Roxanne Lowit e Giuseppe Varchetta, Collezione Maramotti - Ex stabilimenti Max Mara

Pattern Room è un titolo evocativo… provo a immaginare come potrebbe essere una mostra così chiamata e mi viene in mente una stanza senza pareti, uno spazio aperto eppure definito, nel quale i confini risultano mutevoli. E così vogliono essere gli spazi della Collezione Maramotti a Reggio Emilia: discontinui ed eclettici, dove l’arte soavemente carezza e stimola il visitatore. Ex stabilimento industriale dedicato alla creazione di collezioni di moda, ha di recente cambiato destinazione, rimanendo però legato alla produzione del bello e a una elegante ricerca estetica.
Achille Maramotti, industriale raffinato, pose le basi per quella che adesso è la collezione che porta il suo nome. Negli spazi di via Fratelli Cervi, la collezione viene esposta al pubblico, ormai da qualche mese. L’ingresso è gratuito, bisogna semplicemente prenotare per aver accesso alla selezione di opere messe a disposizione di “conoscitori e interessati” come fu disposto dal suo fondatore.
Di tanto in tanto, poi, vengono organizzati eventi temporanei. E’ il caso di Pattern Room, che ha inaugurato a fine aprile e che resterà aperta fino al 25 maggio.
Due gli artisti convocati, uno il medium scelto e innumerevoli i punti di vista.
Roxanne Lowit e Giuseppe Varchetta sono entrambi fotografi e qui propongono una serie di scatti che documentano l’inaugurazione della Collezione. Il cardine attorno a cui far ruotare il progetto è “la relazione”, tema tanto caro a Varchetta che vi si dedica non solo da fotografo, essendo prima di tutto psicologo. La sua professione e la sua passione lo hanno spinto negli ultimi anni a unirsi alla schiera di epistemologi della complessità che indagano le dinamiche relazionali (scientifiche e sociali) che naturalmente si sviluppano dalla creazione artistica.
Senza provenire da un ambiente accademico, Roxanne Lowit ha ugualmente analizzato le relazioni, occhio discreto eppur presente, in momenti metropolitani che l’hanno resa celebre e che le hanno consentito di esporre in alcuni tra i più importanti musei del mondo.
In Pattern Room le connessioni relazionali sono infinite: le fotografie indugiano sulle relazioni tra le diverse opere, tra ogni opera e lo spazio, tra l’insieme delle opere e il luogo e così via. E poi, un livello più in su (o più in giù?) la relazione tra i fruitori e le opere, tra i diversi visitatori, tra questi e lo spazio… la confusione ordinata che ne scaturisce dà quasi le vertigini. E attraverso il lavoro di Lowit e Varchetta (essi stessi in relazione con tutti gli altri soggetti) i cerchi concentrici paiono infiniti: noi stessi entriamo in queste dinamiche relazionali.
Le fotografie in mostra sono state a loro volta in relazione con il momento che ritraggono e sono oggi in relazione con noi; medium per eccellenza si pongono su di un metalivello che destruttura e allo stesso tempo struttura l’esperienza cognitiva.
Più eteree quelle di Varchetta, che predilige il bianco e nero, paiono voler sottolineare il contatto quasi fisico che si instaura tra lo spettatore e l’opera, in una fruizione concreta e densa.
Diversamente i lavori di Lowit ricercano le contiguità tra i diversi interlocutori, artisti e visitatori, i quali si intrattengono in momenti sociali che sembrano svilupparsi in una nicchia ecologica estetica.
A proporre una riflessione sul sistema di relazioni è anche il testo critico che accompagna la mostra, a cura di Marco Belpoliti.
L’esposizione si inserisce perfettamente della manifestazione cittadina Fotografia Europea, giunta alla terza edizione, il cui tema è quello del “corpo nel suo aspetto multisensoriale”.

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