Primitivismo e Novecento alla Fondazione Beyeler

Mettete insieme epici esemplari di arte etnografica e alcuni tra le maggiori opere di artisti del Novecento e otterrete una delle tante mostre che recentemente hanno presentato similitudini e affinità artistiche tra l'arte etno e l'arte europea e statunitense. Ebbene, a Basilea, negli spazi della Fondazione Beyeler diretta dell'ex mister ArtBasel Samuel Keller, è appena stata inaugurata “La magia delle immagini. L'Africa, l'Oceania e l'arte moderna”, una grande retrospettiva sull'arte africana e oceanica quale musa ispiratrice di tanti capolavori moderni. Eppure la mostra di Basilea si differenzia sostanzialmente da quante l'hanno preceduta, aggiunge quel quid in più che deriva da diversi fattori. In primis: parte delle opere esposte provengono dalla collezione personale di Ernst Beyeler, che a partire dagli anni Cinquanta, si dedicò con passione e competenza a quel collezionismo che iniziò ad andare di moda un ventennio dopo; Beyeler fu tra i primi a sorprendersi e a riconoscere il legame tra il promitivismo e l'arte moderna, quel rapporto iconografico basato sulla scoperta dell'alterità quale musa ispiratrice. Attraverso le similitudini e lo studio appassionato, gli artisti europei seppero attingere a piene mani dall'affascinante incontro di creativi sconosciuti. Il percorso espositivo che la fondazione svizzera ci offre è basato proprio su questo viaggio ideale, inteso come ricerca, che gli artisti occidentali fecero. L'accostamento con l'arte etnica ci permette, probabilmente per la prima volta, di cogliere la forza delle opere che pensiamo di conoscere: da Van Gogh a Rothko, passando per Giacometti e Mondrian. E ancora: Monet, Picasso, Klee, Matisse, Miró, Brancusi...
Statue, maschere e utensili provenienti da 80 collezioni diverse (pubbliche e private) eccezionalmente insieme accompagnano il visitatore lungo un allestimento suddiviso in dieci nuclei tematici dedicati all’Africa e sei relativi all’Oceania alla scoperta tanto delle opere etniche quanto della storia dell’arte della prima metà del Novecento.

“The Blue Planet” l'opera ecologista di Peter Greenaway a Roma

Andrà in scena da venerdì sera, in prima mondiale, al Teatro Nazionale di Roma, e già c’è chi urla allo scandalo!
Stiamo parlando dell’opera lirica “The Blue Planet”, ultima fatica del poliedrico Peter Greenaway che porta sul palcoscenico romano il libro della Genesi. Lo spettacolo è andato in scena, in anteprima, a Saragozza, lo scorso agosto, in occasione dell’ExpoAqua. Ma gli Spagnoli sono più fortunati di noi: non hanno San Pietro a pochi chilometri dal Teatro Nazionale!
Quello di Greenaway è, come egli stesso l’ha definito “un requiem laico” ideato e diretto assieme a Saskia Boddeke, compagna nella vita e nell’arte, e commisionato dal Teatro dell'Opera di Roma in collaborazione con Change Performing Arts, Elsinor Barcelona, i Teatri e i Musei Civici di Reggio Emilia e CRT Artificio di Milano.
La storia è quella del diluvio universale, ma questa volta Noè è un egoista dedito all’alcool che pensa a mettersi in salvo senza preoccuparsi del prossimo. Interpretato da Moni Ovadia, il Noè del pianeta blu, si muove tra scenari multimediali e mette in scena un apocalittico cataclisma contemporaneo, i cui temi sono l’ecologia e le tecnologie. La scenografia infatti è un mix di sapiente mescolanza di elementi scenici più tradizionali (a cura di Italo Rota) e di tecnologie digitali (elaborate in Second Life da Luca Lisci per 2ndK, uno studio milanese specializzato in realizzazione di metaversi). Realtà virtuale a teatro, dunque, in un mix condito da una colonna sonora scritta nientepopodimeno che da Goran Brecovic.
E, al di là degli ingredienti scenografici, l’opera di Greenaway e Boddeke mette in tavola un racconto sul rapporto uomo-divinità che conduce a una riflessione sull’ecologia e sul futuro del nostro pianeta. E, affidandosi alla realtà virtuale per parlarci della Bibbia, attraverso la voce di dio (Maria Pilar Perez Aspa) e tre maxischermi sospesi sopra un palcoscenico che è in parte occupato da una piscina, la coppia di drammaturghi esprime una profetica denuncia: quella di un sovvertimento ecologico provocato dalla scelleratezza umana. Dichiara alla stampa la coppia di registi: “Come sempre, l'educazione è la chiave di tutto. Se non pensi che una cosa è rotta, non troverai mai l'energia per aggiustarla”.

Il secondo uomo più ricco del mondo colleziona arte e si compra il New York Times


C’è un binomio indissolubile che, da sempre, lega il potere al mecenatismo e che rende l’arte un po’ meno ideale di quello che i veri filantropi vorrebbero. L’arte necessita di soldi e i soldi, si sa, ne inquinano l’aura. Negli ultimi anni, quello che fu appannaggio di sovrani e pontefici pare essere diventato prerogativa di uomini d’affari e speculatori. Il discorso potrebbe essere lungo e seguire il tragitto dei viadotti del gas sovietico, piuttosto che infilarsi nelle borsette da signora da 2.500 dollari per finire, transitando su auto di lusso, nella buca di un campo da golf del nord-europa.
Le aziende del XXI secolo, per guadagnarsi il necessario favore dei sostenitori, quanto per zittire le coscienze dei soliti scocciatori che tengono troppo all’ecologia, agli animali e alle condizioni dei lavoratori, sono costrette a investire parte del proprio capitale in attività di “corporate social responsibility”. E poi c’è qualcuno che, tra una investimento e una speculazione, può darsi sviluppi davvero un amore viscerale per la cultura, o forse, in questo caso, la coscienza da far tacere è la propria. Vada come vada, al mondo ci sono alcuni ricconi dai trascorsi non sempre limpidi che, in un modo o nell’altro, investono in arte: aprono gallerie, musei e collezionano le opere più eccentriche. E per il terzo settore, sempre più esigente e pertanto sempre più bisognoso, certe attenzioni sono manna dal cielo; in fondo a caval donato non si guarda in bocca.
Dall’altra parte dell’emisfero c’è l’Ingeneiro, un uomo tanto ricco da essersi posizionato, un paio d’anni fa al primo posto nella Forbes List dei miliardari, superando, dopo una pole position durata oltre 10 anni, il collega Bill Gates. E la cosa divertente è che, fino a quel momento, in pochissimi avevano sentito parlare di lui. Attualmente al secondo posto della Forbes List, messicano, ma di origine mediorientale, nato povero e vero self made man, si chiama Carlos Slim Helu e ha quasi settant’anni. Il suo impero poggia sui solidi pilastri delle telecomunicazioni: assieme ad altri partner (quasi nessuna persona fisica, però!) gestisce la Telmex, il colosso della telefonia fissa messicana e la Telcel, società gemella per la telefonia mobile. E oltre i confini del Mexico, Carlos Slim è protagonista indiscusso della telefonia mobile di tutta l’America Latina, di cui controlla il 73% delle azioni. Nel 2007 l’impresario cercò anche di comprare alcune quote che gli avrebbero permesso la scalata di Telecom Italia, ma l’affare non fu concluso. Si sarà consolato con altri “possedimenti”: banche, ristoranti, industria del tabacco e una quota sociale dell’informatica Apple assicurano comunque ingenti rendite patrimoniali.
Di animo mite - almeno così lo descrivono, anche se a noi piace immaginarlo come un tranquillo squalo che senza fretta si sposta negli abissi della finanza -, profondamente legato alla famiglia, abitudinario, conduce una vita senza particolari eccessi maniacali o capricci ossessivi caratteristici di chi si può permettere qualsiasi vizio. E nel silenzio si è sempre mosso, curando i rapporti con gli altri imprenditori e con gli esponenti politici locali. Ma non solo: numerose sono le relazioni con personalità del mondo della cultura. Amico di Gabriel Garçia Marquez e di Carlos Fuentes, Carlos Slim decide di investire anche in cultura e di sostenere una serie di attività il cui fiore all’occchiello è il museo Soumaya (dal nome della defunta consorte) nella quale è esposta la collezione che, anno dopo anno, Slim ha messo in piedi.
In questo momento, per esempio, il museo offre ai suoi visitatori “Del mito al sueño. Rodin… Dalì” (Dal mito al sogno. Rodin… Dalì) una mostra nella quale si possono ammirare capolavori di Auguste Rodin, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Émile-Antoine Bourdelle, Giorgio de Chirico e Salvador Dalí.
Inoltre, numerose azioni culturali ed educative vengono svolte dalla Fundación Carlos Slim e dalla Fundación Telmex, nonché dalla Fundación del Centro Histórico de la Ciudad de México e dal Centro de Estudios de Historia de México Carso.
Ebbene, l’ultima impresa dell’Ingeneiro, legata tanto al mondo della cultura quanto a quello dell’imprenditoria e della comunicazione è la scalata alla vetta del New York Times. Attraverso un’emissione di bond dal valore di 250 milioni di dollari, Carlos Slim dovrebbe, se tutto va come auspicato, arrivare a detenere, nel giro di pochi anni, il 18% del capitale del quotidiano. Slim diverrebbe il terzo socio del New York Times, affiancandosi nella gestione all’hedge fund Harbinger e alla famiglia Ochs-Sulzberger, che da oltre un secolo controlla il board della società. L’investimento ha catalizzato l’attenzione della finanza mondiale, sia per la singolarità e la delicatezza della questione, sia perché investire oggi in un quotidiano pare molto più azzardato che redditizio. L’editoria infatti attraversa mari in tempesta, vuoi a causa della crisi globale che diminuisce la disponibilità degli inserzionisti, vuoi per via della predisposizione alla lettura, drasticamente diminuita nell’era di internet e dei free magazine. Il N.Y. Times si trova, come molte altre testate, in un momento di crisi di liquidità, pertanto un socio come Slim non può che essere benvenuto. A maggior ragione perché il Messicano ha dichiarato di non essere interessato a ricoprire incarichi manageriali o a partecipare attivamente alla gestione della società: il suo fine è semplicemente guadagnare e il giornale rappresenta un investimento come un altro. Inoltre la nuova attività rappresenta un mezzo per divenire popolare anche nell’America del nord; affrancando, oltretutto, il proprio nome dagli scandali passati relativi a presunte relazioni sospette con leader politici messicani. E considerato l’intuito per gli affari dimostrato da Slim, chissà che il settore editoriale americano non sia in via di ripresa…

Carolyn Christov-Bakargev, regina dell'arte contemporanea

Prima di Natale era stato annunciato il cambio della guardia alla direzione del Castello di Rivoli e ora la direttrice ad interim, Carolyn Christov-Bakargev, in una lunga intervista su Repubblica.it espone il programma dei prossimi mesi. Christov-Bakargev è stata capo curatore del Museo di Rivoli dal 2002, prima aveva lavorato a New York, al P.s.1 e ricoperto importanti incarichi in diverse istituzioni, tanto che la sua competenza è stata premiata più volte. La scorsa estate è stata curatrice della Biennale di Sidney e dal prossimo autunno sarà il primo direttore artistico donna di Documenta, a Kassel, la cui tredicesima edizione si svolgerà nel 2012. Raggiungo l’Olimpo dell’arte contemporanea, Carolyn Christov-Bakargev lavora con passione e tenacia e propone un programma di tutto rispetto per i prossimi mesi del Museo torinese.
Rivoli aderirà al San Valentino dell’arte, la mobilitazione del mondo della cultura prevista per il 14 febbraio; in quest’occasione uno speciale orario di fruizione serale sarà dedicato ai giovani. Il progetto sottolinea, una volta ancora, quanto il Dipartimento Edu del Castello sappia essere all’avanguardia: non solo progetti per i più piccini e per le famiglie, recentemente anche progetti per i diversamente abili e ora una particolare attenzione sarà dedicata a un nuovo target di pubblico, solitamente trascurato dai programmi istituzionali.
A marzo poi una mostra su Thomas Ruff, seguirà un’esposizione sull’arte cinetica e poi il ciclo “Che fare?” fortemente voluto dalla direttrice temporanea. Ispirandosi a Mario Merz, in un momento in cui le domande si fanno pesanti e le risposte scarseggiano, Carolyn Christov-Bakargev ha ideato un progetto trasversale sull’arte contemporanea ricco di dibattiti, incontri e momenti di attenta riflessione. Proprio dal lavoro di Merz è nato anche il progetto che ha permesso a Christov-Bakargev di essere selezionata per Documenta, selezionata tra una rosa di candidati altrettanto validi, ha convinto la commissione presentando un progetto concreto quanto attento alle dinamiche socioeconomiche che attraversano il panorama dell’arte.
Intanto, con i piedi ben piantati per terra, Carolyn promette ai fruitori del Castello di Rivoli di rendere più accessibile il luogo anche attraverso l’ideazione di un nuovo sito internet, più adatto alle esigenze di un museo all’avanguardia. Non possiamo che essere entusiasti di tanto pragmatismo, considerato che, nell’era di Facebook e Wikipedia, il sito del Castello di Rivoli resta uno dei più incompleti e desolanti siti internet dedicati a un’istituzione contemporanea.

Pregare davanti a Bill Viola

Succede nella City inglese ed è subito la notizia del momento: la Cattedrale di St. Paul incarica un artista contemporaneo di creare un “media project” per allestire i propri interni. E questo è il resto.E, ovviamente non sceglie un artista qualunque, ma il Michelangelo dei nostri tempi, in grado di interpretare, con le tecnologie più moderne, la sofferenza dell’umanità: Bill Viola.
L’americano interpreterà il messaggio divino attraverso due installazioni permanenti che saranno le prime pale d’altare video della storia.
D'altronde negli ultimi anni le committenze ecclesiastiche che si rivolgono ad artisti contemporanei si sono moltiplicate, tanto da giustificare un Padiglione del Vaticano alla prossima Biennale di Venezia, nonché premi e manifestazioni per celebrare (e il caso di dirlo) l’arte sacra.
Viola si è dichiarato un po’ intimidito dal compito, considerato che si tratterà di un lavoro permanente in una delle chiese più importanti del mondo, diverso quindi da ogni sua opera precedente. Già nel 1996 l’artista lavorò a un progetto simile, “The messenger”: esposto temporaneamente nella Cattedrale di Durham, il video rappresenta un uomo che fluttua nell’acqua. Il film è attualmente in mostra presso l’Haunch of Venison di Berlino, in occasione della retrospettiva su Viola (9 gennaio - 21 febbraio).

Premio Emerging Talents: vincono Luca Trevisani e Rossella Biscotti

Si chiama Emergine Talents il nuovo premio ideato dalla Fondazione Palazzo Strozzi e dal Centro di Cultura Contemporanea Strozzina e offre, ai vincitori la possibilità di seguire un periodo di ricerca all’estero sotto forma di residenza d’artista. 25 i nomi dei giovani artisti in lizza e una giuria d’eccezione: Rudolf Frieling (curatore del San Francisco MoMA), Jan Boelen (direttore del centro di arte contemporanea Z33, Belgio), Hubertus Gassner (direttore della Kunsthalle Amburgo), Cornelia Grassi (Galleria GreenGrassi di Londra) e Kathrin Becker (direttore del Videoforum Neuer Berliner Kunstverein); inoltre Franziska Nori (project director del CCCS), Heiner Holtappels (direttore del Netherlands Media Art Institute/Montevideo di Amsterdam) e Christoph Tannert (direttore del Künstlerhaus Bethanien di Berlino). E, se non bastasse, il comitato di selezione era composto da Andrea Bellini, Luca Cerizza, Caroline Corbetta, Andrea Lissoni e Paolo Parisi.
Ebbene, ad aggiudicarsi i premi sono stati il veronese Luca Trevisani che soggiornerà al Netherlands Media Art Institute Montevideo di Amsterdam e la barese Rossella Biscotti, attesa alla Künstlerhaus Bethanien di Berlino. E pensare che, attualmente Trevisani lavora a Berlino e Biscotti nei Paesi Bassi!
La giuria ha così motivato la propria scelta: “Nel caso di Rossella Biscotti è stata riconosciuta la capacità di un’originale indagine sul tema della memoria tramite l’utilizzo di diverse tecniche e media, dal video alla fotografia fino alla dimensione acustica. È stato particolarmente apprezzato il talento dell’artista pugliese nel saper combinare una propria dimensione personale e autobiografica con fonti che mettono in gioco tematiche e soggetti condivisi e di carattere pubblico. La scelta di Luca Trevisani è stata compiuta, invece, nella volontà di dare sostegno ad un artista che, sebbene abbia già ricevuto importanti riconoscimenti, mostra un potenziale di crescita ancora da esaltare e coltivare. In particolare, è stato riconosciuto il merito di saper combinare una decisa attitudine scultorea a un grande talento nell’uso della tecnica video, all’interno di una ricerca dedicata allo studio della sperimentazione e della trasformazione dei materiali. Pur nella loro diversità, entrambi gli artisti vincitori si sono distinti per la capacità di catturare lo spettatore attraverso un linguaggio raffinato, consapevole e ben strutturato”.

Intervista a Silvia Evangelisti

(articolo pubblicato su Artkey n°8 - gennaio/febbraio 2009)

Avrà luogo dal 23 al 26 gennaio la 33ª edizione di Arte Fiera | Art First Bologna, appuntamento imperdibile per gli appassionati e i professionisti dell’arte moderna e contemporanea. Successo dopo successo, edizione dopo edizione, Arte Fiera si conferma la Fiera italiana più interessante, in grado di indirizzare le anticipazioni dei gusti e di confermare le tendenze in atto. Diventa così anche un prezioso indicatore per comprendere gli andamenti di un mercato oggi più che mai disordinato. Ho intervistato la direttrice artistica della Fiera, Silvia Evangelisti.

Susanna Sara Mandice: Arte Fiera quest’anno presenta un nuovo allestimento dal taglio quasi museale. La Fiera sarà ancora più elegante, unendo alla qualità delle gallerie selezionate, anche una qualità degli spazi che accoglieranno il pubblico. Vuole presentare ai nostri lettori questo progetto?
Silvia Evangelisti:
Già da qualche anno Arte Fiera ha rinnovato gli spazi espositivi scegliendo un layout elegante e dal taglio museale.
La scelta di impegnarci per un miglioramento della qualità degli spazi non è stata dettata tanto da ragioni, diciamo, estetiche, ma soprattutto dalla consapevolezza di ciò che una fiera d’arte comporta: pur essendo un evento commerciale, una fiera non può né deve prescindere dal valore culturale di ciò che propone e dunque è necessario che gli spazi espositivi siano degni delle opere d’arte che ospitano. Sia i collezionisti che gli appassionati d’arte devono poter godere della vista delle opere in un ambiente spazioso e confortevole, oltre che elegante. Quest'anno completiamo il progetto con un nuovo allestimento e una nuova location: i padiglioni di Arte Fiera 2009 saranno tre (fino a ora erano quattro), tutti collocati allo stesso livello e intercomunicanti tra loro attraverso ampi e luminosi corridoi. I nuovi padiglioni, inoltre, offrono l’opportunità di un layout più razionale e “duttile”, poiché non hanno pilastri interni. Con l’occasione del trasferimento, rinnoveremo anche gli spazi di sosta e di intrattenimento: a una nuova e ampia Vip Lounge si affiancano (oltre ai bar e ristoranti tradizionali) una champagneria della Laurent Perrier e un ristorante del famoso chef Uliassi.
Insomma cerchiamo di rendere più confortevole possibile la visita ad Arte Fiera.
S.S.M. Arte Fiera è la prima Fiera italiana, dal punto di vista storico, qualitativo e organizzativo. Uno dei suoi punti forza è sicuramente il legame con il territorio e con gli stakeholder. Come si sviluppano, nel tempo, progetti di riconoscimento reciproco? Quali saranno gli eventi di Arte Fiera Off 2009?
S.E.
Arte Fiera è una delle prime fiere d’arte nate al mondo e, negli anni, ha consolidato il proprio ruolo di vetrina internazionale per l’arte italiana e mondiale. Ma una fiera ha, oggi, necessità di avere un’identità forte, riconoscibile, per confrontarsi con le molte manifestazioni analoghe che sono sorte in tutto il mondo. Il rapporto stretto con il territorio, in particolare con la città di Bologna, è uno dei punti di differenziazione di Arte Fiera rispetto alle altre fiere d’arte. Su questo abbiamo molto puntato e, dal 2006, abbiamo “istituzionalizzato” questo rapporto con l’iniziativa Bologna Art First, che porta per un mese l’arte contemporanea dentro i musei, le piazze, le biblioteche e i palazzi di Bologna.
La città ha risposto subito con entusiasmo e, da quel momento, le iniziative legate all’arte contemporanea hanno cominciato a diffondersi in tutta la città in modo quasi spontaneo. Come se Bologna non aspettasse altro che un’occasione per animarsi! Per rendere più organica e “fruibile” questa larga offerta di eventi, per l’edizione 2007 abbiamo creato Arte Fiera Off, una sorta di “fuori salone” che riunisce le mille mostre, performances, iniziative, incontri che si tengono a Bologna durante i giorni di Arte Fiera. Sarebbe davvero troppo lungo elencare le molte iniziative di Arte Fiera Off, ma le potrete trovare tutte nel sito di Arte Fiera.
Infine, lo scorso anno, abbiamo organizzato un Arte White Night che ha avuto uno straordinario successo. La strategia è stata, in fondo, solo questa: offrire un’opportunità, un’occasione aperta e di qualità per una festa dell’arte. Il resto lo hanno fatto i bolognesi e i moltissimi visitatori italiani e stranieri.

S.S.M. Durante la Fiera si svolgerà una serie di incontri sul tema del collezionismo d’arte, in partnership con il Gruppo 24 Ore e con la PARC. E ancora il Premio Euromobil, giunto alla sua terza edizione, che premia la giovane arte. La Fiera dà spazio allo stesso tempo ai protagonisti consolidati del panorama artistico e agli emergenti - artisti e galleristi -. Gli uni hanno bisogno degli altri. La Fiera diventa quindi momento di confronto e zona franca nella quale dialogare; come pensa che “vecchi e giovani” possano trarre giovamento dall’incontro reciproco in Fiera? Ritiene che in Italia ci siano altri momenti di scambio cultural-generazionale simili?
S.E.
Sin dalla sua nascita, nel 1974, Arte Fiera si è proposta non solo come una delle più importanti fiere d'arte contemporanea d'Europa, ma anche come straordinario evento culturale, affiancando alla mostra mercato iniziative che sono divenute un punto di riferimento per la cultura contemporanea. Basti ricordare solo alcuni “episodi”, come le importanti mostre dedicate alla fotografia che si sono tenute pressoché continuamente dal 1975 in poi, curate da esperti internazionali, e la storica manifestazione “La performance oggi”, del 1977, che per sei giorni ha visto succedersi, nelle attigue sale della Galleria d’Arte Moderna, i maggiori performers del mondo che presentarono dal vivo, a un pubblico numerosissimo ed affascinato, le loro “azioni”.
E poi, ancora, mostre, incontri con artisti e personalità, convegni e giornate di studio sui più importanti e scottanti temi dell’arte contemporanea cui hanno partecipato artisti di fama internazionale, critici, grandi collezionisti, storici dell’arte e personalità del mondo della cultura e della politica, quali gli stessi ministri per i Beni Culturali.
Questa vocazione culturale di Arte Fiera prosegue e si consolida, nell’edizione 2009, in un programma di incontri e panels che ruotano intorno al tema – cruciale per una fiera d’arte – del collezionismo privato e pubblico nelle sue molteplici forme, moderati da personaggi della cultura. Il programma si articola in quattro incontri che coinvolgeranno critici, curatori e collezionisti internazionali; tra gli incontri, uno è realizzato in collaborazione con il Gruppo 24 Ore, media partner di Arte Fiera, e uno in collaborazione con la PARC, la Direzione generale per l’arte, l’architettura e il paesaggio del Ministero dei Beni Culturali. Ci sarà poi una tavola rotonda curata dal Premio Furla, con la presenza di alcuni importanti curatori internazionali, tra cui Daniel Birnbaum, curatore della prossima Biennale d’Arte di Venezia.
Questi eventi richiamano sempre maggior pubblico, in particolare giovane, che in Italia ha ben poche occasioni di incontrare prestigiose personalità del mondo dell’arte (critici, artisti, curatori, direttori di musei). Anche questo è un problema italiano: non ci sono momenti collettivi dedicati all’arte contemporanea, se si toglie - per certi aspetti - la Biennale di Venezia e, recentemente, l’esperimento del Festival dell’Arte Contemporanea di Faenza.

S.S.M. In questi mesi non si può evitare di parlare di recessione economica. Le difficoltà di questi ultimi anni si sono acutizzate, in ogni settore. La scorsa edizione di Arte Fiera ha avuto un incremento di pubblico e di vendite. Quali sono le previsioni di quest’anno? Come può il sistema dell’arte contemporanea sopravvivere alla crisi dei mercati evitando di diventare un mezzo di mera speculazione?
S.E.
Certamente Arte Fiera ha il gravoso compito di aprire un anno denso di incognite per l’economia mondiale e per il mercato dell’arte. Le fiere di autunno, così come le aste, non sono andate bene e le prospettive date dagli esperti non sono in miglioramento. Nonostante ciò, io non sono troppo pessimista.
Già lo scorso anno Arte Fiera si è aperta in un momento non certo tranquillo: proprio durante l’inaugurazione è caduto il governo; in quei giorni gli Stati Uniti dichiararono lo stato di crisi economica e, qualche giorno prima, eravamo nel pieno della “settimana nera delle borse”. Eppure le vendite non andarono certo male…
Senza sottovalutare l’attuale momento di recessione economica, penso che Arte Fiera possa subire meno disagi di altre fiere, molto glamour e proiettate soprattutto sulle ultime tendenze. Arte Fiera, come Fiac e Arco, è una fiera più “classica” e stabilizzata e dunque credo (e spero) meno esposta al mutevole vento della moda. Inoltre, i collezionisti italiani sono tra i più colti e appassionati e non credo che rinunceranno del tutto agli acquisti, soprattutto ad Arte Fiera che, da sempre, a differenza di altre fiere, offre opere di alta qualità a prezzi contenuti. Certo, c’è da aspettarsi una certa cautela negli acquisti, ma io credo che i collezionisti non rinunceranno a prendere opere che li appassionano, se le troveranno.
D’altra parte, come si sente dire da più parti, dobbiamo cercare di sfruttare il ben poco di positivo che questa crisi economica porta: nell’ambito del mercato dell’arte, ad esempio, dovremmo sfruttare la situazione per ridimensionare quella “bolla” euforica (spesso attivata da investimenti di enti finanziari se non da mere speculazioni che nulla hanno a che vedere con il mercato dell’arte) che ha fatto crescere a dismisura le quotazioni delle opere di certi artisti, che in pochi mesi decuplicavano a volte senza un vero motivo se non quello della moda. Io credo che i “soggetti” intelligenti e solidi del sistema dell’arte (artisti e galleristi) lavoreranno in questo senso, in modo da limitare i danni e sostenere il sistema dell’arte internazionale.

S.S.M. In Gran Bretagna, Francia, Svizzera e Stati Uniti il modello di fiera è opposto al nostro: in pochi giorni, in un unico centro urbano si sviluppano simultaneamente grandi fiere e piccoli eventi. Diversamente, in Italia l’offerta è frammentata e le diverse fiere diventano competitor. Qual è il suo parere? Un modello diverso potrebbe funzionare qui da noi? Oppure il sistema dei campanilismi è più utile al sistema italiano?
S.E.
Personalmente credo che la frammentazione in mille eventi fieristici sia molto negativa per il sistema dell’arte italiano, che già di per sé patisce di grande fragilità e quasi nullo interesse istituzionale. E forse è in questo stato che va ricercata una delle ragioni dell’anomala situazione italiana: nessun tipo di coordinamento, nessuna “gerarchia” qualitativa, nessuna scelta “politica” di pochi e qualificati eventi da valorizzare e promuovere a livello internazionale… Così, ogni città e cittadina italiana vuole organizzare la “sua” fiera (o, spesso, fieretta) creando un panorama estremamente confuso e incomprensibile per i collezionisti italiani e stranieri meno avvertiti. D’altra parte, il sistema dell’arte contemporanea italiano non è in grado di reggere un così folto numero di fiere, che comportano anche una considerevole dispersione di denaro (organizzare una fiera d’arte costa!) che potrebbe essere più utilmente impiegato per creare eventi culturali legati all’arte o migliorare l’offerta dei musei locali. Credo, dunque, che sia necessaria una riorganizzazione e razionalizzazione del “sistema” delle fiere d’arte in Italia.