Pensare l’arte per vederla meglio: primo Festival dell’Arte Contemporanea di Faenza

(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)

Biennali, Premi, Festival, Fiere, Mostre… chi più ne ha, più ne metta: le istituzioni che si occupano di cultura sono in preda ad una vera e propria frenesia che ha reso quello dell’arte un mondo luccicante e glamour, spesso troppo assoggettato alla regole del business selvaggio. Nel gran calderone, fortunatamente, sono finiti anche numerosi eventi degni di nota, con finalità educative e sociali, coerenti ai dettami del legislatore che prevedono che si tuteli, valorizzi, promuova, produca e si renda accessibile la cultura. Eppure, in questo mare magnum che pare essere omnicomprensivo, manca qualcosa: manca un momento dedicato alla riflessione, al confronto, al dialogo. Talvolta fermarsi diviene necessario: se chi si ferma è perduto, chi non si ferma può ugualmente smarrirsi.
Per rispondere a questioni meta-filosofiche che hanno a cuore l’analisi e le sorti dell’arte contemporanea, a Faenza è stato organizzato il primo Festival internazionale dell’Arte contemporanea, anche se forse sarebbe più corretto dire “sull’arte contemporanea”. Il titolo di questa prima edizione, che avrà luogo a fine maggio, è Futuro Presente / Present Continuous.
Un comitato scientifico d’eccellenza, composto da Angela Vettese, Pier Luigi Sacco e Carlos Basualdo, ha riunito attorno a sé parte della comunità dell’arte contemporanea, vale a dire: artisti, economisti, critici e protagonisti vari.
L’evento volutamente non mette in scena nulla, non espone, non organizza mostre né happening (anche se in città sono stati organizzati una serie di eventi collaterali), ma seziona il circuito dell’arte contemporanea. Obiettivo della manifestazione è dunque analizzare un vero e proprio organismo, osservare le tendenze in atto cercando di prevedere le future, in un momento in cui, come spiega Sacco, “il sistema dell’arte evolve e cresce con una velocità quasi insostenibile”. Si sente quindi l’esigenza di incontri, colloqui, dibattiti, che animeranno i relatori e il pubblico, invitato a seguire il festival e a partecipare attivamente, conferendo quindi all'evento la dimensione del forum.
Tra gli artisti e addetti ai lavori in senso stretto si segnala la presenza di Michelangelo Pistoletto (mai assente in occasioni di confronto di questo genere) Joseph Kosuth e dei critici Achille Bonito Oliva e Germano Celant. Tra gli invitati si annoverano direttori di musei e istituzioni culturali internazionali, nonché docenti universitari e personalità del mondo politico-amministrativo.
Una particolare menzione merita la sezione dedicata all’economia della cultura, nella quale alcuni imprenditori e collezionisti si confronteranno con i “creativi”.
Infine, numerosi istituti di formazione e università italiane e straniere sono stati invitati a seguire i lavori e a partecipare in qualità di partner, con l’obiettivo di realizzare collaborazioni future che contribuiscano alla nascita di un vero e proprio network di elevata qualità.
La strada per la costruzione di una vera e propria rete sinergica è stata aperta… ci auguriamo che il festival non si limiti ad essere un momento autoreferenziale, ma che davvero porti a nuovi stimoli e momenti di studio.
Il dubbio è che proprio questo festival, che si prefigge di sviscerare una tendenza attuale, sia niente più che il frutto naturale di questa tendenza. Cresce l’attenzione rivolta ad un sistema e crescono le occasioni di lavoro (e guadagno) di coloro che si autoproclamano analisti o protagonisti del sistema, rendendosi quasi indispensabili al sistema stesso. Lo sguardo oggettivo è per definizione inesistente, ma quanto potranno essere obiettivi i personaggi che si muovono da anni in un ambiente dato? Quanto c’è di politico dietro l’organizzazione di un festival in una città che ambisce a divenire un distretto culturale, ignorando forse alcune regole sui distretti che alcuna letteratura di settore ha prodotto negli anni passati?
Il festival si propone di “dare la parola all’arte” ma dato uno sguardo ai nomi dei relatori viene il dubbio che la parola sia appannaggio esclusivo di alcune note personalità. Il programma è interessante, variegato e gli argomenti proposti sono cruciali all’analisi che ci si prefigge di fare; il limite di queste occasioni però è che, seguendo la smania di avere grandi nomi, ci si dimentichi che l’evoluzione è tanto rapida da necessitare voci sicuramente meno autorevoli ma più attuali.

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