Intervista a Samuel Keller

(articolo pubblicato su Artkey n°7 - novembre/dicembre 2008)

Samuel Keller è sicuramente uno dei maggiori esperti di arte contemporanea: è stato direttore di venti edizioni di ArtBasel e da qualche mese dirige la Fondazione Beyeler di Basilea, il più importante museo svizzero di arte contemporanea.
La Fondazione opera come un museo privato nel quale vengono organizzate importanti eventi e mostre, in corso in questo momento una grande esposizione su Venezia. Inoltre collabora con importanti musei internazionali, tra i quali il Metropolitan, il MoMA, il Guggenheim, il Centre Pompidou e il Prado. Per un’istituzione di questo tipo le pubbliche relazioni sono imprescindibili, pertanto una figura come quella di Keller si rivela fondamentale: profondo conoscitore sel sistema dell'arte contemporana, che ha potuto osservare a lungo da un punto di vista privilegiato, si avvale di un'esclusiva rete di relazioni personali con i protagonisti del sistema. I rapporti con Art Basel non sono comunque conclusi: Keller rimane membro dell’Advisory Board e la Fondazione Beyeler ha un proprio spazio in Fiera.

Susanna Sara Mandice: I musei della contemporaneità sono sempre meno sterili contenitori e sempre più produttori di cultura. La Fondazione Beyeler organizza mostre, incontri, concerti… Quali sono gli ingredienti per attribuire a un museo un ruolo attivo? Samuel Keller: Il ruolo di un museo continua a essere quello di collezionare, mediare, conservare, organizzare mostre e sviluppare la ricerca. Oggigiorno, i musei d’arte si trovano a dover fronteggiare nuove sfide per adempiere a ognuna di queste mansioni e hanno bisogno di adattare i propri saperi per attrarre gli artisti, il mondo dell’arte e il pubblico. La Fondazione Beyeler gioca un ruolo attivo nel creare esperienze artistiche per un pubblico sia locale sia internazionale. Organizziamo importanti mostre sull’Impressionismo, sull’arte moderna e contemporanea. La mostra attuale “Da Canaletto e Turner a Monet” è dedicata a Venezia e al ruolo cruciale che ha avuto nello sviluppo dell’arte moderna. Abbiamo invitato due artisti contemporanei a dialogare con l’arte del passato attraverso nuovi pensieri: Vera Lutter e David Claerbout presentano due progetti correlati alla mostra in corso, rispettivamente “Images from Venice” e “Venice lightboxes”. Talvolta commissioniamo lavori come il grande wall painting di Sarah Morris, presentato l’estate scorsa. Inoltre, collaboriamo con gli artisti nell’organizzazione di performances e lavori di arte pubblica. Gli artisti possono essere chiamati per lavorare alle installazioni della collezione permanente o nelle presentazioni esterne del nostro Museo. Con molti artisti della nostra collezione condividiamo l’interesse e la passione per altre arti: la musica, il cinema, la danza, la letteratura e l’architettura. Di conseguenza presentiamo concerti (di recente abbiamo ospitato i direttori d’orchestra Walter Lewin e Seiji Ozawa), collaboriamo con compagnie di danza, organizziamo proiezioni, letture e conferenze.
Il software di un museo (le mostre e i programmi) è importante quanto l’hardware (la struttura espositiva e la collezione). Il museo ha bisogno di essere vivo. È un luogo di contemplazione e comunicazione. Organizzare mostre ed eventi rappresenta un lato della medaglia; realizzare programmi educativi, pubblicazioni e visite guidate l’altro. La Fondazione Beyeler fa tutto questo e molto di più. Attrarre il pubblico e educarlo all’arte è un processo a lungo termine. Abbiamo programmi per bambini, famiglie, scuole, giovani, neofiti, aziende, disabili, persone che vivono sul territorio e turisti, anziani e collezionisti. Io penso che la chiave sia prendersi cura del pubblico. Questo non significa abbassare i propri standard per essere più popolari, vuol dire piuttosto aiutare il pubblico ad accedere all’arte di qualità.

S.S.M. Vuole anticiparci il programma delle prossime mostre della Fondazione Beyeler? S.K. Quest’anno abbiamo proposto una mostra su Jackson Pollock e i suoi contemporanei intitolata “Action Painting”, seguita da una retrospettiva su Fernand Léger. Dopo la nostra mostra su Venezia presentremo “Visual Encounters - Africa, Oceania and Modern Art”. La prossima estate ci sarà una grande mostra su Giacometti, successivamente sarà la volta dell’artista americana Jenny Holzer in una grande mostra che coinvolgerà il Museo, la sua architettura e gli spazi pubblici. Il programma dei progetti e delle performances relative verrà annunciato a gennaio.

S.S.M. La Fondazione che lei dirige è impegnata nell’organizzazione delle esposizioni e in un’attenta politica di nuove acquisizioni. Su quali parametri si basa l’allargamento di una collezione esistente? Qual è il rapporto che la Fondazione ha con i diversi “fornitori” ossia galleristi e art sellers? S.K. Il nostro museo ospita una delle migliori collezioni d’arte moderna e contemporanea, nella quale si ritrovano nomi come Monet, Cézanne, Van Gogh, Rousseau, Picasso, Matisse, Kandinsky, Brancusi, Mondrian, Klee, Léger, Calder, Mirò, Giacometti, Ernst, Bacon, Rothko, Pollock, Warhol, Lichtenstein, Rauschenberg, fino a Fabro, Baselitz e Kiefer, acquistati in oltre di 50 anni di collezionismo da Ernst e Hildy Beyeler. Numerosi artisti sono rappresentati da opere di grande importanza, però “qualità e non quantità” è il parametro principale di questa collezione, forgiata da uno tra i leggendari collezionisti del XX secolo che conobbe personalmente molti artisti. La nostra politica di acquisizione si basa sulla volontà dei fondatori di potenziare la collezione con pezzi di eccezione. Questo può avvenire grazie ad acquisizioni, commissioni, prestiti e donazioni.
Lavoriamo attentamente con collezionisti e gallerie, artisti, agenzie di vendita all’asta e trattative riservate che si rivelano, tutti, importanti partners sia per le mostre, sia per le acquisizioni.

S.S.M. Coloro che ricoprono un ruolo come il suo devono essere allo stesso tempo curatori e manager, che tipo di figura serve ai musei di arte contemporanea? E di quali professionalità deve circondarsi un direttore museale? S.K. Essere un direttore museale è una delle professioni più eccitanti e impegnative. Gestire un museo importante come la Fondazione Beyeler con oltre 300mila visitatori (oltre il 50% dei quali stranieri) richiede uno staff che supera le 100 unità di persone e che si avvale di dozzine di professioni diverse fra loro: storici dell’arte, responsabili delle pubbliche relazioni, restauratori, amministratori e cuochi. È necessario guidare un team di specialisti tanto diversi fra loro motivandoli, malgrado le differenze culturali e gli interessi, al raggiungimento di una direzione comune. Il museo è un’istituzione pubblica con molti stakeholder appartenenti ad aree diverse, come quelle della comunità artistica: gli sponsor, i giornalisti, gli amministratori, i politici, i residenti e le organizzazioni internazionali. Bisogna agganciarli e unire le loro forze bilanciando i vari interessi in questa sfida e nella bellezza che rappresenta. La conoscenza e il giudizio critico sono cruciali nell’arte. Le competenze in comunicazione e management sono ugualmente importanti. Un’ampia rete nel sistema dell’arte e nella comunità degli affari aiuta a creare contatti negli ambienti politici e nella società. Tutto questo, però, è niente senza alti standard etici e impegno personale. Il museo esprime un ruolo decisivo nel sostenere l’arte e nel rendere l’arte sostegno della società. L’arte rappresenta la memoria collettiva della nostra cultura e della nostra civiltà, promuove la comprensione di noi stessi e degli altri e contribuisce a generare l’identità individuale e sociale. Per questo motivo non ci sono grandi città senza grandi musei. L’arte è ormai un linguaggio condiviso attraverso i continenti e può aiutarci a creare una vera e propria comunità globale.

S.S.M. Le amministrazioni pubbliche europee sono in parte costrette a ritirarsi dalla scena: dovendo far fronte a nuove emergenze finanziarie non possono più rappresentare il maggior sostenitore culturale. A chi il compito di subentrare e quali politiche pubbliche intraprendere per incentivare la partecipazione dei nuovi protagonisti? S.K. I nostri politici devono capire che la società ha bisogno dell’arte più di quanto gli artisti hanno bisogno di aiuti pubblici. Gli investimenti nella formazione e nei musei d’arte sono necessari e vengono ricompensati. Le élite delle nostre industrie creative e molti grandi uomini d’affari stanno prendendo ispirazione dall’arte. Ancora, l’arte non dovrebbe essere riservata ai privilegiati ma accessibile a tutti. Abbiamo visto un’espansione mondiale del collezionismo e delle elargizioni filantropiche. Alcune fondazioni private sono diventate professionisti influenti quanto i musei pubblici. I privati, i collezionisti, le fondazioni impegnate nel terzo settore e gli sponsor sono diventati elementi fondamentali nel finanziare programmi artistici e musei. Eppure, non possono e non devono sostituire lo Stato. In una repubblica, la cultura deve essere “res publica”. Le collaborazioni sui progetti e i partenariati pubblico/privato a lungo termine sono necessari per sostenere e sviluppare i musei d’arte. La Fondazione Beyeler è uno dei più brillanti esempi di questo modello.

S.S.M. A suo avviso, l’Unione Europea dovrebbe varare una politica culturale comune o è preferibile che ogni stato abbia la maggior autonomia possibile? S.K. Credo che ci dovrebbe essere una politica culturale dell’Unione Europa in grado di salvaguardare la nostra eredità culturale, garantire la libertà artistica e assicurare l’educazione artistica. Gli stati e le regioni dovrebbero avere il massimo possibile di autonomia per definire le loro politiche culturali e per sostenere le attività artistiche che ritengono rilevanti. L’arte ha bisogno dell’appoggio del governo ma non può essere organizzata dall’alto verso il basso, secondo modelli di governance top-down. Poiché l’arte non è la regola, ma è l’eccezione.

S.S.M. Alcuni speravano che lei assumesse la direzione di Artissima a Torino, lei ha rifiutato e indicato il nome di Andrea Bellini. Come mai? Considera il mercato delle fiere italiane poco stimolante? S.K. L’Italia è probabilmente, dal punto di vista culturale, il maggior paese del mondo. Ha la più anziana manifestazione d’arte e vanta alcuni degli artisti, delle gallerie e dei collezionisti migliori. Purtroppo non c’è abbastanza sostegno per la cultura contemporanea. E l’influenza della politica nell’arte contemporanea ha spesso arrecato più danni che vantaggi. Io amo l’Italia e non ho alcuna riserva nel viverci e lavorarci. Se ho scelto di rimanere in Svizzera, è perché la fiera d’arte più importante al mondo è Art Basel e perché il mio museo d’arte moderna preferito resta la Fondazione Beyeler.

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