Lo spazio dell'uomo. Arte e politica alla Fondazione Merz

Guillermo Cifuentes (Santiago, 1968-2007) El rumor, 2000. Installazione sonora, 60 lampade rotanti (originariamente 70) Dimensioni variabili

Ultimamente sono numerose le istituzioni che ornano le proprie mostre con titoli altisonanti e astratti che possono significare tutto e niente, per giustificare la presenza all’interno dei propri spazi di opere svariate che difficilmente dialogano tra loro.
Sembrerebbe il caso dell’ultimo allestimento alla Fondazione Merz, intitolato, per l’appunto, Lo spazio dell’uomo. Questa volta, però, la mostra può vantare un fil rouge d’eccezione, che si sbroglia piacevolmente nei suggestivi spazi della fondazione, all’interno dei quali troviamo una presentazione della scena artistica cilena, che si sviluppa attraverso due importanti matrici. Il recente passato incontra le tendenze artistiche contemporanee, in un coacervo che si caratterizza per l’elevata qualità delle opere esposte.
Per la prima volta vengono presentate in Europa ventinove opere della collezione internazionale del Museo de la Solidaridad Salvador Allende.
E già questo basterebbe a giustificare la visita alla Merz. Il progetto della mostra, però, non si ferma qui e presenta sei opere di giovani artisti contemporanei provenienti da Santiago del Cile.
Et voilà: arte contemporanea e sperimentazione, vecchio e nuovo, famoso ed emergente si fondono nella proposta curata da Beatrice Merz e da Francisca Moenne. Non semplicemente la provenienza geografica lega indissolubilmente queste opere, quanto piuttosto un messaggio identitario, storico, politico che ha caratterizzato, e tuttora permea, la storia del Cile.
Forti i risvolti socio-politici evidenti nelle opere dei giovani che hanno visto il proprio paese trasformarsi. E ancora più forte l’ideologia che spinse Allende a istituire un museo che conservasse, ma soprattutto che esponesse l’arte. A sostenere il museo, fu una volontà illuminata e lungimirante, basata su un preciso concetto di solidarietà politica e culturale. Salvador Allende nel 1971, al fine di contrastare la cosiddetta intossicazione informativa messa in atto dai suoi avversari (gli Stati Uniti e alcune multinazionali), invitò gli intellettuali e gli artisti di diversi paesi stranieri in Cile, affinché potessero informarsi e riferire all’estero ciò che stava accadendo. La maggior parte degli intervenuti, decise di donare in segno di solidarietà alcune opere, che divenneno il nucleo della collezione museale. Gli stessi artisti che altrove mettevano in dubbio o criticavano le istituzioni museali, compresero che per il Cile il desiderio di sopperire alla mancanza di un museo e di contrastare la censura era divenuto un imperativo improrogabile.
Lo stesso Allende auspicava che “la cultura non sia patrimonio di un’èlite, ma sia accessibile alla grande massa che finora ne è rimasta esclusa, fondamentalmente, ai lavoratori, quelli della terra e delle fabbriche, delle imprese e del mare”.
Oggi il museo possiede una collezione di oltre duemila opere e realizza il sogno del suo istitutore, perseguito dalla figlia. Un sogno che mette insieme le memorie storiche, l’arte e l’azione collettiva di un preciso periodo storico e dei suoi protagonisti.
Sono questi gli elementi che oggi possiamo, seppur in misura ridotta, ritrovare alla Fondazione Merz. Tra gli artisti deputati a rappresentare il museo troviamo Joan Mirò, Frank Stella, Zoran Music, Roberto Matta, Alexander Calder e tanti latinoamericani tra i quali Antonio Saura, Jesùs Rafael Soto e Arnulf Rainer.
Gli artisti scelti per narrare il Cile di oggi in questa significativa occasione, sono Claudia Aravena, Mònica Bengoa, Giullermo Cifuentes, Andrea Goic, Bernardo Oyarzùn e Sebastiàn Prece. Giovani e già maturi, esprimono un forte sentimento di appartenenza identitaria che si estrinseca nelle installazioni e nei video. Aravena esplora i significati semantici ed emotivi della paura presentando una trilogia di video che mescola sequenze di repertorio e immagini appositamente girate; Cifuentes denuncia le violazioni dei diritti umani in Cile con uno stile quasi ludico e divertente, che costringe lo spettatore ad andare oltre l'allegra apparenza e a riflettere sulla storia del novecento; Oyarzùn punta il dito sulle condizioni sociali dei lavoratori, partendo dall’esperienza paterna e innalzando un'installazione commovente. E mentre Goic ricopre di terra un film hollywoodiano, Bengoa allestisce un murales-gigantografia della propria biblioteca per riflettere sugli spazi pubblici. Infine Prece parte dalla decomposizione dei resti di libri appartenuti alla sua famiglia, per creare nuovi paesaggi che dalla tradizione prendono le mosse, in un'installazione a metà strada tra fotografia e land art.
Evidenti sono i riferimenti alla storia di ogni artista e contemporaneamente alla storia del Cile, in un processo relazionale che genera dipendenze e vincoli che permeano la creatività e la rendono esclusiva, irripetibile, unica.
Purtroppo tali rinvii risultano quasi incomprensibili al fruitore a meno che questi si rivolga alle guide presenti in sala, preparate e disponibili. L'allestimento è infatti spoglio di qualsivoglia didascalia o pannello informativo. Non è chiaro quale sia il principio che ha orientato la scelta dei curatori a tal proposito; trattandosi di una fondazione che ha vocazione museale ci si aspetterebbe una maggior attenzione alla divulgazione e alla presentazione delle opere, nello spirito educativo che un museo dovrebbe avere. Chissà cosa penserebbe di tale grave mancanza il generoso Salvador Allende... Infine un ultimo avvertimento per coloro che intendono recarsi alla Fondazione Merz: Lo spazio dell'uomo contiene due esposizioni in una, che iniziano insieme, ma che hanno durata differente. Fino al 30 marzo sarà possibile vedere la mostra nella sua interezza, dopodichè, fino all’11 maggio resteranno le sei opere della Selezione Giovani.

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