La casa d'argilla. Danzando con la morte

(articolo pubblicato sul portale www.beniculturalionline.it)

Al teatro Vittoria di Torino andrà in scena (fino al 7 dicembre) La casa d'argilla, per la regia di Lisa Ferlazzo Natoli. Drammaturgia della stessa regista e delle cinque attrici, un lavoro corale completamente femminile. In scena Monica Angrisani, Valentina Curatoli, Tania Garribba, Alice Palazzi e Paola Tintinelli. Scene e costumi a cura di Fabiana Di Marco, musiche di Gabriele Coen e Andrea Pandolfo.
Di fortissimo impatto scenico, luci e suoni praticamente perfetti, coreografie al confine con la sperimentazione del teatro danza, molto curate e pulite. Notevole l'interpretazione di ogni attrice e del gruppo intero che, nella somma di tutte le parti, trova forza lirica impressionante. È un insieme armonioso che colpisce vista e udito, rapendo lo spettatore, il quale però rimane leggermente spaesato. Pubblico quasi stranito: risulta non semplice sbrogliare la matassa di una narrazione eccessivamente indefinita e non abbastanza coinvolgente. Cinque donne si ritrovano attorno a un massiccio tavolo di legno, nella vecchia casa che le ha viste insieme, in un tempo lontano non precisato. Paiono donne di remoti villaggi, sole, attorno al focolare, ricordano, si interrogano, inquiete e smarrite. Personaggi come anime cupe, anche quando ridono, isteriche.
In principio si valuta l’idea di abbattere l’albero genealogico, ormai carico e troppo pesante di ricordi, di fatica. Tutto si sgretola portando a un disgusto tangibile, fisico, straziante. Il tavolo, principale elemento scenografico, funge da spartiacque; attorno ad esso si ruota, balla, canta, si gioca a carte e si piange, si ricorda... E infine al tavolo si torna.

Diversi i salti spaziali e temporali, accentuati da suoni e giochi luminosi che alternano luci calde a freddi bagliori. Predomina il buio: scuri gli abiti e scuro lo spazio, sullo sfondo la proiezione di un albero, scarno, oltre la finestra.
Ad eccezione di tavolo e sedie, tutto è amorfo, i confini non definiti, lo spazio labile.
Canti, gemiti, sussurri… il suono si fonde e le parole perdono significato, quasi non fosse un testo teatrale. La recitazione è musica, anche quando nessuno canta. Le splendide interpreti, ricamatrici del testo, modulano sapientemente le proprie voci e passano da strazianti lamenti a grottesche risate, imitando rumori, versi, scricchiolii, animali lontani. Spesso diversi toni sovrapposti, simili a un coro a cappella, per un testo che risulta piacevole a livello uditivo ma faticoso da seguire. La presenza della morte, all'origine dell'incontro, genera riflessioni, rievoca dolorosi rimpianti mai sopiti, culla nostalgie e fa emergere verità nascoste, un po' troppo prossime a quelle di una trama da soap-opera.

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