Intervista a Franco Bernabè

(articolo pubblicato su Artkey n°5 - giugno/luglio 2008)

Franco Bernabè dal 2004 è presidente del Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto e tra il 2001 e il 2003 è stato presidente della Biennale di Venezia.
Bernabè, però, non nasce manager culturale: ha ricoperto prestigiosi incarichi in grandi aziende italiane (Eni, Fiat, Telecom) e presso istituti internazionali (Ocse, Peres Centre for Peace), inoltre alla fine degli anni novanta è stato rappresentante speciale del Governo per la ricostruzione del Kossovo. Oggi è nuovamente alla testa del gruppo Telecom Italia, in veste di amministratore delegato e si occupa contemporaneamente di ITC, nuove tecnologie, energie rinnovabili…

Susanna Sara Mandice: Tradizionalmente, in Italia i vertici del settore culturale sono destinati a uomini e donne di provenienza accademica che indubbiamente svolgono un ottimo lavoro, ma che non sono il frutto di un’esperienza manageriale. Al contrario, il Mart può fregiarsi delle sue competenze alla presidenza e di quelle di Gabriella Belli, critica e storica dell’arte, alla direzione. Quali sono le caratteristiche che rendono un manager d’azienda come lei adatto alla gestione di eventi o istituzioni culturali? Qual è il punto di incontro tra due mondi apparentemente tanto distanti? Franco Bernabè: La collaborazione tra questi due mondi funziona quando c’è complementarietà, quando i diversi soggetti apportano competenze che non possono che integrarsi e creare una sinergia. Gabriella Belli non è solamente una persona che si occupa di storia dell’arte, ha anche una grande capacità organizzativa. Il Mart ha il vantaggio di avere una personalità che possiede una pluralità di competenze oltre che un grandissimo entusiasmo; Gabriella Belli una professionista preparata soprattutto per quanto riguarda il mondo dell’arte ma è anche una persona dalle spiccate capacità organizzative. Per quanto mi riguarda invece, io sono la figura che apporta competenze di tipo manageriale, vale a dire una visione di che cosa debba essere un sistema complesso e di come tale sistema possa funzionare bene, essere armonioso ed efficace nelle realtà che produce. Ecco che le mie mansioni si integrano bene con quella della direttrice. E poi certamente quello che conta e che ci accomuna è l’entusiasmo per il progetto del Mart e per le sue potenzialità di creare in Italia un elemento di stimolo e di traino per il mondo dell’arte contemporanea.

S.S.M. Negli ultimi anni, l’intervento dei privati nel settore culturale si è rivelato necessario: la cultura ha bisogno delle imprese. Si può dire che in qualche modo le imprese abbiano bisogno di investire in cultura? Quali sono le motivazioni che spingono un’azienda a operare in tal senso? F.B. Le ragioni per le quali un’impresa può e deve avere un interesse nei confronti della cultura, e in particolare nei confronti dell’arte, non sono direttamente legate al beneficio d’immagine che se ne può trarre. Normalmente l’efficacia in termini di comunicazione derivante dalle attività di sponsorizzazione è abbastanza ridotta, purtroppo troppo spesso iniziative di questo tipo finiscono per essere operazioni di mecenatismo che non rientrano tra i compiti delle imprese. L’arte e la cultura possono invece essere un decisivo fattore di stimolo e di promozione per una riflessione interna dell’azienda, per indirizzare meglio le energie, per costruire un pensiero parallelo sulle operazioni che l’impresa stessa fa. La creatività è uno stimolo non solo per coloro che hanno la responsabilità della conduzione dell’impresa, ma per tutti quelli che partecipano allo sviluppo della stessa. È un incentivo a ripensare al proprio modo di essere, ai concetti che si sviluppano, al pubblico verso il quale questi concetti sono diretti, e tutto questo va fatto in modo innovativo, anche al limite della provocazione. Ecco: l’impresa è la capacità di innovazione; l’arte è l’innovazione senza mediazione, è la sperimentazione allo stato puro. Questa capacità di innovare dell’arte è qualcosa che per l’impresa è fondamentale. Pertanto contribuire, essere partecipe a un’iniziativa di tipo culturale diviene un incoraggiamento per l’impresa e per la sua crescita che non si riduce a un’attività di puro mecenatismo nei confronti dell’iniziativa scelta.

S.S.M. Nonostante le recenti novità del sistema arte-impresa, talvolta le sinergie tra i settori sono discontinue o di breve periodo. Donazioni sporadiche non denotano un impegno mirato all’investimento in un settore dato. A suo parere i due mondi restano isolati o la situazione italiana sta realmente mutando? F.B. L’Italia ha sempre avuto una grande sensibilità nei confronti dell’arte, essendo un paese nel quale l’arte permea non solo la cultura degli individui, ma anche la geografia del paese. Per un lungo periodo questo rapporto intenso con il mondo dell’arte è stato più un rapporto erudito, di tipo storico. Oggi si sta sviluppando in Italia una nuova emotività nei confronti della contemporaneità, si possono finalmente modificare le relazioni tradizionali. L’arte contemporanea rappresenta una discontinuità forte perché richiede di superare degli schemi che sono soprattutto delle barriere intellettuali, è necessario fare uno sforzo che non è uno sforzo semplice, in particolar modo per chi è ancora legato a una tradizione storico-artistica solida e forte nel campo dell’arte. A mio parere però si stanno via via sviluppando nuovi stimoli per nuove esperienze che si rendono necessarie alla crescita reale del Paese. Mi pare stia prendendo forma una nuova sensibilità che si rivela utile affinché il Paese si apra, si espanda e progredisca non solo culturalmente.
S.S.M. Le recenti scelte del nostro Legislatore paiono voler aprire la strada a collaborazioni arte-impresa. Eppure, rimangono ancora numerose criticità e lacune, soprattutto nel sistema tributario. La giurisprudenza di settore si presenta frammentata e poco organica. Quali crede siano le leggi che favoriscono e quali quelle che limitano tali partecipazioni? Cosa manca al nostro sistema? F.B. Le leggi che possono stimolare tali collaborazioni sono le leggi che riguardano sostanzialmente il trattamento fiscale delle donazioni e delle attività di mecenatismo. Oggi l’amministrazione finanziaria è ancora troppo sospettosa: teme che incentivare l’arte significhi favorire l’elusione o, peggio ancora, l’evasione fiscale. In effetti esistono le possibilità di poter utilizzare a fini non trasparenti gli strumenti che in altri paesi già ci sono. Io credo, però, che vada trovata in prospettiva una modalità che garantisca i risultati previsti dal sistema fiscale, ma che allo stesso tempo incentivi la destinazione di patrimoni alle istituzioni museali e il sostegno economico alle attività artistiche, anziché limitarlo. Tutto questo, ovviamente, con la massima trasparenza e il massimo rigore; certamente c’è la possibilità di combinare le diverse priorità ed è questa la direzione che va perseguita.

S.S.M. Notoriamente sono le grandi aziende a essere coinvolte nei progetti culturali e i grandi eventi e le mostre blockbuster attirano gran parte dei finanziamenti. Come avvicinare le P.M.I. (piccole e medie imprese) che a scapito di una capacità d’investimento minore, possono però contare su un legame forte con i territori di riferimento e con i rispettivi stakeholder? F.B. Se guardiamo all’esperienza del Mart, è chiaro che aziende quali la cantina Lavis e altre piccole e medie imprese hanno capito l’importanza del museo per il territorio e lo sostengono attivamente. Credo che stia alle istituzioni culturali dimostrare la capacità di presenza sul territorio e di attivazione d’interesse da parte della popolazione, quindi porsi anche come un riferimento attivo per le imprese. Bisogna che chi fa cultura sappia diventare un riferimento attivo per le imprese che guardano a questo come a uno strumento per essere più visibili. Probabilmente dove l’iniziativa culturale è più a contatto con il territorio l’obiettivo appare più semplice da raggiungere, prendiamo ancora come esempio il caso del Mart che si trova in una città piccola: le manifestazioni che vengono realizzate sono molto più visibili, la dimensione territoriale, quindi la diffusione delle iniziative sul territorio, si presta maggiormente a un sostegno da parte delle imprese locali. Certamente in un’ottica di stimolo più forte, va realizzata un’azione più incisiva soprattutto da parte delle istituzioni culturali: queste devono capire quale può essere il proprio ruolo, come possono dare del valore aggiunto alle imprese e non solo pretendere un sostegno di tipo mecenatistico. Le istituzioni culturali devono fare una autoriflessione, capire come il loro ruolo sul territorio possa contribuire anche allo sviluppo delle aziende.
S.S.M.Le fondazioni bancarie sono forse l’unico soggetto privato a potersi permettere di investire a tutto tondo (in arte contemporanea, restauro, riqualificazione, teatro e danza). Come valuta la loro posizione nel nostro settore? F.B. La fondazione bancaria è un’istituzione privata molto particolare, è un soggetto che, tra le altre cose, legittimamente investe in cultura e rappresenta bene la società e il territorio, pertanto ha un ruolo ormai imprescindibile nel nostro sistema. Si tratta di organizzazioni complesse di grandi dimensioni, credo ci siano pochi paesi dove sono presenti istituzioni di tali caratteristiche e capacità di impatto sul territorio. In Italia dobbiamo essere contenti del fatto che si siano le fondazioni bancarie.

S.S.M. Gli investimenti in cultura paiono essere il trend del momento anche per le amministrazioni pubbliche. Queste sovente operano interventi mirati ed efficaci, ma non è sempre così. Quali sono i limiti di tali approcci? Mi riferisco in particolar modo alle azioni di governance volte alla riqualificazione urbana o all’organizzazione di grandi eventi che spesso incontrano i limiti tipici delle azioni “top down”. Negli ultimi quindici anni, numerose sono state le cattedrali nel deserto sorte qua e là (o in procinto di sorgere). Il modello Bilbao ha dimostrato di avere forti limiti se esportato senza criterio. Qual è il suo parere in merito? F.B. Per dar vita a un intervento efficace non basta un’iniziativa isolata, deve essere creato un tessuto di iniziative. L’iniziativa isolata può essere il primo stimolo, se visibile tanto meglio, ma affinché l’iniziativa abbia successo bisogna che poi si sia capaci di attivare sul territorio un ecosistema di iniziative, di progetti, di persone, di cultura… che mette in moto risorse più ampie e una pluralità di persone. Le pubbliche amministrazioni devono imparare ad agire sul territorio in modo continuativo, omogeneo, offrendo risposte ai bisogni sociali e divenendo un punto di riferimento stabile. Gli interventi culturali di breve durata e svincolati da un progetto organico, non caratterizzano una realtà, né permettono ai cittadini di riconoscersi in un territorio. La cultura fa parte dell’educazione civica di un luogo, ne crea l’identità e pertanto deve avere caratteristiche solide.

S.S.M. A tal proposito, mi permetta di entrare nel dettaglio e di focalizzare nuovamente l’attenzione sul museo di cui lei è presidente. Quali sono stati i fattori che hanno evitato che la costruzione di Botta fosse una semplice infrastruttura? F.B. Nonostante la sede del Mart di Rovereto sia di costruzione recente, esisteva già la sede di Trento, quindi la relazione con la popolazione precede l’edificazione del nuovo museo. Le diverse competenze intellettuali coinvolte conoscevano già la realtà trentina e hanno saputo dialogare con essa. Inoltre il Mart possiede una collezione permanente sorprendente dal punto di vista sia qualitativo, sia quantitativo; caratteristica che ha permesso al museo di diventare un’istituzione di richiamo. Ma soprattutto è stato fondamentale lo sforzo che hanno dedicato tutti quelli che per il Mart hanno lavorato: Gabriella Belli e i suoi collaboratori hanno realizzato un progetto che era indubbiamente un progetto ambizioso e anche rischioso; con passione e volontà hanno concretizzato un’iniziativa che oggi è riconoscibile a livello italiano e internazionale. Qualsiasi cosa funziona, se si lavora tanto.
S.S.M. Eppure, quando il Mart è stato progettato la reazione del territorio è stata tutt’altro che favorevole: polemiche circa la sostenibilità e l’impatto ambientale, dubbi sul risultato di lungo periodo, scarso sostegno degli operatori turistici che invece per primi avrebbero dovuto trarre beneficio dal progetto. Ora, a distanza di cinque anni dall’apertura del museo, la relazione con il territorio si è radicalmente modificata. Che tipo di pubblico accoglie oggi il Mart? Avete raggiunto segmenti diversi? F.B. Il lavoro della sezione didattica è stato mirato e ampio, allo scopo di non attrarre solo visitatori foresti, ma di coinvolgere le comunità locali. Numerosi sono i laboratori attivati con i ragazzi delle scuole e per la collettività. In questi primi cinque anni il museo ha organizzato un centinaio di mostre, dedicate a diversi temi e a diversi pubblici, ma tutte caratterizzate da un’elevata qualità. La proposta artistica si è sviluppata attraverso l’organizzazione di grandi eventi ma anche di mostre minori. In particolare, ciò che accomuna le esposizioni del Mart è che sono caratterizzate da un’indagine pluridisciplinare che analizza i legami tra i diversi linguaggi artistici e le sensibilità dell’animo umano. Chi viene al Mart non è semplicemente amante dell’arte contemporanea, è attento ai dialoghi tra le diverse forme d’arte, ai confini, alle commistioni, alla storia dell’arte e ai contesti politici e sociali che l’arte reinterpreta. Inoltre l’archivio storico del novecento e la collezione permanente attraggono anche un pubblico di nicchia: quello dei ricercatori e degli esperti che qui possono condurre i propri studi.
S.S.M. Il suo mandato al Mart le consente di operare in un territorio dalle caratteristiche uniche. Un più alto benessere diffuso, emergenze sociali limitate, istituzioni che fanno sistema… sono davvero questi i punti forza del Trentino-Alto Adige? F.B. Il Trentino-Alto Adige è tradizionalmente una regione in grado di attrarre i turisti e di accoglierli nel migliore dei modi. Oggi però c’è anche la volontà di rivolgersi a nuovi segmenti di pubblico: a un turista colto, attento non solo ai luoghi ma anche agli spazi. Dal punto di vista della cultura, l’offerta si è enormemente ampliata grazie alla presenza sul territorio di istituzioni museali come il Mart e Museion, di gallerie importanti, di università… Insomma c’è un fermento promosso anche dagli enti locali che attrae risorse e attenzioni. Lo dimostra la scelta della Biennale Manifesta 7 che quest’anno avrà sede proprio in Trentino-Alto Adige. È la prova di quanto detto prima: un’ecologia di iniziative virtuose è in grado di generare un sistema vivace e vincente.

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