
Nell’anno delle celebrazioni dedicate a Samuel Beckett (1906-1989), Franco Branciaroli propone uno degli indiscussi capolavori del premio nobel: Finale di partita.
Il pubblico che nel 1957 assistette alla prima rappresentazione rimase frastornato e la criticò duramente. Diversamente ieri sera gli applausi sono stati consistenti e lunghissimi, più volte gli attori sono rientrati in scena per un ultimo saluto.
Un testo impegnativo presentato con agile delicatezza, scenografie essenziali e allo stesso tempo dettagliate per ricreare uno scenario post atomico. In una stanza quasi asettica, illuminata da luci psichedeliche, plastificata, completamente innaturale e sghemba, ma non per questo fittizia, i personaggi, ora aguzzini ora vittime, strascicano ostinati un’esistenza illogica.
Tre anni prima di dar luce a Finale di partita, Beckett concluse il suo Testi per nulla con un lapidario: “Non posso continuare, devo continuare”. Questa impotenza irrazionale, volontà stoica di dare un senso compiuto a una realtà illogica, esplode nelle azioni dei quattro personaggi che comunicano che non esiste nulla da comunicare. Di fronte a una palese disgregazione della propria identità, più urgente si fa il bisogno di dare consistenza a se stessi e al mondo. Beckett inscena una situazione in bilico tra il tragico e il comico, nella quale si muovono personaggi che rifiutano l’uso di un linguaggio razionale consequenziale e che generano un processo autodistruttivo nel quale indispensabile diviene la presenza dell’altro. I diversi interventi, botta e risposta, sono legati tra loro da emozioni, stati d’animo che si alternano in un girotondo sbilenco, grottesco. Azioni e neg-azioni servono semplicemente a rimandare il termine di un’esistenza invalida e invalidante. I quattro, simbolo (e forse ultimi rappresentanti) di un’umanità deforme fisicamente e mentalmente, incapaci di immaginare un futuro, vegetano punzecchiandosi a vicenda, in un mondo nel quale si può morire d’oscurità.

Beckett lascia spiragli aperti e Branciaroli non è da meno, sporcando il fazzoletto di Hamm di sangue a foggia di sindone, sudario di chi avrebbe portato il peso dell’umanità.
Infine una chicca: l’Hamm di Branciaroli parla con un umoristico accento francese, onore al bilinguismo beckettiano, che qui rende ancora più tragica la situazione, accentuandone la dolorosa comicità e rendendo il testo più fruibile.
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