la rosa dei relatori altro non è stata che lo specchio di quanto affermato. Non c’è illuminismo in un convegno di maschi, bianchi, sessantenni, statici, nella maggior parte figli di scelte politiche che sproloquiano lodando la mobilità e gli investimenti in risorse umane: c’è ipocrisia! Che Michele Trimarchi sostenga che gli studenti che collezionano titoli di studio post universitari trovino lavoro qualora siano “bravi e volenterosi” è una banalità tale che sorge spontaneo domandarci se negli atenei bolognesi non si leggano i giornali.
Tra i relatori: pochi i giovani (per lo più brillanti), rari gli stranieri e vergognoso il numero delle donne (circa un terzo degli intervenuti). Ancora non è chiaro il motivo per cui le donne nel settore culturale siano relegate in maggioranza al lavoro negli uffici stampa e promozione che, per quanto fulcri dell’attività strategica, non possono rappresentare un’univoca possibilità.
Artlab si è quindi confermato specchio del sistema, senza ipocrisie si è rivelato un arcipelago attorno al quale far ruotare una serie di temi attuali. Sicuramente è l’occasione di incontro e di dialogo tra diversi settori; innescare livelli di ascolto può comunque portare conseguenze positive nonché contribuire alla formazione di un network oggi indispensabile.
Il target di riferimento è sicuramente stato centrato: operatori del settore culturale che già lavorano e che del management culturale non hanno quasi nozioni.
Per tutto coloro che - probabilmente giovani e donne - hanno già investito in una formazione d’eccellenza, Artlab si rivela superfluo presentando modelli che dovrebbero già essere assodati, ma che purtroppo in Italia risultano ancora all’avanguardia.
Mi piace concludere con un’amara citazione di Andrea Bellini, riferita all’arte contemporanea, ma che credo si possa ben estendere al resto del settore: “Siamo seduti su una miniera e non sappiamo che farcene”.
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