Hong Kong: cifre da capogiro per la (s)vendita della collezione Estella

(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°5 - giugno/luglio 2008)

C’è una collezione di arte contemporanea cinese che ha fatto il giro del mondo: svelata al pubblico nelle sale del Louisiana Museum nel 2007; soggetto di due importanti cataloghi pubblicati grazie al contributo di importanti istituzioni d’arte e curati, tra gli altri, da Hou Hanru, Martina Köppel-Yang and Pi Li; esposta recentemente presso l’Israel Museum di Gerusalemme, è stata interamente consegnata alla casa d’asta più famosa del mondo, Sotheby’s, che ha battuto l’asta a Hong Kong il 9 aprile. La collezione Estella era composta da duecento lavori appartenenti a sessantanove artisti. Il nucleo centrale è stato acquistato tra il 2004 e il 2007 dall’intermediario Michael Goedhuis per conto di Sacha Lainovic, direttore di WeightWatchers e del suo partner Ray Debbane. La scorsa estate la collezione è passata alla Galleria Acquavella di New York che ha poi deciso di venderla a Sotheby’s.
Numerose polemiche si sono susseguite: c’è chi sostiene che la collezione sia stata da sempre vista come un investimento di mercato, diversamente da quanto dichiarato in partenza, e che le mostre organizzate siano state allestite appositamente per aumentare le quotazioni. Per difendersi da tali accuse, Michael Goedhuis ha dichiarato a The Art Newspaper che il desiderio dei collezionisti era di dar vita a una collezione d’arte contemporanea cinese accompagnata da un catalogo dedicato che rendesse possibile la più ampia divulgazione. In origine la collezione avrebbe dovuto essere donata a un museo, ma il progetto filantropico è stato sostenuto solamente da un piccolo gruppo di collezionisti, che pare non abbiano quindi potuto accollarsi l’intero costo dell’operazione.
Pertanto, lo scorso agosto, alla chiusura della mostra presso il Louisiana Museum, si è deciso di vendere la collezione. A quel punto gli esperti Sotheby’s, interessati a sostenere il progetto di alienazione, hanno visitato l’esposizione per una prima valutazione economica.
Goedhuis ha anche dichiarato di aver contattato il Governo Cinese per proporre delle collaborazioni e per tastare il terreno cercando eventuali acquirenti, ma la questione è parsa da subito cavillosa. Si è allora battuto il terreno europeo, bussando alla porta di Bernard Arnault, magnate dell’imprenditoria e dell’haute couture francese, già finanziatore del museo privato “Fondation Louis Vuitton pour la Création”. Ma anche in questo caso, la trattativa non è andata in porto.
A settembre la collezione è stata esposta all’Israel Museum e due giorni prima della chiusura della mostra, a fine febbraio, Sotheby’s ha annunciato che la collezione sarebbe stata messa all’asta. Il direttore dei Museo di Gerusalemme, si è dichiarato estraneo alle trattative e ha ammesso di aver conosciuto il destino della collezione solamente dopo che gli accordi tra i vecchi proprietari e Sotheby’s si erano conclusi. Duro, invece, il no comment di Poul Erik Tøjner, direttore del Louisiana Museum.
Secondo Art Newspaper si tratta di una vera e propria manipolazione del mercato, ma Acquavella si tutela sostenendo che le esposizioni museali fossero un obiettivo già prefissato dai primi proprietari, i quali avevano preso accordi con le istituzioni prima del suo coinvolgimento. Tutto sommato, è pur vero che tale acquisto sia stato deciso e operato in tempi rapidissimi mentre le opere facevano bella mostra di sé a Gerusalemme. Inoltre il gallerista ha posseduto la collezione per un periodo di tempo molto ristretto, coincidenza neppure troppo ambigua, considerato che lui stesso ha dichiararò che la collezione vantava un nucleo di elevata qualità. Acquavella, a quanti hanno criticato la decisione di vendere la collezione, ha risposto che si tratta del suo mestiere. “Sono un commerciante: guadagno comprando e vendendo arte. Credo si sia trattato di un buon investimento”.
E sicuramente lo è stato: l’asta ha confermato il mercato cinese come uno dei più attivi, sia in termini di produzione artistica che di compravendita, inoltre numerosi sono stati gli acquirenti provenienti dal sud-est asiatico, dall’Europa e dagli Stati Uniti, che hanno conferito all’evento il ruolo di vetrina internazionale. 140 milioni di dollari di Hong Kong -in euro 11 milioni - il ricavato della serata, i pezzi non venduti saranno posti in asta il prossimo autunno a New York.
Il top lot è andato a “The big family n.3” di Zhang Xiaogang, battuto per 3 milioni e 865 mila euro. Si tratta di un quadro appartenente alla serie più ricercata dell’artista: “Bloodlines”. 600 mila euro per “The living word” di Xu Bing, stessa quota pagata anche per “Two Wandering Tigers” di Cai Guo-Qiang. Poco più di 700 mila euro invece per “Chairman Mao With Us” di Zeng Fanghi.
Insomma lo smembramento della maggiore collezione di arte cinese mai battuta all’asta, a dispetto delle polemiche, si è rivelato un successo monetario. Lasciate però che i comuni mortali come noi continuino a pensare che il valore della collezione superasse di gran lunga i numeri a sei cifre il cui solo pensiero ci dà le vertigini.

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