Prima mostra per il nuovo Museion

Xavier Le Roy Self Unfinished, 1998 By and with: Xavier Le Roy In collaborazione con: Laurent Goldring Musica: Diana Ross Produzione: in situ productions e Le Kwatt© Katrin Schoof

Il 24 maggio ha avuto luogo a Bolzano la tanto attesa inaugurazione della nuova sede di Museion, che avevamo con entusiasmo visitato in occasione della preview di dicembre.
Un successo che ha superato ogni aspettativa: numerosi i critici, i giornalisti, i rappresentanti istituzionali e soprattutto i cittadini. Da lodare la comunicazione capillare, il lavoro dell’ufficio stampa e i contatti istituzionali che hanno supportato l’evento rendendolo possibile.
Durante il primo week-end di apertura si sono calcolate 6.500 presenze il primo giorno e oltre 3.000 il secondo. Anche gli appuntamenti serali hanno ottenuto un ampio riscontro di pubblico, in molti sono accorsi per vedere l’opera-performance realizzata da Anri Sala per la facciata del museo.
La struttura architettonica, versatile e duttile nonostante il rigore formale, rinnova il legame tra Museion e il suo territorio, fisicamente completato con la costruzione delle passerelle oscillanti, una pedonale e l’altra ciclabile, che collegano le due sponde dell’Isarco e le due zone della città: la zona vecchia – e centrale – e la zona nuova.
Per l’inaugurazione è stata concepita “Sguardo periferico e corpo collettivo” una mostra curata dalla direttrice, Corinne Diserens. Il titolo risulta di per sé criptico, ambiguo e ci viene il dubbio che si tratti di uno dei consueti titoli altisonanti, tanto cari agli organizzatori di mostre pensate per mostrare tutto e niente. Fiduciosi che Museion sappia evitare cadute di stile di questo tipo, ci apprestiamo a visitare l’esposizione con l’animo sereno e ottimista. Ma, ahinoi, la prima intuizione si rivela esatta.
Museion è allestito con opere dall’inestimabile valore, veri capolavori del Novecento e nuove tendenze artistiche, artisti italiani e stranieri… pare non manchi nulla. Basta dare un’occhiata alla lista delle opere per rendersi conto che la possibilità che ci viene offerta è splendida e raggiunge l’obiettivo di offrire in una volta sola un numero elevato di lavori.
Eppure la quantità non basta. Si tratta di un errore sul quale si può sorvolare quando commesso da un’istituzione inesperta alle prime armi, bisognosa di visibilità. Considerata l’esperienza ventennale di Museion, i finanziamenti stanziati, le competenze – in termini di risorse umane – coinvolte, ritengo sia lecito aspettarsi qualcosa di più. L’esposizione risulta un pout-pourri di opere che, per quanto valide, non comunicano tra loro. Il filo rosso che dovrebbe snodarsi nel percorso di fruizione pare davvero stiracchiato, rendendo la mostra piacevole dal punto di vista estetico e storico-artistico, ma allo stesso tempo completamente mancante di una struttura didattica.
Il comunicato stampa recita: “Sguardo periferico e corpo collettivo discute la questione dei corpi collettivi nell’arte visiva contemporanea, in considerazione della sua stretta relazione con l’architettura e la performance, e in modo particolare con la danza. La mostra analizza come le proposte artistiche più recenti siano state influenzate dalle Avanguardie Americane del Secondo Dopoguerra, che a loro volta avevano ripreso le sperimentazioni sviluppate all’inizio del XX secolo tra la Germania, la Polonia, la Russia e altri paesi. In questa prospettiva, l’esposizione e il relativo catalogo presentano una raccolta di opere, film, performance, documenti e testi da Meyerhold fino all’arte contemporanea, esplorando la concezione e l’utilizzo del “corpo collettivo” come strategia critica, mediante la quale viene indagata l’eredità della nostra storia recente.”
Va da sé che c’è troppa carne al fuoco. La presunta relazione tra le opere manca del tutto, non v’è un percorso tematico, né storico, né cronologico… se decidiamo di inserire diversi elementi in un insieme dato, bisogna che questi dialoghino, è necessario che il visitatore non si smarrisca. Il museo, per sua stessa natura, non può e non deve assomigliare ad una galleria, né ad una fiera, non può ridursi a mero (per quanto sberluccicante) contenitore.
Anche la proposta di indagare le relazioni tra le diverse espressioni artistiche, per quanto nobile, non può trovare riscontro in un’esposizione che assembla troppi linguaggi, risultando una babele caotica.
E purtroppo le critiche non terminano qui. Non ci si può esimere dal rilevare come, il giorno dell’inaugurazione, l’allestimento non fosse ancora completato. Durante la visita (effettuata nel tardo pomeriggio), numerosi operai ancora lavoravano alla messa in mostra delle opere; mancava gran parte delle didascalie, alcune delle quali semplicemente poggiate a terra o nelle vicinanze dell’opera relativa; cavi elettici scoperti, materiali da lavoro sparsi qua e là e un via vai frettoloso di addetti ai lavori completavano lo spettacolo di un work in progress non previsto.
Infine, last but not least, una critica al campanilismo tipico della zona. Museion si auto-proclama museo Europeo (e mai Italiano), loda la scelta della Biennale Manifesta 7 di svolgersi in Alto-Adige (dimenticandosi che metà delle sedi dell’evento si trovano in Trentino), presenta numerose opere video in lingua tedesca senza mai fornirne la traduzione e indice un premio rivolto ad artisti altoatesini. Preso atto della realtà che vede la regione trento-altotesina caratterizzarsi per la sua atipica multiculturalità, ben vengano le sinergie con la comunità locale e la promozione del territorio; sarebbe lecito, però, auspicare un sentimento sì internazionale ed Europeo, ma meno secessionista, proiettato cioè verso un netto superamento dei confini, mentali più che geografici, impegno che l’Arte da sempre ha e che sarebbe il caso che venisse perseguito anche da coloro che per e con l’Arte vogliono operare.

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