Il secondo uomo più ricco del mondo colleziona arte e si compra il New York Times


C’è un binomio indissolubile che, da sempre, lega il potere al mecenatismo e che rende l’arte un po’ meno ideale di quello che i veri filantropi vorrebbero. L’arte necessita di soldi e i soldi, si sa, ne inquinano l’aura. Negli ultimi anni, quello che fu appannaggio di sovrani e pontefici pare essere diventato prerogativa di uomini d’affari e speculatori. Il discorso potrebbe essere lungo e seguire il tragitto dei viadotti del gas sovietico, piuttosto che infilarsi nelle borsette da signora da 2.500 dollari per finire, transitando su auto di lusso, nella buca di un campo da golf del nord-europa.
Le aziende del XXI secolo, per guadagnarsi il necessario favore dei sostenitori, quanto per zittire le coscienze dei soliti scocciatori che tengono troppo all’ecologia, agli animali e alle condizioni dei lavoratori, sono costrette a investire parte del proprio capitale in attività di “corporate social responsibility”. E poi c’è qualcuno che, tra una investimento e una speculazione, può darsi sviluppi davvero un amore viscerale per la cultura, o forse, in questo caso, la coscienza da far tacere è la propria. Vada come vada, al mondo ci sono alcuni ricconi dai trascorsi non sempre limpidi che, in un modo o nell’altro, investono in arte: aprono gallerie, musei e collezionano le opere più eccentriche. E per il terzo settore, sempre più esigente e pertanto sempre più bisognoso, certe attenzioni sono manna dal cielo; in fondo a caval donato non si guarda in bocca.
Dall’altra parte dell’emisfero c’è l’Ingeneiro, un uomo tanto ricco da essersi posizionato, un paio d’anni fa al primo posto nella Forbes List dei miliardari, superando, dopo una pole position durata oltre 10 anni, il collega Bill Gates. E la cosa divertente è che, fino a quel momento, in pochissimi avevano sentito parlare di lui. Attualmente al secondo posto della Forbes List, messicano, ma di origine mediorientale, nato povero e vero self made man, si chiama Carlos Slim Helu e ha quasi settant’anni. Il suo impero poggia sui solidi pilastri delle telecomunicazioni: assieme ad altri partner (quasi nessuna persona fisica, però!) gestisce la Telmex, il colosso della telefonia fissa messicana e la Telcel, società gemella per la telefonia mobile. E oltre i confini del Mexico, Carlos Slim è protagonista indiscusso della telefonia mobile di tutta l’America Latina, di cui controlla il 73% delle azioni. Nel 2007 l’impresario cercò anche di comprare alcune quote che gli avrebbero permesso la scalata di Telecom Italia, ma l’affare non fu concluso. Si sarà consolato con altri “possedimenti”: banche, ristoranti, industria del tabacco e una quota sociale dell’informatica Apple assicurano comunque ingenti rendite patrimoniali.
Di animo mite - almeno così lo descrivono, anche se a noi piace immaginarlo come un tranquillo squalo che senza fretta si sposta negli abissi della finanza -, profondamente legato alla famiglia, abitudinario, conduce una vita senza particolari eccessi maniacali o capricci ossessivi caratteristici di chi si può permettere qualsiasi vizio. E nel silenzio si è sempre mosso, curando i rapporti con gli altri imprenditori e con gli esponenti politici locali. Ma non solo: numerose sono le relazioni con personalità del mondo della cultura. Amico di Gabriel Garçia Marquez e di Carlos Fuentes, Carlos Slim decide di investire anche in cultura e di sostenere una serie di attività il cui fiore all’occchiello è il museo Soumaya (dal nome della defunta consorte) nella quale è esposta la collezione che, anno dopo anno, Slim ha messo in piedi.
In questo momento, per esempio, il museo offre ai suoi visitatori “Del mito al sueño. Rodin… Dalì” (Dal mito al sogno. Rodin… Dalì) una mostra nella quale si possono ammirare capolavori di Auguste Rodin, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Émile-Antoine Bourdelle, Giorgio de Chirico e Salvador Dalí.
Inoltre, numerose azioni culturali ed educative vengono svolte dalla Fundación Carlos Slim e dalla Fundación Telmex, nonché dalla Fundación del Centro Histórico de la Ciudad de México e dal Centro de Estudios de Historia de México Carso.
Ebbene, l’ultima impresa dell’Ingeneiro, legata tanto al mondo della cultura quanto a quello dell’imprenditoria e della comunicazione è la scalata alla vetta del New York Times. Attraverso un’emissione di bond dal valore di 250 milioni di dollari, Carlos Slim dovrebbe, se tutto va come auspicato, arrivare a detenere, nel giro di pochi anni, il 18% del capitale del quotidiano. Slim diverrebbe il terzo socio del New York Times, affiancandosi nella gestione all’hedge fund Harbinger e alla famiglia Ochs-Sulzberger, che da oltre un secolo controlla il board della società. L’investimento ha catalizzato l’attenzione della finanza mondiale, sia per la singolarità e la delicatezza della questione, sia perché investire oggi in un quotidiano pare molto più azzardato che redditizio. L’editoria infatti attraversa mari in tempesta, vuoi a causa della crisi globale che diminuisce la disponibilità degli inserzionisti, vuoi per via della predisposizione alla lettura, drasticamente diminuita nell’era di internet e dei free magazine. Il N.Y. Times si trova, come molte altre testate, in un momento di crisi di liquidità, pertanto un socio come Slim non può che essere benvenuto. A maggior ragione perché il Messicano ha dichiarato di non essere interessato a ricoprire incarichi manageriali o a partecipare attivamente alla gestione della società: il suo fine è semplicemente guadagnare e il giornale rappresenta un investimento come un altro. Inoltre la nuova attività rappresenta un mezzo per divenire popolare anche nell’America del nord; affrancando, oltretutto, il proprio nome dagli scandali passati relativi a presunte relazioni sospette con leader politici messicani. E considerato l’intuito per gli affari dimostrato da Slim, chissà che il settore editoriale americano non sia in via di ripresa…

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