54.Biennale di Venezia, intervista a Anastasia Khoroshilova

(Intervista pubblicata su Espoarte - contemporary art magazine n. 72, agosto-settembre 2011)
Anastasia Khoroshilova, Starie Novosti 2011, veduta dell'allestimento

Ha 32 anni Anastasia Khoroshilova e un sorriso caldo quando la incontro nella Biblioteca Zenodiana, spazio esterno della 54. Biennale di Venezia. Le sue fotografie sono ospitate nei maggiori musei internazionali e in Italia ha esposto al Centro Luigi Pecci, alla Galleria Impronte, alla Sala Santa Rita di Roma. Tra i soggetti preferiti di Khoroshilova ci sono le comunità sociali isolate e chiuse, nelle quali l’appartenenza al gruppo fonda l’identità collettiva. Anastasia ritrae i singoli individui, le unicità che formano un gruppo. La sua indagine è quasi antropologica, il lavoro è un documentario estetico. La camera fotografica è un bisturi affilato che ci permette di “entrare” nelle situazioni, ma allo stesso tempo è una farfalla delicata ed effimera.
A Venezia presenta Starie Novosti/Old News: un’installazione che ritrae le madri della strage di Beslan, mettendo in opposizione, ma anche in connessione, il ricordo individuale con quello collettivo, narrato dai media.


Susanna Sara Mandice: A Venezia hai presentato un lavoro dolente in un allestimento onirico. Lo scollamento tra la bellezza e la sofferen- za è quasi insopportabile. Come hai scelto di occuparti della strage di Beslan?
Anastasia Khoroshilova:
Starie Novosti/Old News è un progetto con cui convivo da oltre sei anni: nel 2005 ho incontrato alcune famiglie di Beslan che si trovavano in residenza a Bad Tölz, in Bavaria, invitate a trascorre un periodo di tregua dopo la strage. C’erano molti bambini, ma non si sentivano risate, giochi o chiacchiere. Solo silenzio. I genitori mi raccontarono a lungo dei giorni in cui furono presi in ostaggio e del periodo successivo alla strage. Ricordo il mio turbamento, terribile, indimenticabile: se ti capita di ascoltare un racconto simile è impossibile cancellarlo.
In questi anni ho constatato la progressiva perdita d’interesse dei mass media sull’argomento. Così,nel 2010 mi sono recata a Beslan per esplorare i meccanismi della memoria collettiva e della memoria individuale. Mi sono chiesta: qual è la natura del fenomeno dell’esclusione individuale? Come succede che le persone cancellino le proprie emozioni dopo un evento traumatico? Con quale fretta (anche se inconsapevole) ci abituiamo alla velocità delle informazioni trasmesse dai media? Se il mondo ricordasse la strage di Beslan, cambierebbe. E ovviamente Beslan non rappresenta solo Beslan, ma anche New York, il Sudan, i Balcani...

(Anastasia Khoroshilova, Stare Novosti Msevinari Kokoeva, 2011)
Come hanno reagito le donne alla richiesta di far parte di un progetto che esponesse la loro maternità recisa?
Come dicevo, la memoria è qualcosa di essenziale e il ricordo è tutto ciò che rimane a queste madri. Le reazioni alla mia proposta sono state diverse, ma quasi tutte le donne hanno accettato di partecipare. Molte madri
erano d’accordo con il progetto, la memoria dei figli è per loro vitale ed è stata un’occasione per parlarne. Altre madri sono state timide e riservate, consapevoli del valore sociale e politico di questa azione.

Che comunità è la comunità di Beslan? Cosa significa essere parte di un destino sociale?
Ovviamente la mia non è altro che un’opinione personale. La mia impressione è che l’intera città sia mentalmente e psicologicamente distrutta. Diventa impossibile per chi proviene da “fuori”, comprendere cosa sia successo, si resta sempre outsider. Come “ospite” si percepiscono la propria limitatezza e la propria impotenza nei confronti della tragedia. La partecipazione delle madri al mio progetto, il fatto stesso che io abbia potuto far loro dei ritratti, è una sorta di tentativo di uscire (anche solo per un breve momento) dal soffocante vincolo del destino sociale.

Una domanda sulle donne dei tuoi ritratti. In 9,5% plus sono donne soldato, in Obbedienti sono contadine, in Old News sono le madri di Beslan. Tutte finiscono per riconoscersi in un gruppo che talvolta esalta e talvolta nega l’appartenenza di genere...
L’appartenenza di genere è solo uno dei temi di queste tre serie. Senza dubbio però sono affascinata dalle questioni di genere, dalla rapidità con cui è cambiato in questi decenni il ruolo delle donne.
In 9,5% plus le soldatesse sono perfettamente consapevoli della mascolinità del proprio ruolo e c’è davvero qualcosa di mascolino in loro, specialmente se si osservano nei ritratti i piccoli dettagli, come i gioielli.
Nel caso delle Obbedienti, mi interessava trovare il punto di intersezione tra lo spazio sociale globale e i sistemi collettivi tipici dei contesti isolati, nei quali l’assenza di stimoli esterni contribuisce alla definizione di ruoli stereotipati. Ogni testimonianza che provenga dall’esterno smaschera gli schemi psicologici delle relazioni approvate dalla comunità, svela i dettagli che differenziano ognuno.
Starie Novosti, di cui abbiamo già parlato, è un lavoro dedicato alla memoria. Ma anche alle mamme che hanno perso un figlio che è forse il primo, genuino e remoto tema ricorrente della cultura cristiana e della storia dell’arte.
(immagine: Anastasia Khoroshilova, The Obedient #12, 2008)

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