Biennale di Berlino, 5 aprile - 15 giugno 2008

(nota: questo articolo è stato pubblicato su Artkey n°4 - aprile/maggio 2008)

Marzo 2008. Se provassimo a tenere un diario sul quale annotare gli appuntamenti dell'arte durante un anno o due e cercassimo di seguirli tutti, da comuni cittadini o appassionati, potremmo quasi smarrirci tra fiere, premi, mostre e biennali.
Per chi segue da vicino questo pantagruelico ambiente, alcune dinamiche non possono sfuggire. Vi sono luoghi nei quali l'arte pare auto-generarsi, insediarsi naturalmente, quasi suggesse la linfa vitale di quegli stessi territori. Normalmente si tratta di posti caratterizzati dalla Presenza. O dall'Assenza.
Laddove vi è un brulicare di creatività contagiosa, uno scambio spontaneo di saperi e knowhow, è naturale che si sviluppino fervide correnti di pensiero: spontaneamente si creeranno gruppi di intellettuali e le diverse forme artistiche troveranno ampi spazi di crescita. È facile che in simili contesti anche la governance sia "illuminata" e agisca in favore di tale incremento; tanto più saprà essere discreta, tanto migliore sarà il risultato, quasi fosse un burattinaio: se ne vedessimo le mani, lo spettacolo sarebbe irrimediabilmente rovinato.
Parallelamente vi sono luoghi che dall'esterno paiono aridi deserti culturali, nei quali tutto tace. Periferie metropolitane o quartieri cuscinetti tra un luogo ed un altro della stessa città possono al contrario celare sottesi fermenti. Oppure può trattarsi di luoghi in trasformazione storica, che attraversano momenti di transizione nei quali si ha quasi la necessità di fermarsi, guardarsi intorno, cercare di capire... In questi casi la mano invisibile delle politiche culturali è quasi assente, non perchè disinteressata ma poiché realmente ignora quali siano le potenzialità che lentamente lievitano.
E poi c'è un luogo dove queste realtà, apparentemente opposte, co-esistono. È Berlino: metropoli contemporanea per eccellenza ma allo stesso tempo città con un passato storico così suggestivo da trascendere ogni angolo. In questo passato Berlino ha affondato le sue radici e da qui ha saputo ripartire. Quasi vent'anni fa il muro che divideva il capitalismo dal comunismo è stato abbattuto e mondi tanto lontani, seppur vicinissimi, hanno potuto unirsi, abbracciarsi, fondersi e generare una capitale nuova, europea e cosmopolita, storica e contemporanea. Forti contraddizioni hanno caratterizzato la città: in primo luogo un crollo economico in netto contrasto con una solida economia nazionale. In secondo luogo, Berlino rimane città mitteleuropea in un paese che è stato tra i fondatori dell'Unione Europea, ma allo stesso tempo è quanto di più a est ci sia nella vecchia Europa. È l'unica città ad aver fatto simultaneamente parte, a livello socioculturale, dell'Europa dei quindici e della più recente Europa dei venticinque.
Ed è qui che un vasto numero di artisti ha creato un epicentro culturale interessante ed eterogeneo, nato spontaneamente ma da subito sostenuto da politiche cittadine lungimiranti che hanno avuto il merito di ampliare i già ampi spazi deputati al pensiero.
In un decennio circa, l'arte a Berlino è risultata un fenomeno bottom up e allo stesso tempo top down, tanto da rendere la città la capitale della contemporaneità per eccellenza.
Dello stesso parere paiono essere Elena Filopovic e Adam Szymczyk, curatori della quinta edizione della Biennale di Berlino. (Si veda a tal proposito l'intervista di Alexandra Wolframm, ArtKey n.2, dicembre 2007)
Dieci anni di Biennale non fanno che confermare quanto detto finora, le caratteristiche di Berlino rendono la sua Biennale un evento politico -come è sempre una manifestazione di questo tipo- che ha saputo celebrare i circoli artistici, gli atelier, le università e i numerosi punti di interesse cittadini. L'approccio della Biennale non è invasivo, al contrario: la scelta dei curatori conferma una volontà conscia di quanto importante sia per l'arte la propria indipendenza, l'essere slegata dai mercati e dalle convenzioni. Szymczyk e Filipovic sono noti, infatti, per le proprie posizioni autonomiste, talvolta in netto contrasto con le richieste imposte dal sistema, oltre che per aver promosso un'arte giovane e impegnata, com'è negli obiettivi della Biennale.
Fondata nel 1996 da Klaus Biesenbach, direttore del KW Institute for Contemporary Art, e da un gruppo di collezionisti e critici, la Biennale di Berlino si ispirò al successo della già celebre Biennale veneziana. Da subito però gli organizzatori vollero differenziarsi e scelsero di farlo sostenendo l'arte giovane, (per quanto in gran parte già ri-conosciuta), promuovendola e creando un circuito fecondo ad essa dedicato. Il curatore della prima manifestazione fu proprio Biesenbach, coaudiuvato da Nancy Spector e Hans Ulrich Obrist. La Biennale del 2001 ebbe come curatori Saskia Bos che passò il testimone nel 2004 a Ute Meta Bauer. Nel 2006 ci si avvalse di un trio di curatori composto da Maurizio Cattelan, Massimilano Gioni e Ali Subotnick.
L'edizione di quest'anno, il cui tema è When things cast no shadow, mette insieme artisti di diverse generazioni e nazionalità accomunati dal saper proporre qualcosa di diverso nel panorama dell'arte. I curatori hanno dichiarato di voler proporre lavori svincolati da precise unità o tendenze aclamate. La ricerca della Biennale di quest'anno punta direttamente allo scambio intellettuale tra l'artista e il fruitore, l'artista quindi è visto come essere umano unico e creativo e non come appartenente a questa o quell'altra corrente. Questo ambizioso progetto è stato presentato da Szymczyk e Filipovic il 16 marzo, presso ill Museo di Arte Moderna di Wasarm, durante quello che è stato il momento inaugurale della Biennale che si concluderà a metà giugno.
Dislocata in diverse sedi si articola in eventi by day e momenti by night, i primi si sviluppano in quattro sedi espositive nelle quali trovano spazio una cinquantina d’opere appositamente commissionate e installazioni site-specific. Alla sera, invece, numerosi eventi vengono organizzati qua e là in differenti spazi urbani. Il titolo scelto per questi sesantre momenti serali è di per sé ammicante e ironico Mes nuits sont plus belles que vos jour | My nights are more beautiful than your days ossia “le mie notti sono più belle che i vostri giorni”.
La Biennale di Berlino si prefiggen quindi di allargare i concetti di spazio e di tempo, scegliendo spazi e orari inconsueti e privilegiando il dialogo tra l’arte e il contesto cittadino. A tal proposito le quattro sedi espositive non sono ovviamente state scelte a caso: la selezione ha voluto privilegiare alcuni luoghi ritenuti cruciali nella vita di Berlino e della sua Biennale dal punto di vista culturale ma soprattutto storico e sociale. L'arte quindi si riappropria e anima gli spazi nei quali il tessuto sociale freme e si innestano moti vitali. Inoltre tutte le sedi sono state scelte anche per la propria peculiarità architettonica che ne fa posti unici e diversi tra loro, in modo che ogni artista sia invitato a rapportarsi con condizioni distinte ed esclusive. Nello specifico le quattro sedi sedi sono la Neue Nationalgalerie, il KW Institute for Contemporary Art, il centro dedicato alla scultura ossia lo Skulpturenpark Zentrum e il padiglione Schinkel. In quest’ultimo si alternernano le mostre personali di diverse personalità del mondo dell’arte, dell’architettura e del design, in una sequenza di solo show di breve durata. Si inizia con La lampe dans l’horloge di Janette Laverrière che in collaborazione con Nairy Baghramian cura anche il concept dell’allestimento, dal 20 marzo al 6 aprile. Segue Pushwagner, ideato e curato da Lars Laumann, dall’11 al 27 aprile. Una retrospettiva sull’architetto Ettore Sottsass, scomparso di recente, curata da Lili Reynaud-Dewar verrà allestita dal 1° al 18 maggio. Sarà poi la volta di un altro omaggio, questa volta al turco Masist Gül, in un’esposizione curata da Banu Cennetoğlu e Philippine Hoegen, dal 23 maggio all’8 giugno. Chiuderà i battenti la mostra su Zofia Stryjeńska, curata da Paulina Olowska, dal 13 al 29 giugno.
Le altre sedi d’altro canto non sono da meno: per ognuna è previsto un ricco programma.
Al KW Institute for Contemporary Art visual art e installazioni, gli artisti presenti sono Babette Mangolte, Michel Auder, Patricia Esquivias e Ahmet Öğüt. Nell’attico, trasformato per l’occasione in un’installazione, storie narrate da Tris Vonna-Michell.
Alla Neue Nationalgalerie ci accolgono una videoinstallazione di Susanne M. Winterling, una scultura di Gabriel Kuri e un lavoro sull’archittettura di Cyprien Gaillard.
Al Skulpturenpark Berlin_Zentrum un progetto della ceca Kateřina Šedá sulle nuove comunità urbane, un altro lavoro di Lars Laumann, questa volta un film che narra il matrimonio tra una donna e il muro di Berlino e infine una scultura di Ania Molska.
Come promesso dagli organizzatori, quindi, artisti di eterogenee generazioni e provenienze geografiche per animare una Biennale che sicuramente si farà ricordare.

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